Chris Froome non si è mai arreso. L’animo è rimasto indomito, ma il suo corpo ha smesso di essere l’arma letale che dal 2013 al 2018 gli permise di vincere quattro Tour, una Vuelta e un Giro d’Italia. A dirla tutta ci sarebbe anche la seconda Vuelta (la prima in ordine cronologico) ottenuta dopo la squalifica di Cobo che la vinse su strada nel 2011 e ne fu privato nel 2019 dall’antidoping. Come da lunga tradizione, per il nome che porta e per la sua grande popolarità, dopo la presentazione del Tour il britannico è volato in Giappone per il Criterium di Saitama e parlando con l’inviato di Marca, ha fatto il punto della situazione.


Nulla come prima
Nel leggere le sue parole, saltano in mente quelle pronunciate due giorni fa da Moreno Moser sul cambio di generazione. «Lo stesso Froome – ha detto Moreno – con i valori che aveva quando vinse il Tour, oggi sarebbe ventesimo». Se a questo si aggiunge che nella caduta del 2019 Froome perse l’integrità fisica, si capisce perché per lui sia drammaticamente difficile risalire la china. E rendersi conto, anche nel momento in cui tutto ha ripreso a funzionare discretamente, che il suo livello migliore non sia più schiacciante come prima non lo aiuta di certo.
«Eppure – ha detto – mi piace fare la vita del professionista. Allenarmi, lavorare sulla bici e lottare per gli obiettivi. E’ qualcosa che mi motiva e mi tiene sveglio. Devo essere onesto e ammettere che non posso più affrontare le stesse sfide che avevo prima dell’incidente del 2019, ma mi diverto comunque molto. Continuo a sognare di tornare al Tour. Non so ancora quale sarà il mio programma per il prossimo anno, lo vedremo nel primo ritiro. Però la mia sfida è provare a correre di nuovo in un Grande Giro. Non lo vedo come una follia».


Mai così forte
Froome compirà 40 anni il prossimo 20 maggio e il 2025 sarà l’ultima stagione di contratto con la Israel che lo prese dopo il 2020 del faticoso rientro, reso ancora più duro dalle folli andature nell’anno del Covid. La squadra è cresciuta. Lo hanno portato al Tour nel 2021, ma senza alcun lampo da parte sua. C’è tornato nel 2022 ed è arrivato terzo sull’Alpe d’Huez, poi si è fermato. E ancora nel 2022 è andato alla Vuelta, concludendola nelle retrovie, in cambio di immense fatiche. E’ immaginabile che in questa fase di caccia ai punti, la Israel-Premier Tech decida di schierarlo nella corsa delle corse con la (quasi) certezza che la attraverserà senza lasciare traccia?
«Mi resta un anno – ha detto – e poi vedremo cosa farò in futuro. E’ troppo presto per parlare di questi argomenti. Una caduta ha cambiato la mia carriera, ma non tutte le cadute sono uguali. La mia fu in allenamento, altri sono caduti in gara. Penso però che qualcosa stia cambiando. Non credo che la colpa sia solo dei ciclisti o degli organizzatori. Ci sono diversi fattori. Adesso c’è molto stress nel gruppo e le corse vanno più veloci che mai. Ognuno cerca il proprio posto e questo causa altri problemi. Bisogna fare qualcosa. Il giorno in cui caddi, avevo appena finito di pensare che non mi fossi mai sentito così forte. Pensavo che il Tour 2019 sarebbe stato mio».


Tutto più veloce
Di tutto quel mondo non c’è più molto, se non la consapevolezza che i loro studi al Team Sky abbiano aperto la porta a questo nuovo ciclismo che ha preso la loro lezione e l’ha portata fino alle stelle. La Jumbo-Visma dei primi prodigi e la UAE Emirates hanno attinto all’esperienza di allora e hanno approfondito internamente la nutrizione, la preparazione, la meccanica, l’aerodinamica, il recupero. Il Team Sky schiacciò tutti perché prima di tutti scovò vantaggi da ogni aspetto possibile.
«Ci sono Pogacar e Vingegaard – ha detto – che negli ultimi anni sono stati capaci di dominare al Tour e anche in altre corse. Anche Evenepoel è ad alto livello. Se vincono così tanto, al di là di avere alle spalle delle squadre eccezionali, evidentemente per loro il ciclismo è uno sport divertente. Ma le cose cambiano molto in fretta e chi vince oggi domani potrebbe non farlo più. Il ciclismo è cambiato molto, va molto più veloce di 5-10 anni fa. E’ molto più esplosivo ed evoluto in termini di materiali, alimentazione, allenamento… E’ uno sport bellissimo e divertente. Per questo quando avrò smesso, continuerò a godermelo con un occhio alla vita quotidiana. L’incidente mi ha fatto cambiare prospettiva, si può godere lo sport anche dopo un grande dolore. E io voglio continuare ad amare il ciclismo».