Momenti. Pochi secondi. Attimi nei quali tutta la tua vita ti passa davanti. A Valentin Ferron è capitato pochi giorni fa. Era il 3 febbraio, seconda tappa dell’Etoile de Bessèges, a 24 chilometri dalla conclusione. Un momento era in bici a controllare la corsa, in mezzo al gruppo. Neanche qualche secondo dopo era sul bordo del ponte, ma non affacciato ad ammirare il panorama, no, appeso con le braccia al parapetto, le gambe penzoloni, con il forte rischio di cadere senza sapere che cosa ci fosse sotto.
Oggi Ferron ci ride sopra, divertito da quelle immagini che si ripetono di continuo su Internet senza soluzione di continuità. Allora però non rideva. In quei secondi gli è passato davanti di tutto: gli inizi in bici, il seguire la sua passione trovando approdo a 19 anni nel Vendee U Pays de la Loire, i lunghi anni di apprendistato alla TotalEnergies dove milita dal 2019 e con la quale ha conquistato una tappa al Tour du Rwanda nel 2021 e al Delfinato l’anno successivo. Tutto bello, tutto giusto, ma rischiava di finire tutto anzitempo.


Una tragedia scampata
Il ciclismo non è nuovo a storie tristi. Ne abbiamo raccontate fin troppe sulle strade. In corsa, come Simpson cotto dal sole del Ventoux o Casartelli su quel maledetto paracarro del Portet d’Aspet. Fuori corsa, come le scomparse di Scarponi e Rebellin che gridano ancora vendetta. Di raccontarne un’altra, francamente si faceva anche a meno. Ferron rischiava di essere l’ennesimo, l’ultimo prima che la serie riprendesse.
E’ stato proprio lui a raccontare come tutto è successo, appena dopo l’arrivo di tutta la carovana e la neutralizzazione della corsa (foto di apertura). Con voce calma, ma quel leggero tremolio faceva capire che dentro, la paura ancora era padrona del suo corpo.
«C’è stato un grosso incidente mentre eravamo sul ponte – racconta – io sono rimasto coinvolto, poi altri corridori da dietro si sono ammucchiati su di noi. Sembravano non finire mai, come un’onda del mare. Io sono stato spinto sulla destra contro il muro, poi mi sono staccato dal suolo e riversato oltre. Neanche mi sono accorto di come sono finito fuori dal ponte…».




Una voce indimenticabile
Secondi interminabili, aspettando che qualcuno si accorga della situazione. Ma da quel caos di uomini misti a carbonio e tubolari, trovare qualcuno che riuscisse nel bailamme a sentire la sua voce non era semplice.
«Era una brutta situazione – dice – solo dopo mi sono accorto che il ponte non era poi così alto. Ma se fossi caduto, come minimo mi facevo molto male a caviglie e ginocchia. E io con le gambe ci lavoro… In quei momenti è difficile mantenere la calma. A un certo punto ho sentito una mano che con forza mi ha preso e mi ha tirato su, non dimenticherò mai quella voce».
Quella voce era di Axel Laurance, uno dei tanti coinvolti, uno dei giovani appena passati al team Devo dell’Alpecin Deceuninck, che era stato chiamato proprio per la corsa francese a rinforzare la squadra maggiore. Un esordio fra i pro’ davvero indimenticabile, ma per motivi inaspettati.
«Ho cercato di liberarmi dal groviglio prima possibile – ricorda – avevo visto che nella caduta qualcosa era andato storto. Il ponte era abbastanza stretto e i bordi non così alti. Ho sentito gridare e mi sono accorto che Valentin non era in una bella situazione. Lì non pensi certo a chi sia, a che maglia indossi, se è un compagno di squadra. In quei frangenti il ciclismo passa in second’ordine, eravamo uomini coinvolti nello stesso casino».


Alla fine fortunato
Quelle mani lo afferrano, forse per l’adrenalina, forse per quella voglia di dire no a un destino infausto, Axel lo tira su quasi fosse un fuscello. Altri si accorgono, si precipitano a dare una mano. Ferron è in salvo.
«Alla fine sono stato fortunato – sentenzia davanti ai giornalisti – c’è chi in quella baraonda se l’è passata peggio di me». Il riferimento è ai due principali infortunati della gigantesca caduta, Lars Van den Berg con una frattura al gomito e Ben Healy che si è rotto una mano.
Di fatto la corsa è finita lì. Claudine Fangille, che ha raccolto l’eredità dal padre nell’allestimento della prima corsa a tappe francese dell’anno, non ha avuto dubbi nella scelta: «I corridori erano rimasti fermi per più di 10 minuti, erano ormai freddi e non aveva più senso ripartire. Tanto più che le 3 ambulanze al seguito della gara avevano dovuto lasciare la carovana per portare i feriti al più vicino ospedale, non c’erano quindi le condizioni di sicurezza per far ripartire la corsa».


Senza quel De Lie…
Capita anche che le storie più difficili possano avere un lieto fine. Ferron nella notte ha messo da parte tutte le paure e il giorno dopo è tornato in carovana come se nulla fosse, anzi si è messo a battagliare fino alla volata finale è c’è voluto il sontuoso Arnaud De Lie di questo inizio stagione per togliergli quella vittoria che avrebbe avuto un sapore particolare. In mezzo al gruppo, 33°, arrivava Laurance, la sua vittoria più bella l’aveva avuta 24 ore prima…