Quei due anni di Martinez a San Baronto. Scinto racconta

30.04.2022
6 min
Salva

Quel pugno stretto alla volta di Bernal sulla salita verso Sega di Ala. La vittoria al Delfinato 2020 e poi la tappa a Pas de Peyrol nel Tour dello stesso anno. I Paesi Baschi poche settimane fa. Quando pensiamo a Dani Martinez, che dallo scorso anno è passato dalla EF Pro Cycling alla Ineos Grenadiers, abbiamo davanti agli occhi l’armatura inscalfibile che solitamente si associa ai corridori del team britannico. Eppure c’è stato un periodo in cui il colombiano è stato un ragazzino da scoprire, arrivato in Italia senza sapere che cosa sarebbe diventato da grande.

Base a San Baronto

Il suo procuratore Acquadro infatti lo consegnò fra le mani di Luca Scinto, in quella fucina di ottimi corridori che è stato a lungo San Baronto. Arrivò in un giorno di gennaio del 2015, con la valigia e un mondo tutto nuovo da scoprire.

«Ci proposero lui e altri ragazzini – ricorda il tecnico toscano – Amezqueta, Rodriguez e l’anno dopo anche Florez. Di Martinez parlavano già tutti un gran bene. Aveva il contratto con il Team Colombia di Claudio Corti, che però chiuse. Quando andai a prenderlo all’aeroporto, mi trovai davanti un bambino di 19 anni, con l’apparecchio ai denti. Lo sistemammo nell’hotel di San Baronto, con cui avevamo fatto una convenzione, e lo affidammo per la preparazione a Michele Bartoli. Fu lui dopo i primi test a confermare che fosse fortissimo. Che aveva da crescere, ma non aveva numeri tanto comuni…».

E’ stato Bartoli a capire subito dai test che Martinez avesse numeri non comuni (foto Instagram)
E’ stato Bartoli a capire subito dai test che Martinez avesse numeri non comuni (foto Instagram)
Vi fu dato perché lo faceste maturare?

Si fece un programma di crescita graduale. Però lo portai in entrambi gli anni al Giro d’Italia. Era giovane, ma qualche sprazzo lo fece vedere nelle crono. Tirò quasi tutto lui nella cronosquadre della Coppi e Bartali che chiudemmo al quarto posto. Stessa cosa al Giro del Trentino, ottavi. In salita invece stava nei gruppetti, ma ci stava perché era tanto giovane. Nel 2016 arrivò fino a Milano, il secondo anno lo fermammo dopo la tappa di Bormio vinta da Nibali, quella di Dumoulin con il mal di pancia, in cui lui arrivò a 23 minuti. Il dottore voleva farlo fermare sullo Stelvio. Era andato in crisi, ebbe un calo di zuccheri. Però fu cocciuto e arrivò al traguardo. A fine stagione avemmo la conferma che avesse davvero qualcosa di più…

Vale a dire?

Arrivò nei primi dieci alla Tre Valli Varesine e alla Milano-Torino. Quarto nella generale, con un terzo di tappa al Giro di Turchia. Con noi c’era il contratto in scadenza, arrivò la EF e se lo portò via. Non potevamo trattenerlo. Se fossimo stati cinici, lo avremmo fatto firmare al Giro, ma sarebbe stato ingiusto trattenerlo contro voglia e davanti a una WorldTour.

Al primo anno con la squadra di Scinto, Martinez dimostra subito di andare forte nelle crono
Al primo anno con la squadra di Scinto, Martinez dimostra subito di andare forte nelle crono
Pensi che quei due anni gli siano serviti?

Fu tutelato, come è giusto che sia per un ragazzino di 19 anni. Dopo il Giro lo scorso anno venne a San Baronto (foto di apertura, con Scinto e il diesse Tomas Gil, ndr) e mi disse che un po’ di scuola di Scinto servirebbe a tanti giovani. Lui si è costruito da solo, gli dicevo di essere partecipe della propria crescita e lo è sempre stato. Gli stranieri non sono mammoni come gli italiani, noi abbiamo proprio un’altra struttura mentale. Questo partì a 19 anni dalla Colombia per venire in Italia, si capisce che la voglia di sfondare fosse tanta.

Dicevi che con lui arrivarono Amezqueta e Rodriguez…

Gli altri non erano al suo livello, ma anche con loro avemmo pazienza e alla fine sono venuti fuori dei corridori dignitosi (Amezqueta corre dal 2018 alla Caja Rural, Cristian Rodriguez è al secondo anno con la TotalEnergies, mentre Florez è al secondo anno con la Arkea-Samsic, ndr). Buoni corridori, non fenomeni, che sono cosa rara ma ci sono sempre stati. Come Saronni che vinse il Giro a 21 anni. Tutti vogliono diventare corridori subito e l’ambiente li spinge ad aver fretta.

Perché dici questo?

Perché un giovane non capisce ed è normale che voglia bruciare le tappe. E se alle corse di allievi e juniores, vedi quasi più procuratori che genitori, il ragazzino magari potrebbe pensare di essere un fenomeno.

Il primo Martinez non era tirato come adesso, la crescita ha fatto la sua parte…

Non era grosso, ma ha avuto seri problemi di allergia. Tanto che, prima con il dottor Gianmattei e poi tramite Bartoli, andammo per risolverla e per fortuna se ne venne a capo. Sapevamo che fosse un corridore vero e per quello facemmo il possibile per aiutarlo. I test continuavano a dire questo e a crono ha sempre avuto dei numeri incredibili. Se quest’anno avessero deciso di portarlo al Giro, parlo da tecnico e da tifoso, al 90 per cento sarebbe salito sul podio. Al Tour sarà diverso, troverà avversari di un livello superiore.

Nel 2018 arriva la EF Pro Cycling e lo porta via. Qui in Colombia con Bernal e Geoghegan Hart
Nel 2018 arriva la EF Pro Cycling e lo porta via. Qui in Colombia con Bernal e Geoghegan Hart
Cosa si prova a vederlo così forte?

Ho sempre detto che fosse un talento e sarebbe diventato un corridore. Qualcuno rideva. Ricordo di aver fatto questo discorso con Pancani. Quando fai una squadra con dei corridori giovani, devi avere pazienza. Poi arriva la WorldTour e te li porta via: è la legge del gruppo. Potresti farli firmare per cinque anni, ma non sarebbe giusto. Sarebbe da prevedere un riconoscimento, questo sì. L’ho tenuto qua, ho pagato vitto e alloggio, aveva lo stipendio un po’ sopra al minimo, gli ho insegnato un mestiere. L’UCI potrebbe prevedere qualcosa…

Con questo Scinto è sempre un piacere ragionare, ritrovando in lui il lampo dei primi tempi. Il professionismo lo ha messo da parte e lui ha scelto di ripartire dagli juniores. Eppure nel vivaio di una squadra importante, la sua passione e la capacità di coinvolgere i ragazzi sarebbero ancora un prezioso valore aggiunto. Quegli anni magici di San Baronto – tra Visconti, Gatto e Giordani – non si dimenticano. Su tutto il resto, probabilmente s’è avuta troppa fretta di appendere responsabilità.