Conquistata Torino, Biniam Girmay alza per la seconda volta le braccia al cielo e questa volta anche la bici. Il traguardo di Colombey les Deux Eglises è fradicio di pioggia e sul rettilineo in leggera salita il corridore eritreo è stato più freddo e potente di Jasper Philipsen, partito prima e poi rimontato. Alle loro spalle, Arnaud De Lie avrebbe avuto forse le gambe per passarli, ma ha dovuto smettere di pedalare.
Un giorno bastardo
E’ un giorno bastardo, con la notizia della morte di André Drege arrivata dal Tour of Austria a raggelare la voglia di raccontare. Come lo scorso anno con Mader al Tour de Suisse, come ogni volta che succede e uno di questi ragazzi paga con la vita il suo sogno di corridore. Non conoscevamo Drege, della caduta si sa che è avvenuta in una discesa e poco altro. Ripensando alla picchiata di Tadej Pogacar martedì giù dal Galibier, ci rendiamo conto che una mano invisibile li protegge dal male, ma può capitare che a volte non basti. Giusto ieri a Forlì un gruppo di amici si è radunato per ricordare Fabio Casartelli, che in quel maledetto Tour del 1995 aveva l’età di Drege oggi, in questo ripetersi doloroso e sfiancante delle stesse parole.
In fuga con Drege
Biniam Girmay alza per la seconda volta le braccia al cielo, ma la tappa di oggi si è svolta nel segno di un altro norvegese, Jonas Abrahamsen, 28 anni, rimasto in fuga per 170 chilometri, prima che il gruppo si ricordasse che c’era da celebrare un’altra volata. Per cui, quando il corridore del Team Uno X Mobility è passato sul traguardo a 1’55” dal vincitore, la sua maglia pois aveva poco da raccontare, se non la stanchezza e un mesto sorriso.
Sono così pochi i corridori norvegesi, che forse la sera della fuga più lunga si trasformerà in un lento mal di testa. Al campionato nazionale, i due hanno pedalato insieme nel finale, arrivando in coppia al traguardo, con 1’04” di distacco dal vincitore.
Uno scalatore di 78 chili
Eppure la sua storia merita un racconto, per portare via la mente dalla tragedia, di cui si sa ancora troppo poco e avvenuta a quasi 900 chilometri da questo scorcio così verde di Francia. Quando è salito sul palco per essere premiato con la maglia degli scalatori, come gli succede dall’inizio del Tour, è parso ancora una volta insolito che quel primato sia stato consegnato a un corridore alto 1,83 per 78 chili.
Non è scritto da nessuna parte che il re degli scalatori debba essere sottile come Froome, ma di certo ha raramente questa fisicità. E’ vero che le grandi salite siano ancora lontane da venire e che le tante fughe gli permettono di raggranellare punti, ma la sua storia merita ugualmente un racconto.
I disturbi alimentari
Quando era under 23 infatti, Jonas Abrahamsen era ossessionato dall’essere il più leggero possibile. Non era una fissazione troppo rara, anche se negli ultimi anni le teorie sulla nutrizione hanno riscritto la storia. Ci si attaccava al rapporto fra potenza e peso e si pensava che il modo migliore per essere performanti fosse essere il più magri possibile. Abbiamo parlato a lungo dei disordini alimentari generati da questa convinzione e così è accaduto per il norvegese. A un certo punto il suo peso è sceso a 60 chili ed è stata l’inizio del problema.
«Quando ho iniziato a correre – ha raccontato – essere magri era molto popolare. Tutti i corridori che ammiravo lo erano. Ho sempre sperato di arrivare a 60 chili, ma era difficile tenere quel peso, soprattutto perché avevo sempre fame e poi soprattutto non riuscivo a spingere. Mi sentivo come se non avessi fatto i progressi in cui avevo sempre sperato. Essere leggero non significava andare forte in salita e così ho cominciato a riprendere peso. Ho scoperto che i muscoli funzionano meglio se ricevono carburante. Così ho preso 20 chili, poi lentamente mi sono messo in equilibrio e adesso ne ho 18 in più».
L’intervento del nutrizionista
Ha raccontato in una trasmissione televisiva norvegese, che mostrò alcune sue foto nudo sulla bicicletta, che l’eccesso di magrezza aveva portato via il desiderio sessuale. Al contrario, una volta tornato a mangiare, il suo corpo ha iniziato a convivere una una pubertà tardiva, che lo ha portato a crescere di 5-6 centimetri e all’iniziare a farsi la barba. Ovviamente non si è trattato soltanto di mangiare di più, quei 18 chili non sono fatti di fritti e birra, ma sono stati riguadagnati grazie alla collaborazione con James Moran, il nutrizionista della squadra.
«E’ pazzesco – ammette il corridore – la mia plicometria è fondamentalmente la stessa, ma i miei muscoli sono aumentati di 20 chili. Ora mangio in modo normale e il mio corpo reagisce molto bene».
Bilancia addio
Le sue ammissioni in Norvegia hanno provocato una serie di reazioni e fatto capire che dietro la difficoltà di sconfiggere i disturbi alimentari c’è soprattutto la vergogna di affrontarli.
«Penso che sia molto importante – ha detto Abrahnsen a The Cycling Podcast – che i giovani ciclisti mangino abbastanza. Ho pesato a lungo ogni cosa che mangiavo, ma ora mangio ciò di cui il mio corpo ha bisogno. E in modo davvero sorprendente vado più forte in salita ora di quando pesavo 60 chili».
La maglia a pois è ancora sua e magari rimarrà tale fino ai giorni sui Pirenei. A quel punto gli scalatori di 60 chili prenderanno il sopravvento e lui si farà una risata. Quel peso per lui non era naturale, averlo capito in tempo gli ha salvato la carriera.