La vicenda che ha portato alla cancellazione della B&B Hotels Ktm è costata un’improvvisa fine di carriera per Pierre Rolland (nella foto di apertura di Aurelien Vialatte), che appende la bici al chiodo a 36 anni. Un corridore con alle spalle 16 anni di professionismo, conditi da 14 vittorie. Ma non sono tanto o solo queste a rendere la notizia del suo addio diversa dalle altre. Rolland non è stato un corridore comune, per molti aspetti.
Innanzitutto, per capire la sua importanza, Rolland va collocato nel tempo. Passato molto giovane, il corridore di Gien si collocò in un periodo davvero difficile per il ciclismo transalpino. Erano molti anni che si attendeva un ciclista capace di vincere il Tour e questa attesa ammantava ogni nuovo talento di un profondo carico di responsabilità. Nei primi anni, Rolland diede nuova linfa a queste aspettative, con piazzamenti di livello (la vittoria nella classifica degli scalatori al Criterium del Delfinato 2008 che gli valse anche la convocazione per le Olimpiadi di Pechino) fino ad accompagnare nel 2011 il grande sogno di Thomas Voeckler di vincere la Grande Boucle.
In fuga solamente per vincere
Il giorno della tappa dell’Alpe d’Huez, Rolland era al fianco della maglia gialla, a due sole frazioni dal termine. Voeckler è sempre stato un ciclista molto presente a se stesso e a un certo punto disse al più giovane compagno di non trattenersi e andare per la sua strada. Rolland partì all’attacco infiammando i cronisti locali: staccò Contador e Sanchez, non due qualunque e conquistò una delle frazioni più iconiche della corsa francese, condendola con la vittoria della classifica per i giovani.
Poteva, anzi doveva essere il suo trampolino di lancio. Ma i tempi non erano ancora maturi (e a ben guardare non lo sono ancora, se l’ultimo francese vincitore della corsa di casa resta Bernard Hinault nel 1985…) e Rolland se ne rese presto conto. Era approdato alla Cannondale per fare classifica, fu un passaggio non senza contraccolpi, a cominciare dal fatto di essere costretto a imparare l’inglese. Nel frattempo però qualcosa stava cambiando nel suo modo di correre. Forse era nato tutto da quella fuga all’Alpe d’Huez: «Non sarei mai andato in fuga per essere secondo o terzo – aveva affermato subito dopo la conquista del traguardo – quando sono partito avevo in mente solo la vittoria e nulla mi avrebbe fermato».
Il capolavoro del Giro 2017
Fuga. Rolland ha messo un po’ da parte le sue ambizioni di classifica per diventare uomo da fughe. Per certi versi in tal modo è riuscito a sopravvivere all’ascensione di nuovi talenti e non parliamo solo dei vari Pogacar, Van Aert e compagnia cantando, ma anche in casa, vedi il pluriridato Alaphilippe. Ma c’era qualcosa in più. Per Rolland la fuga “era” il ciclismo, dava un significato al tutto. Non vogliamo scomodare la filosofia (c’è Guillaume Martin per quello…), ma per il transalpino andare in fuga era una sorta di sfida alla sorte: ci sarà la spinta giusta del vento? Il gruppo si coalizzerà o le beghe interne daranno via libera? La strada sarà quella giusta per compiere l’impresa? Ogni volta una scommessa, ogni volta una lotteria del destino. Ma già essere lì a gettare i dadi sul tavolo era un successo, vivere quell’attesa per il responso.
Nel 2017 Rolland compie il capolavoro, che dà un senso a questa nuova dimensione: nella tappa di Canazei al Giro d’Italia se ne va alla partenza insieme ad altri 23, nessuno gli dà credito (e come si potrebbe…), tutti pensano alla classica fuga ripresa dal gruppo quando si farà sul serio, invece Rolland resta lì e a 8 chilometri dal traguardo piazza la stoccata decisiva, con 24” su Rui Costa, già battuto una settimana prima da Fraile. Il destino sa essere anche beffardo…
Pensate ai disoccupati della B&B
Rolland avrebbe anche potuto continuare. Voleva farlo, ma poi ha riflettuto. In fin dei conti, la carriera gli aveva già dato quel che chiedeva: «Posso chiudere a buon livello e non in fondo al gruppo, dimenticato. Il futuro è una pagina tutta da scrivere, forse rimarrò nell’ambiente, i progetti ci sono e devono solo essere messi in pratica. Ad esempio potrei rimanere nell’ambiente dedicandomi alle prove un po’ più lunghe, le ultra. Pedalare mi piace ancora e mi piacerà sempre».
Quando le prime voci sul dissesto della B&B erano iniziate a circolare, qualche team aveva anche tentato un approccio, ma Rolland aveva risposto garbatamente: «Ho consigliato a tutti coloro che mi chiamavano di puntare su un collega più giovane, uno di quelli che avrebbe dovuto condividere con me l’avventura del team di Pineau e si è ritrovato senza lavoro. Io una sistemazione la trovo, anche se non agonistica, anche se non più in questo mondo di corridori che ho frequentato per anni girando il pianeta».
L’importanza dei tifosi
L’ultimo pensiero nel mettere da parte bici, maglietta, casco e quant’altro è stato per i tifosi: «Ci tengo a ringraziarli, coloro che mi hanno sostenuto per tutta la mia carriera, che hanno appoggiato le mie scelte e per le strade urlavano il mio nome: “Attaque de Pierre Rolland” era diventato quasi un mantra, lanciato da L’Equipe e che i tifosi avevano preso come slogan. Mi dispiacerà non sentirlo più…».