«L’altro giorno eravamo qui in palestra e ho visto due ragazzetti di 14-15 anni. Qui in Sicilia hanno il culto del body building e tanti ragazzi passano il tempo in palestra. Così gli ho chiesto se fossero capaci di andare in bicicletta. E quando hanno detto di sì, li ho invitati a venire in pista. Se quelli che fanno velocità non vai a cercarli, non li trovi. E io quasi quasi vado in giro a suonare i campanelli…».
La chiamata di Dagnoni
Ivan Quaranta è a Noto con gli azzurri della pista. Con lui, lo staff performance della FCI. Fino a ieri Michelusi, oggi invece è arrivato Bragato. Mattina palestra, pomeriggio pista. Certi giorni anche strada, perché il fondo comunque serve. Il gruppo della velocità è numeroso e agguerrito, le cose si stanno muovendo.
«E’ iniziato tutto – racconta Quaranta, in apertura alla pressa con Matteo Bianchi – quando mi ha chiamato Cordiano Dagnoni. Serviva una persona in più accanto a Marco Villa, che seguisse le discipline veloci. Qualcosa s’era già fatto negli anni precedenti, perché Predomo aveva preso un bronzo nella velocità e Bianchi era stato terzo nel chilometro da junior. Serviva un tecnico che ci mettesse la testa al 100 per cento. E’ nato tutto da passione, competenze e tempo, dopo una prima fase di studio».
Studio?
In trent’anni è cambiato tutto, le velocità, la tattica, i rapporti, i materiali, le preparazioni. All’inizio è stato molto importante Marco Villa, perché girando vedeva quel che facevano gli altri. Poi Diego Bragato. Alle prime Coppe del mondo, soprattutto a Glasgow, sembravo un paparazzo. Andavo in giro con la macchina fotografica a spiare le altre Nazioni. Ho fatto un miliardo di foto e filmati e prendevo i tempi mentre si allenavano. Ho fatto settimane in pista dalla mattina alla sera. La seconda fase è stata quella del reclutamento.
Come ti sei mosso?
Sono andato a parlare con la società e in particolar modo con la Campana Imballaggi-Geo&Tex, che aveva già tesserato Predomo e Bianchi. Ho parlato con Napolitano, che va forte e detiene il record italiano juniores sulla velocità. Ho iniziato a prendere contatto con i corridori, per non entrare in modo troppo diretto. Ho parlato con le famiglie, con i genitori che pretendono di allenare i figli, per fargli capire che sono preparato. Poi abbiamo iniziato a lavorare seriamente, questi ragazzi sono atleti al 110 per cento.
Sono venuti subito i risultati?
Abbiamo fatto il record italiano nel team sprint alla prima gara. Bianchi si è migliorato sul chilometro, abbiamo vinto subito delle Classe 1 e Classe 2. Li ho portati in giro per fare esperienza, avevano bisogno di correre. Un velocista corre poco, 5-6 competizioni in un anno, quindi più corrono e meglio è. Quando sono arrivati i primi risultati, sono arrivate anche le motivazioni. E si è messo in moto questo meccanismo, che ci ha portato a vincere quattro campionati europei e due titoli mondiali.
Ti aspettavi così presto?
Ora posso dire che su Predomo avrei scommesso. Vincere un mondiale è difficile. Fino a che sei in Europa, vedi chi vince i titoli nazionali e che tempi fanno, quindi sai cosa ti aspetta. Però non puoi sapere chi c’è dall’altra parte del mondo. Malesia, Cina, Burkina Faso. Il record del mondo ce l’ha un atleta di Trinidad e Tobago. E’ diventato tutto più difficile, ma Predomo aveva già fatto terzo lo scorso anno, quindi in un podio ci credevo.
Se lo aspettavano anche loro?
Ho cercato di non far trapelare questa fiducia per tenere alta la tensione. Però vedevo che miglioravano giorno dopo giorno. Siamo lontani dagli elite, ma dobbiamo confrontarci con quelli della nostra età. Per ora la cosa principale è stata aver creato un bel gruppo di lavoro. In primis però ci vogliono i cavalli buoni, perché sennò puoi essere il miglior tecnico del mondo, ma non va da nessuna parte.
Con Villa come va?
Marco ci appoggia. Lo stresso 24 ore al giorno, per una bicicletta o una ruota in più, per andare a fare una gara, convocare un corridore, fare due giorni in più di ritiro. Lui deve rendere conto, ma alla fine lo convinco sempre. Vede che stiamo lavorando bene ed è felice del nuovo gruppo che sta crescendo.
Cosa si può dire del Quaranta tecnico?
Cerco di essere più serio, perché ormai ho 48 anni, ma il carattere è sempre lo stesso. I corridori vedono in me uno che la pensa come loro. Questa è una delle più grandi qualità che ha un ex ciclista, anche se non è detto che un buon ex corridore diventi un buon tecnico. Devi studiare, applicarti, dobbiamo essere aggiornati.
La velocità sta diventando attraente per i giovani?
Vedendo i risultati, ci sono anche allievi che passano juniores, che chiedono di venire in pista. Anche qualche junior che passa da primo a secondo anno. Una bella mano ce la sta dando Tommaso Lupi, cittì della BMX. E’ il segno di un movimento che diventerà competitivo in tutto il mondo. Se oggi dovessimo fare un’Olimpiade under 23, saremmo sicuramente da podio in tutte le discipline. Perciò se non sarà per Parigi, sarà per quelle dopo.
E le ragazze?
Vivono una fase di transizione. Il WorldTour è nato da poco, quindi la ragazzina veloce pensa di fare il Giro d’Italia o il Tour de France. Una grossa mano possono darcela i corpi militari. Chi più chi meno, questi ragazzi si sistemeranno tutti, nell’Esercito, nella Polizia di Stato, nelle Fiamme Azzurre, che sono i tre corpi che più credono nel ciclismo. Se i ragazzi e le ragazze vedono che facendo velocità in pista ti sistemi per tutta la vita, allora anche noi diventiamo interessanti.
Qualcuna c’è…
C’è Miriam Vece, molto motivata a rientrare in Italia. Per lei sarà importante allenarsi con gli uomini, perché tecnicamente può migliorare, soprattutto nel keirin. Tutti abbiamo qualche paura, la sua è quella di fare le volate di gruppo. Poi c’è Fabiola Ratti, che ha fatto quinta al mondiale dei 500 metri. C’è un bel gruppetto di ragazzine, come Paccalini, Bertolini, e Bolognesi. Poi c’è anche Giada Capobianchi. Lei corre a livello internazionale e ha fatto dei buoni piazzamenti nelle Classe 1 e potrebbe essere importante, per esempio in un team sprint come prima frazionista. Alla fine è tutto un fatto di lavoro. E in questo i miei ragazzi non hanno paura di far fatica.