L’ultima “Ronde” di Peter Sagan, un uomo in pace

02.04.2023
9 min
Salva

Peter è sereno, si potrebbe dire che sia felice. Di lui abbiamo parlato con Elisabetta Borgia per capire cosa possa animare un atleta che ha già deciso di smettere. Lo incontriamo a Kortrijk nel pomeriggio di vigilia del Fiandre (ieri) per capire che cosa nel ciclismo gli faccia ancora battere il cuore. Lo slovacco è uno di quelli condannati a vincere, ma è pur vero che da un paio di stagioni si è allontanato dalle posizioni che contano. Le ragioni sono da capire. Si parla degli effetti deleteri del Covid, come pure del volo di 8 metri al Tour del 2018, dell’eccessiva disponibilità con gli sponsor fino ai rilevanti cambiamenti nella vita privata.

Resta il fatto che se ti chiami Peter Sagan e hai vinto tre mondiali, il Fiandre, la Roubaix, tre Gand, 12 tappe al Tour e sette maglie verdi, piazzandoti per 500 volte nei primi 10, hai diritto di esistere solo se continui a vincere. Altrimenti ti dicono che fai meglio a smettere e lo dicono con sprezzo.

Abbiamo incontrato Peter nel pomeriggio di ieri, alla vigilia del suo ultimo Fiandre
Abbiamo incontrato Peter nel pomeriggio di ieri, alla vigilia del suo ultimo Fiandre

Tredici anni di carriera

Fuori piove, per la corsa dicono che ci sarà il sole. Lo abbiamo visto crescere e quando gli mostriamo la prima foto del 2010, anche lui è costretto ad ammettere che questi 13 anni hanno scavato sul volto e nell’anima. Poi iniziamo a parlare.

«La prima volta che ho fatto il Fiandre – ricorda – mi sono ritirato, la seconda si è rotto il telaio. Volevo fare bene, ma ho dovuto aspettare tanto per la macchina. Nel 2016 l’ho vinto e secondo me facevo bene anche l’anno dopo, ma mi hanno fatto cadere sul Qwaremont. Il Fiandre è Monumento, come Sanremo e Roubaix. Sono le corse più grandi, con più storia, quelli dove tutti vogliono fare bene».

E’ il 2010, un giovanissimo Sagan sbarca al Tour Down Under: debutta così tra i pro’
E’ il 2010, un giovanissimo Sagan sbarca al Tour Down Under: debutta così tra i pro’
Sono anche le corse che preferisci?

No, le corse che piacciono a me sono più piccole. San Juan. Tour Down Under. Tour of California. Belle gare, divertenti, con buon tempo. Nei monumenti non c’è tanto da divertirsi. Va bene, anche il Tour de France è una grande gara, però con una pressione enorme. C’è grande aspettativa da parte di tutte le squadre e alla fine per il corridore diventa una gara brutta, perché dominata dallo stress.

Quindi il percorso e la storia c’entrano poco?

Non sono questi fattori a farti dire se una gara è bella o brutta, ma lo stress. Tutte le gare importanti hanno smesso di essere belle per i corridori proprio per questo. E’ chiaro che tutti si impegnano e uno alla fine vince, ma non è facile convivere con certe tensioni. Per me con gli anni è diventato più facile.

Dopo il ritiro del 2011, Sagan torna al Fiandre nel 2012 e arriva quinto
Dopo il ritiro del 2011, Sagan torna al Fiandre nel 2012 e arriva quinto
In che senso?

Ormai ho l’esperienza per dire che il fatto di stressarsi più o meno non cambia il risultato. Il Fiandre di domani (oggi, ndr) sarà una gara come tutte le altre. E’ importante e l’ho già fatto tante volte, spero davvero che non piova.

Come ci sei arrivato?

Con la tosse (ride e poi tossisce, ndr). Voglio fare bene, ma non voglio stressarmi per qualcosa che non posso cambiare. E’ il mio ultimo anno e voglio godermelo piuttosto che viverlo male. Vediamo cosa sarò in grado di fare. Tutti sappiamo che è difficile limare e gestire i problemi che ci saranno, perché in una corsa di 260 chilometri può succedere di tutto e ci sarà da lottare. Mi aspetto una guerra, come la Roubaix.

Il rapporto con Cancellara inizialmente è teso e di sfida: lo svizzero nel 2013 ribadisce chi comanda
Il rapporto con Cancellara inizialmente è teso e di sfida: lo svizzero nel 2013 ribadisce chi comanda
Parlano tutti di Van der Poel, Van Aert e Pogacar, ti dispiace che non si faccia più il tuo nome?

No, vabbè… Adesso è il loro momento, si godano pure la pressione. Io l’ho già gestita abbastanza.

Si parla dei disagi creati dal lockdown nei corridori di trent’anni: pensi di averlo pagato anche tu?

Di sicuro non è stato piacevole, ma non lo è stato per nessuno. E’ stato un momento difficile, nel quale è avvenuto un passaggio nel ciclismo che a me non è piaciuto. Non voglio mettermi a fare paragoni adesso che ho 33 anni, perché quando sono arrivato io, altri avranno pensato le stesse cose. Io non sentivo un cambiamento, mentre loro magari lo hanno sofferto. Però è sicuro, dopo 13 anni da professionista, vedo delle differenze.

Qual è la differenza più grande che vedi?

Non voglio fare il professore, però di sicuro la tecnologia nelle corse ha cambiato tanto. Fino a poco tempo fa, facevamo le riunioni prima della gara con una mappa e con un pennarello si segnavano i 4-5 punti da ricordare. La grande differenza l’ha fatta VeloViewer. Adesso ogni direttore sportivo può usare lo zoom e vedere dove sono i corridori, capire il vento e i punti pericolosi o stretti.

Quindi?

Quindi se fino a 8-9 anni fa ci dicevano che stava per iniziare la salita oppure che dopo 5 chilometri avremmo trovato una curva pericolosa in cui stare davanti, adesso parlano ogni 100 metri. Puoi anche non dargli peso, ma ci sono i più giovani che non capiscono niente, non conoscono le strade e sono alle prime gare in Belgio, che hanno grinta e lottano tutto il giorno per la posizione. Anche se poi restano senza gambe. Prima non c’era questo stress.

Una volta si ragionava sul togliere le radio…

Oggi la radio è solo lo strumento per utilizzare tutta la tecnologia che hanno in macchina e fare pressione sui corridori. Parlano tanto, ma dicono cose che a volte non servono e fanno solo casino. La strada resta sempre larga tre metri e non c’è posto per 200 corridori tutti davanti. Prima tirava una squadra, due al massimo e gli altri avevano rispetto e si mettevano dietro. Adesso vedi 8-9 squadre in testa e stare in gruppo diventa uno stress. Sarebbe bello che ogni corridore studiasse il percorso senza affidarsi solo alle radioline.

Ti condiziona in corsa?

Se qualcuno ti dice sempre che devi stare avanti, come fai a stare concentrato? A volte sto prendendo la posizione e mi sto concentrando, quando cominciano a parlarti in radio. Alla fine non ascolto neanche, ma intanto la concentrazione è stata interrotta. Non voglio venire qua a giudicare, voglio godermi l’ultimo anno e amen. Tocca ai giovani semmai lamentarsi.

Il fatto di non volerti stressare non ti limita?

Prima non ero così tranquillo. Ho raccontato a un fisioterapista che ogni tanto faccio yoga. Lui mi ha chiesto che cosa significhi e io gli ho spiegato che lo yoga serve per trovare la pace dentro di sé. E lui mi ha detto che per un atleta non va bene, perché l’atleta deve combattere e, se non trova la rabbia, non riesce a farlo. Adesso non sto facendo yoga (ride, ndr), però guardo la situazione da un angolo diverso. Perché devo rischiare di morire? Alla fine correre in bici è pericoloso, ma io ho anche altri obiettivi nella vita.

Avresti voluto chiudere anche prima?

Ho avuto il pensiero. La mia carriera non è stata sempre ogni anno rose e fiori, sono passato anche per momenti difficili, infortuni o momenti che non andavo più. Cercavo di capire dove sbagliassi, ma nel 2014 volevo già ritirarmi. Dopo ho risolto un po’ di problemi e da quel momento c’è stato il cambio della mia carriera. I miei migliori anni ancora sono arrivati allora. Ma non credo che possano arrivarne altri se continuo fino a 36-37 anni.

Perché?

E’ molto difficile stare in questo mondo, perché più sei vecchio e più cose devi fare. Trovare la condizione è sempre più difficile. E se arriva un giovanotto che segue il suo allenatore alla lettera, cui non pesa fare la dieta e andare in palestra di mattina e in bici pomeriggio, avrà un vantaggio. Non voglio dire che a me pesa, perché è il mio lavoro, ma io ho un figlio e preferisco passare del tempo con lui che essere tutto il giorno a tutta.

Nel 2019, primo anno dal 2016, Peter corre senza iride e chiude 11°. Il Covid è alle porte
Nel 2019, primo anno dal 2016, Peter corre senza iride e chiude 11°. Il Covid è alle porte
Alla fine si sta semplicemente chiudendo la parentesi di Sagan corridore…

Vero, ma solo perché voglio che si chiuda. E’ difficile restare in gruppo senza un motivo. Potrei andare ad aiutare un giovane con la mia esperienza, rimanere nel ciclismo solo per stare in gruppo, ma non è nel mio carattere. Ho sempre voluto essere leader e vincere le gare, non rimango in bici solo per stare in gruppo e finire le gare. E’ meglio continuare con un’altra strada e che ti dà la motivazione, no?

Elisabetta Borgia dice che senza un obiettivo non si riesce a tirar fuori molto.

Il mio obiettivo è fare bene e poi qualcosa arriva. Non verrei alle classiche se non avessi fatto allenamenti e sacrifici. Poi c’è il Tour e lì devi arrivare preparato. Subito dopo ci sono i mondiali, che possono essere la mia ultima occasione. E subito dopo ci sono i mondiali di mountain bike, che diventano la mia priorità per qualificarmi per le Olimpiadi.

L’addetto stampa Gabriele Uboldi è parte fissa del Team Peter, come il massaggiatore Marosz, il diesse Valach e il procuratore Lombardi
L’addetto stampa Gabriele Uboldi è parte fissa del Team Peter, come il massaggiatore Marosz, il diesse Valach e il procuratore Lombardi
Poi sarà tempo di vacanze?

Vediamo. Sono via da casa dall’inizio dell’anno. Abbiamo fatto l’Argentina, ma sono tornato dopo un mese e mezzo perché sono andato in ritiro con la squadra in Colombia. Al rientro subito Het Nieuwsblad e poi Strade Bianche, Tirreno e Sanremo. Poi di nuovo in Belgio, tornando a casa per un paio di giorni. Sacrifici se ne fanno ancora e io sto vivendo così da 14 anni. Non ho una mia vita privata, così per continuare mi serve un obiettivo che è la qualificazione olimpica.

Si dice che da grandi conviene correre di più, piuttosto che fare tanti ritiri…

Dieci anni fa dicevano che quando sei più vecchio, è meglio allenarsi di più e correre di meno, quindi chi ha ragione? Prima si diceva che l’età migliore arrivava fra 27 e 32 anni, poi arrivano Pogacar e Bernal e vincono la corsa più importante del mondo a 21 anni. Nel nuoto hanno vietato i costumi che galleggiano e scivolano meglio, ma continuano a battere tutti i record. Presto o tardi arriverà chi batterà i tempi di Usain Bolt. Nel ciclismo lo stesso. E’ cambiata la generazione. Prima vincevano il Tour de France a 29-30 anni, adesso a 30 sei vecchio. Da dove nasce questa differenza? Io non lo so.