Ed eccolo Dario Cataldo, sempre più a pieno regime nel suo nuovo ruolo. Da direttore sportivo in corsa a direttore sportivo in ammiraglia, quella della XDS-Astana. L’abruzzese è tornato nel team che probabilmente ha caratterizzato di più la sua carriera. Aru, Nibali e tanti altri ragazzi forti erano parte di quel gruppo e lui c’era. Ed era un riferimento.
Con Dario ripercorriamo questi primi mesi “dall’altra parte della barricata”. Un approccio preso, come da sua abitudine, con piglio, passione e decisione. Competenza.


Dario, sei direttore sportivo. Come ti sono sembrati questi primi mesi? Quando a novembre non hai ripreso la preparazione…
Eh sì, è strano non dirlo, però alla fine questo momento è arrivato. Il fatto che, appena finita la stagione, ero già preso con degli impegni con la XDS-Astana mi ha fatto proiettare subito su altre esigenze, quindi con la testa ero già di qua e non ho sofferto troppo il distacco. In più le mansioni che avrei dovuto svolgere da direttore erano cose a cui pensavo già da diverso tempo.
Cosa intendi?
Già da corridore mi sono sempre fatto domande sullo staff, cercando di mettermi nei panni degli altri. Interpretare la situazione della persona che hai di fronte per capire le sue esigenze e incastrarle con le tue. Mi mettevo nei panni del massaggiatore che si sveglia la mattina alle 5 per fare tutte le mille mansioni che deve svolgere. E il massaggio è quasi l’ultima tra queste. Si pensa che il direttore abbia il controllo assoluto su tutto quello che fa un corridore, ma non è così semplice. Forse più il preparatore ce l’ha. E infatti il diesse si interfaccia spesso con il preparatore. Insomma, ho cercato di switchare subito.
Ma non è facile applicare tutto subito…
Non conosci al 100 per cento le cose che andrai a fare, ma fino a che non ti ci butti… Insomma, serve la pratica. Qualunque scuola non è sufficiente. Ho fatto le prime corse in Spagna, poi in Oman, che è una cosa particolare, perché non sei con i mezzi della squadra, ma con quelli dell’organizzazione. Pertanto, la logistica è molto particolare, il numero di personale molto ridotto e tutto va incastrato. Posso dire che è stato formativo.


A chi sei stato affiancato in queste prime gare?
Ad Alexandre Shefer. Lui era stato mio direttore quando ero corridore qui in Astana. Ci conosciamo bene.
Tra le varie mansioni del diesse, quale ti è venuta più naturale?
Essere in ammiraglia. Alla fine è quasi un’estensione di quello che fai già da corridore.
Che poi tu eri un road captain, come si dice oggi. Il regista, il direttore in corsa…
Esatto. Analizzare la corsa, anticipare i tempi su quello che succederà sia tatticamente con le altre squadre, il vento, il meteo, il percorso, le esigenze del leader… Tutte queste dinamiche ho iniziato a trattarle da un’altra postazione. La cosa che mi mette un po’ in difficoltà è il fatto che da corridore sei sul posto. Vedi quello che succede in gara in tempo reale: avversari, movimenti dei team, sai il vento com’è, vedi il tuo capitano come pedala. Invece in ammiraglia non vedi praticamente nulla e non subito. Devi andare sull’interpretazione, su quello che dice radio corsa o che ti dicono i tuoi corridori. E ora, da direttore sportivo, mi rendo conto di quanto sia importante e fondamentale avere un buon road captain, una persona di fiducia responsabile che sta lì al momento, sa prendere decisioni e mantenere la comunicazione con l’ammiraglia.
A proposito dei ruoli, Dario, fino a pochi mesi fa eri spalla a spalla con molti dei tuoi atleti. Come ci si barcamena? Autorevolezza, autorità…
Non credo sia né una questione di autorevolezza né di autorità. Se si parte da questi presupposti, per me, si sta già sbagliando. Sai che di fronte hai atleti con esperienza per capire. Il dialogo diventa fondamentale. Instaurare quel rapporto di fiducia è alla base. Non è quindi autorevolezza, ma collaborazione. E per adesso mi sembra che questa collaborazione venga riconosciuta. Poi magari anche io farò degli errori, è normale. L’importante è essere onesti da entrambe le parti, parlare…


Un esempio di successo o di qualche problema di cui avete parlato nel post gara?
Sì, ci sono state occasioni in cui tatticamente si poteva fare meglio. Bisognava farlo presente ai corridori. Ed è stato fatto. Prima ho sentito i feedback di tutti i corridori singolarmente. Poi ci si è seduti tutti insieme. Quello che voglio far capire è che quando si fa notare un errore, non è una punizione, ma un modo per cercare di migliorare in vista delle prossime volte.
In questo ciclismo che va veloce, quanto conta essere freschi di gruppo? Un diesse giovane non è lontano dal ciclismo reale, non è ancorato a vecchie dinamiche. Sia chiaro, non è una critica verso i diesse più maturi, ma è evidente che tante cose sono cambiate…
Moltissime cose sono cambiate ed essere freschi di gruppo, come dite voi, conta tanto davvero. Anche da corridore mi rendevo conto del fatto che certe volte, quando si analizzava una corsa con i direttori, specie negli ultimi tempi, bisognava rimarcare alcuni aspetti. Dicevo: «Guarda che non è più così. Non è più come una volta». Bisognava ricordare che nelle cose concrete sono cambiati tutti i modi di interpretare la corsa. Da quando sono cambiati i modi di alimentarsi, è cambiata la distribuzione delle energie e di conseguenza cambia tutto.
E proprio qui volevamo arrivare…
Faccio un esempio banale. Prima c’era la fuga e sapevi che la situazione era sotto controllo. Due, tre, cinque atleti… sapevi che non arrivavano e non bisognava ammazzarsi a tirare, tanto sarebbero “rientrati da soli”. Una volta stabilizzata la corsa, iniziavo a fare i miei calcoli e mediamente sapevamo che si poteva recuperare un minuto ogni 10 chilometri. Ogni 5 facevi una proiezione e sapevi se dovevi accelerare o calare. Adesso è un problema chiudere sulla fuga e, a seconda di chi c’è, è quasi impossibile. Insomma, se oggi la fuga ti prende 10′ non la recuperi. E quindi, chiudendo il discorso, avere queste sensazioni fresche ti consente di capire meglio i corridori e di metterti nei loro panni.


Chi sono i tuoi atleti di riferimento?
Ho Fortunato, Schelling, Kajamini e Toneatti.
Passiamo al Dario uomo: come ti è cambiata la vita nel quotidiano?
In questo momento sono abbastanza assorbito dal lavoro, ho tante cose nuove per me e mi portano via più tempo. Preparare i file delle corse da VeloViewer, i vari meeting, i contatti con i ragazzi… sto costruendo una nuova quotidianità.
Quindi niente bici?
Per due mesi non ho toccato la bici perché mi sono operato al femore e me lo sono imposto. L’osso era ancora fragile e non volevo rischiare nulla. Faccio un po’ di palestra, qualche corsetta per non ingrassare come una palla. Anche se mi hanno detto: «Oh Dario, finalmente sembri una persona normale!». D’altra parte si sta a stecchetto da quando si è ragazzi. Anche se devo dire che recentemente due sgambate le ho fatte. Due uscite per risentire un po’ di vento in faccia.