Yaroslav Popovych è stato uno dei dilettanti più forti di sempre. Ha vinto tanto, ha conquistato corse importanti e in quella categoria ha acquisito un carattere tosto che gli ha consentito di fare una lunga carriera anche tra i pro’. Una carriera nella quale è salito anche sul podio del Giro d’Italia, terzo nel 2003.
Uomo dell’Est, ucraino, in tanti anni ha mescolato la sua esperienza con il suo carattere duro ed oggi è un dei direttori sportivi nella Trek-Segafredo più apprezzati dai giovani… e non solo.
Popovych ha gareggiato fino alla primavera del 2016, proprio nella Trek. All’epoca non era più già da un po’ un capitano, ma su di lui si poteva sempre contare. E lo aveva capito bene Fabian Cancellara.
Quando è nata l’idea di fare il direttore sportivo?
L’idea di fare il ds è nata nel 2015 – racconta Popovych – ma già dopo aver superato i 30 anni ho iniziato a pensare a cosa avrei fatto quando avrei smesso. I soldi che avevo guadagnato non mi sarebbero bastati per tutta la vita. Però avevo solo corso e non sapevo fare altro. Il mio obiettivo era di gareggiare fino a 40 anni, ma diventava sempre più difficile. A 35-36 anni dovevi fare sempre più sacrifici per restare al passo e i giovani andavano sempre più forte. Io avrei corso un po’ di più, ma non era possibile.
E poi cosa è successo?
Nel 2015 uno dei ds della Trek mi disse: Yaro, perché non pensi di restare con noi come direttore sportivo? Io ci pensai su. Parlai con Guercilena e mi disse che questa possibilità era reale. A quel punto ho pensato che avrei dovuto prendere al volo quel treno. Anche perché una cosa è quando vai a chiedere tu e una cosa è quando te lo chiedono gli altri.
E così sei salito in ammiraglia nel 2016?
Dovevo smettere prima di quella stagione. Ma all’epoca ero ormai sempre con Cancellara, condividevamo spesso la camera e lui mi disse di aiutarlo almeno fino alla Roubaix. E così andò. Ma non fu facile smettere. Sì, la vita del corridore è dura, ma anche bella: giri il mondo, frequenti begli alberghi, conosci tante persone, ho imparato tante lingue. Comunque già durante quell’inverno, quindi fine 2015, presi la licenza Uci e un mese dopo la Roubaix ero in ammiraglia al Giro.
Scommettiamo che in quei mesi prima della Roubaix eri motivatissimo…
Me li sono goduti, è vero. E mi sembrava di andare anche più forte. Ricordo che in quelle corse prima della Roubaix dopo aver finito il mio lavoro per Fabian mi staccavo. Ma poi pensavo: cavolo, Fabian è solo, devo dargli una mano. E così risalivo il gruppo. Magari riuscivo a tirare solo per un chilometro e poi mi ristaccavo. In una corsa avrò fatto così 5-6 volte. Erano le ultime gare e volevo esserci.
Ormai è un po’ che sei dall’altra parte. Qual è un dogma del Popovych direttore sportivo?
La puntualità. La pretendo da tutti. Io sono sempre in anticipo. Non sono una persona difficile, mi piace confrontarmi con lo staff e con i corridori. Soprattutto all’inizio, il mio lavoro consisteva molto nell’organizzazione del team, nella logistica: chi va su questa o quella macchina, dove disporre le feed zone e per questo spesso chiedevo ai meccanici e ai massaggiatori, che sono coloro che lavorano più di tutti e che hanno una grande esperienza. Mi affidavano i giovani, per esempio ho avuto sin da subito Ciccone, che adesso è un capitano.
Hai parlato di confronto con lo staff: è incluso anche il preparatore?
Fino a quest’anno poco, non avevo tutto questo potere! Adesso invece che seguo molto Ciccone sì. Parlo spesso con Jusu Larrazabal, il preparatore di Cicco, e decidiamo per esempio se è meglio fare questa o quella corsa, se o quando fare l’altura, se modificare l’allenamento in base alle previsioni meteo…
Che rapporto hai con i corridori? Con alcuni hai anche corso e passare dal gruppo all’ammiraglia non è facile…
Vero, con alcuni di loro ho corso, ma sono sempre di meno. Ho passato quella fase in cui ero ancora l’amico. E infatti i primi anni non è stato facile e per questo mi affidavano i giovani come ho detto: loro ti vedevano direttamente come ds e non come ex compagno. Nibali o Mollema non parlano con me come se avessi 50 anni, però devo dire che da parte loro c’è rispetto. Mi ascoltano… sennò mi arrabbio facilmente!
Ti arrabbi! E sei da bastone o da carota?
Dipende dai giorni! No, dai… Cerco sempre di mettermi nei panni di chi lavora tanto e non dei campioni. Loro vanno forte e sono sempre in vista in qualche modo, gli altri invece lavorano e spesso restano dietro le quinte. Penso che la base di tutto sia il lavoro e vorrei lo pensassero anche i ragazzi. Comunque mi arrabbio poco e quando succede mi passa facilmente.