Guido Bontempi ha avuto una carriera di altissimo livello tra gli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90, in cui ha vinto molto, anzi moltissimo. Sedici tappe al Giro d’Italia, sei al Tour, quattro alla Vuelta, due Gand-Wevelgem, una Parigi-Bruxelles e una E3 Harelbeke, oltre a due podi alla Milano-Sanremo.
Dopo una seconda parte di carriera come direttore sportivo terminata nel 2012, ha riunito le sue due passioni, la moto e il ciclismo. Ha lavorato prima come pilota regolatore e poi come motociclista al servizio dei fotografi in alcune delle più importanti corse del mondo. L’ultima delle quali è stata il Giro d’Italia appena concluso. Ci siamo fatti raccontare la sua esperienza.
Guido, com’è nata questa passione per il motociclismo?
Sempre stato appassionato di moto, fin da ragazzo. La prima l’ho avuta già a 16 anni, una bellissima Vespa primavera ET3, poi sono passato ad una Cagiva 350 e poi una Yamaha. Durante gli anni da direttore sportivo ho messo tutto un po’ in stand-by, ma appena andato in pensione, nel 2012, quella passione è ripartita.
E ha fatto il grande passo: da stare in gruppo in bici a starci in moto…
Sì, mio fratello era già nel giro, mi ha un po’ motivato e quindi mi sono detto: perchè no? Nei due anni successivi ho fatto il corso di motostaffetta tramite la Federazione, poi quello di scorta tecnica ufficiale con la Polizia Stradale, che mi hanno abilitato a partecipare a tutti i tipi di corse. Poi Vito Mulazzani, che all’epoca era il responsabile delle moto di tutte le corse Rcs, mi ha introdotto in Rcs dove ho iniziato a lavorare come pilota regolatore con Longo Borghini. Da lì le mie conoscenze mi hanno permesso un po’ alla volta di spostarmi anche con i fotografi e gli operatori della televisione, un mondo che mi hanno aperte tutto un altro ventaglio di possibilità. Per esempio ora collaboro anche con le corse di Unipublic – del gruppo ASO – come la Vuelta, l’Itzulia e la Volta Catalunya, oltre che con l’agenzia Sprint Cycling di Roberto Bettini. Diciamo che poi, essendo in pensione, posso decidere liberamente come e dove spostarmi, il che mi dà grande libertà.
Adesso quindi può decidere lei a quali gare partecipare?
Diciamo di sì, poi naturalmente dipende anche molto dalle richieste che ho. Cerco di andare sempre alla Parigi-Nizza, al Delfinato e al Giro. Anche la Strade Bianche è molto bella, anche se l’ho fatta solo da regolatore perché coincide con la Parigi-Nizza e in genere, appunto, in quel periodo sono in Francia. Comunque sia le gare mi piacciono tutte, perchè mi permettono di stare in gruppo, vedere i corridori da vicino, le loro espressioni, le loro emozioni anche. Quello che si vede in televisione io ho la fortuna di vederlo dal vivo. L’anno scorso ho fatto circa 100 giorni di corsa, che non è poco, ora dopo il Giro ho un po’ di riposo, poi a metà agosto si riparte per la Vuelta.
Per uno che fa il suo mestiere è davvero così importante aver fatto il corridore?
Sì, assolutamente. E’ fondamentale perché occorre conoscere bene il modo in cui si muove il gruppo, le dinamiche che si creano. Saper capire quali sono i momenti di nervosismo ed è meglio stare distanti e quando invece c’è più tranquillità e ci si possono permettere certe manovre. Secondo me si vede eccome la differenza tra un pilota che è stato corridore e uno che invece non ha mai gareggiato in bici. Lo vedi non solo dal modo di guidare, ma anche dall’attenzione per i punti migliori in cui piazzarsi per scattare la foto giusta.
A proposito di scatti, com’è andata quest’esperienza al Giro d’Italia con Bettini?
Direi che è andato molto bene, un Giro fatto sempre in prima linea assieme a Luca (Bettini, ndr). Intanto non siamo mai stati richiamati dalla giuria, neanche una volta, che è già un’ottima cosa. Per il resto è stato un Giro tranquillo, abbiamo avuto solo due-tre giornate di brutto tempo. Il bello di stare in gruppo con un fotografo è che puoi stare in mezzo alla corsa fino all’ultimo, che vuol dire fino a circa a 1 km dall’arrivo nelle tappe in salita e fino a 5-6 km dalla fine in quelle in pianura. Dipende un po’ dalla tortuosità del percorso. Poi la Giuria ti fa spostare per questioni di sicurezza, ma fino a quel momento te la godi tutta.
E allora cosa ti è parso della gara?
Da una parte è vero che Pogacar l’ha uccisa già dall’inizio, dall’altra però ha dato spettacolo comunque attaccando a ripetizione. Ha fatto il campione, ecco. L’ho visto sempre tranquillo, sempre nella posizione giusta, poi aveva una squadra che l’ha scortato benissimo in ogni tappa. Per cui quando è così – squadra forte e grandi gambe – viene tutto molto più facile. Quello che è certo è che non mi è mai sembrato in affanno. Adesso aspettiamo di vederlo al Tour con gli altri avversari.
Come ha visto gli altri corridori da classifica?
Hanno fatto quello che potevano, che non era granché contro uno così. Thomas ha fatto il suo, ma è a fine carriera. Martinez ha pedalato abbastanza bene, ma non mi ricordo grandi azioni tranne quelle dello sloveno. Mi ha impressionato sul Grappa, la prima salita l’hanno fatta tranquilla, la seconda invece è stato un trionfo personale della Maglia Rosa. Una passerella spettacolare resa ancora più bella da tutta la gente che c’era.”
Molto pubblico?
Sul Grappa davvero tantissimo, una folla ovunque. Ma anche nelle altre tappe c’era moltissimo pubblico. Mi ricordo sul Mortirolo per esempio o anche su altre montagne, molto più che negli anni scorsi. Stessa cosa per le città, nella tappa di Napoli o anche a Roma, dove i turisti hanno approfittato per vedere da vicino i corridori. Credo sia merito dell’effetto Pogacar che ha attirato moltissima attenzione, dando una bella mano di freschezza al Giro.
Ha notato differenze tra il modo di correre attuale e quello che c’era ai suoi tempi?
Credo che adesso ci sia molto meno affiatamento tra le moto e gli atleti. Ai miei tempi, per esempio, capitava abbastanza spesso che si dessero dieci mila lire ai motociclisti per andare a prendere un ghiacciolo, ora queste cose non capitano più. Forse perché c’è la tv e il gruppo è sempre in diretta in ogni momento, oppure perché c’è un agonismo spinto all’eccesso, non lo so, però certo è cambiato molto. I corridori devono capire che le moto sono al loro servizio, invece a volte il gruppo non le lascia passare e posso assicurare che quando i corridori decidono che non si passa, non si passa e basta. Ma le moto sono lì per la loro sicurezza, senza quel lavoro i pericoli non possono essere segnalati e questo è un guaio. A volte basterebbe che si spostassero per 100 metri e passarebbero 10 moto. E poi c’è anche un’altra cosa diversa rispetto al passato.
Sarebbe?
Ora con i freni a disco i corridori vanno fortissimo, specialmente in discesa e non è semplice avvicinarsi il giusto per permettere al fotografo di fare lo scatto giusto. Occorre avvicinarsi e poi scappare via subito per non intralciare, e comunque molti corridori si lamentano. Invece quando correvo io, mi era molto utile avere una moto davanti. In base alle frenate del pilota infatti, mi regolavo sul tipo di curva che stavo per affrontare. Se vedevo una frenata leggera, sapevo che potevo buttarmi più deciso. Se invece lo vedevo pinzare due o tre volte, capivo che c’era una svolta secca e rallentavo di più. Quando sei capace di leggere la guida della moto che hai davanti, puoi andare molto più forte. Adesso invece la maggior parte dei corridori non lo fa più, anche se secondo me li aiuterebbe molto. Adesso la moto più che altro dà solo fastidio.
Ultima domanda Guido. Ha mai avuto giornate difficili in questi anni da pilota in gruppo?
Diciamo che quando piove bisogna sempre stare molto attenti, certo. Mi ricordo di una Strade Bianche in cui pioveva a dirotto e la moto in discesa sullo sterrato andava un po’ dove voleva lei, ma alla fine bastava farla scorrere, riprenderla alla fine e non abbiamo avuto problemi. Perché la verità è che se ti piace la moto e ti piace il ciclismo, di veri momenti difficili ne trovi gran pochi.