Un giorno a casa De Lie. Tra mucche e trofei, scattano i racconti

15.11.2023
8 min
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LECHERET (Belgio) – Sulle colline del Lussemburgo Belga soffiano folate di vento decise. Il cielo è grigio così come le case col tetto a spiovente. Ogni tanto volano gocce di pioggia e foglie morte. Foreste si alternano ad ampie praterie che fanno sembrare gli spazi enormi. E’ qui che vive Arnaud De Lie, uno degli astri nascenti del ciclismo belga.

«Benvenuti – il corridore della Lotto-Dstny ci apre la porta con un sorriso – come avrete visto qui ci sono più mucche che persone!». Una battuta, mentre il cane Oscar corre dappertutto e il ghiaccio è già rotto.

Si apre la porta

Altre volte siamo stati a casa di corridori che vivono in campagna, ma per loro la vita agricola era lontana. Per De Lie invece è vera. «Questa mattina, sapendo del vostro arrivo, mi sono dovuto sbrigare con le mucche». Ci avevano detto che quello che pubblicava sui post e le sue dichiarazioni circa la vita di campagna erano vere: non possiamo far altro che confermare.

Entrando nel mondo privato di un corridore, partiamo dalle prime sue pedalate. «Mio padre Philippe andava in bici – racconta Arnaud – e anche noi (il riferimento è al fratello Axel, presto anche lui corridore a tempo pieno, ndr) spesso volevamo fare come lui. Io ho iniziato a sette anni con la mtb. Sono andato subito bene. Poi a undici anni sono passato alla strada. Nelle categorie giovanili ho vinto il titolo nazionale e poi tutto il resto. Ed ora eccomi qua, con questa passione che è anche una professione».

“Passione che è anche una professione”: tuttavia lo stesso Arnaud ammette che non ama del tutto definirlo un lavoro. «Se il ciclismo fosse un lavoro sarebbe un vincolo. Anche se di fatto è un mestiere io preferisco vederlo davvero come una passione. E’ così che lo vivo. Alzarmi la mattina per andare a pedalare non è qualcosa che mi pesa, al contrario».

La fama per ora non è un problema per De Lie, che ben si presta a partecipare agli eventi di contorno (foto Instagram)
La fama per ora non è un problema per De Lie, che ben si presta a partecipare agli eventi di contorno (foto Instagram)

Fama in crescita

Mentre parliamo scopriamo la casa della famiglia De Lie. Anche questa è grigia, ben rifinita, con una vettura elettrica nel cortile come moltissimi belgi. La stalla è dall’altra parte del cortile. Dietro e davanti i terreni dove pascolano le mucche.

In Belgio è molto sentito il rapporto dei corridori con i fans. Ora De Lie lo riconoscono per strada, specie quando va nelle Fiandre. Più che in Vallonia. In quelle terre il ciclismo è vissuto davvero in altro modo.

Qualcuno ha criticato Evenepoel per non essere sempre educato con i tifosi. Addirittura lo hanno additato per essersi trasferito in Spagna. Van Aert è assediato nella sua casa di Herentals. La pressione, insomma, da queste parti si sente se sei un ciclista forte.

«Io però la pressione non la sento – prosegue De Lie – so cosa voglio fare. Conosco i miei obiettivi, ciò di cui sono capace e non sono capace. Io poi ancora non sono all’altezza di Remco o Wout. Sì, sono cresciuto, ma loro hanno vinto molto di più. Remco ogni giorno saluta 251 persone e se ne salta una esce la critica. Ma le altre 250? Per me è molto più facile, anche perché da queste parti come avete visto non c’è molta gente!».

«Sono un finisseur»

Ma gli argomenti si fanno anche più tecnici. Molti dei suoi trionfi sono in volata. Guai però a dargli dello sprinter e basta. Questo era un argomento che avevamo preparato nella nostra scaletta, ma Arnaud ci ha preceduto.


«Per il momento – spiega – penso che sia Philipsen il più forte sprinter del gruppo. Lo abbiamo visto in Francia, dove c’è il livello più alto. Riesce a vincere quando è messo bene e anche quando è messo male. Se dovessi rubare una caratteristica da lui, ma anche da altri velocisti, direi quella di essere un po’ più pazzo in volata, perché per fare certi sprint devi essere un po’ folle. Non devi avere paura di prenderti certi rischi. O pensare che potresti finire la tua carriera se dovesse andare male.

«E poi io sono veloce, ma non sono un velocista. Sono un finissseur», sottolinea il “Toro di Lecheret”.

E qui il discorso si espande. De Lie stesso ci parla della sua vittoria al GP Quebec, un successo nel quale ha sì vinto in volata, ma regolando un gruppo ristretto di corridori che di certo non sono velocisti. Da qui il suo essere finisseur, le classiche e il fatto che vivere su queste colline dove di fatto passa la Liegi (siamo ad una manciata di chilometri da Bastogne) inciderà pure qualcosa.

Secondo lui il fatto di aver vinto le prime corse da pro’ in volate di gruppo lo ha etichettato come uno sprinter. La corsa in Canada invece ha dimostrato una volta per tutte che Arnaud è più di un velocista. In Belgio si dice che possa essere un Boonen.

«Posso passare le salite brevi e questo va bene per le classiche. Qui ci sono molte colline. Se vado verso il Lussemburgo posso trovare anche scalate di 15 minuti. Sono molto fortunato sotto questo punto di vista. Ho anche la pianura se serve. Ed è okay anche il traffico: ieri avrò incontrato tre macchine in due ore e mezza».

Arnaud ci mostra uno dei campi dove pascolano le sue mucche che, aguzzando la vista, si possono scorgere
Arnaud ci mostra uno dei campi dove pascolano le sue mucche

Campione tra i campioni

Dicevamo che queste sono le strade della Liegi: inevitabilmente i primi ricordi di De Lie sono legati  a questa corsa. Anche se lui mette nel calderone un po’ tutte le classiche. All’inizio non seguiva moltissimo il ciclismo. C’è voluto Gilbert per scuoterlo.

«Era il 2010, forse 2011 e c’era Gilbert: è con lui che ho iniziato ad appassionarmi alle corse. Ma ricordo bene anche la volta in cui rimasero in testa i fratelli Schleck e mi hanno colpito le vecchie immagini di quella Liegi del freddo che vinse il “Tasso”, Bernard Hinault».

Ora quel bambino non c’è più, anche se i lineamenti del viso e i suoi 21 anni direbbero il contrario, ma De Lie in gruppo non è più il giovane rampante. Adesso è un corridore importante e questa cosa l’ammette anche lui. Di conseguenza cambia il rapporto con i colleghi, specie i senatori.

«A tal proposito – racconta – ho un bell’aneddoto con Matteo Trentin. Lui è davvero un ragazzo che rispetto molto. Ricordo che una volta dopo una gara avevamo dibattuto un po’. Poi un giorno abbiamo parlato e mi ha detto: “Arnaud, devi avere più amicizie in gruppo”. Ora è un amico».

Il ragazzo sa bene che i senatori, soprattutto se sono compagni esperti, servono. Servono per vincere. Pensiamo a De Gent, a Campenaerts e a Jacopo Guarnieri. Specie se poi hai le classiche nel mirino.

Lo scorso anno Arnaud non è arrivato alla Sanremo al top, ma la Classicissima è una corsa nelle sue corde
Lo scorso anno Arnaud non è arrivato alla Sanremo al top, ma la Classicissima è una corsa nelle sue corde

Passione Italia

E una di queste classiche è la Sanremo, tra l’altro l’unica gara che De Lie ha disputato in Italia da quando è pro’.

«Eppure l’Italia mi piace – riprende De Lie – è lì che sono iniziate davvero le mie speranze con il Giro d’Italia U23… Ci sono tante gare che mi piacciono molto, ma stando in una squadra belga veniamo poco da voi, le opportunità non sono poi molte. Ci sarebbe anche il Lombardia, ma per me è un po’ complicato».

Lo scorso anno la Lotto-Dstny non ha fatto il Giro d’Italia. In teoria quest’anno dovrebbe esserci e De Lie ne sarebbe felice, ma è invece probabile che sarà dirottato sul Tour… suo malgrado.

«Magari farò la Tirreno-Adriatico. Anche perché in vista della Sanremo c’è stata un po’ di delusione l’anno scorso. Stavo bene, ma dopo la Parigi-Nizza mi sono ammalato. Ma ripeto, l’Italia mi piace molto. Ho dei bellissimi ricordi del “Baby Giro”. Mi piacciono l’atmosfera, il tifo».

Discorsi fra… tori! Questo è uno dei tori della fattoria De Lie, soprannominato a sua volta il Toro di Lecheret
Discorsi fra… tori! Questo è uno dei tori della fattoria De Lie, soprannominato a sua volta il Toro di Lecheret

Sanremo nel mirino? 

Arnaud ci mostra la stalla. L’altro pezzo di casa. Ci porta dalle sue mucche. Le tratta come fossero amiche… e forse lo sono. E la cosa deve essere reciproca, perché anche loro lo cercano e si fanno coccolare. C’è anche un toro di 800 chili. La foto con questo bestione è immancabile visto il suo soprannome! L’altro bestione è il trattore: «E’ lo stesso del modellino che ha Moscon! L’ho visto dai suoi post».

L’argomento tecnico prosegue. De Lie finisseur, tiene sulle salite brevi, è veloce: l’identikit perfetto proprio per la Sanremo. 

«Certamente – dice Arnaud – è una gara che mi piace. E’ lunga 300 chilometri ed ha un finale molto esplosivo… E’ molto difficile da conquistare. Sappiamo che è una gara che si vince con i dettagli. Non si arriva mai con un minuto di vantaggio, si lotta sempre sul filo, specie adesso che il livello è molto alto. Abbiamo visto quest’anno come si è rotto il gruppo appena sono usciti quei quattro.

«Penso che possa essere un obiettivo per l’anno prossimo, ma per vincerla credo sia ancora un po’ complicato. Già fare una top 10 sarebbe una performance molto buona alla mia età. Diciamo che se un giorno dovessi vincere la Sanremo, potrei dire che la mia carriera ha avuto successo».

E qui in qualche modo torna il discorso anche della squadra e dei corridori esperti, necessari in una prova come la Classicissima.

«Vi dico solo che con Jacopo (Guarnieri, ndr) lo scorso anno abbiamo imboccato per primi la Cipressa. C’è anche Jasper De Buyst che ha molta esperienza in questa gara. Lui aiutò Caleb Ewan quando fu secondo. E già loro non sono poco. In più ci sono molti giovani forti e abbiamo un corridore come Florian Vermeersch che è mostruoso. Credo che avremmo una grande squadra per la Sanremo».