Con Coppolillo e Chicchi, di cui vi abbiamo raccontato di recente, sulla plancia della Technipes #InEmiliaRomagna salirà anche un direttore sportivo di grande esperienza come Mario Chiesa. Bresciano classe 1966 e professionista dal 1988 al 1997 con la Carrera e poi l’Asics-CGA, quando ha smesso di correre è stato direttore sportivo di grandi squadre, fra cui la Fassa Bortolo, la Liquigas e la Katusha. La sua ultima ammiraglia è stata quella della Iseo Rime-Carnovali, lasciata la scorsa stagione. Ultimamente era uno degli uomini RCS al Giro, fino alla chiamata di Cassani.
Lavorare per il futuro
Mario è un uomo di cuore. E quando la chiamata è arrivata dal collega di tante corse, l’istinto di rispondere allo scatto è stato superiore alle perplessità degli ultimi anni.
«Con Davide – racconta – ci eravamo sentiti l’anno scorso per la squadra che stava allestendo. Poi le cose non sono andate nel verso giusto, ma lui mi ha detto che avrebbe avuto piacere che gli dessi una mano nel fare qualcosa per il futuro con la continental. Ho accettato, senza voler essere di troppo. Sono tanti anni che c’è Coppolillo e hanno preso Chicchi. Magari posso dargli una mano con l’esperienza e le conoscenze per qualche corsa all’estero. Oppure magari una mano per la logistica, anche se la Roberta che se ne occupa è molto preparata…».
Il cuore latino
Un passo indietro. La grande educazione. La capacità di osservare. Chiesa è prima di tutto una persona seria e si capisce che Cassani abbia pensato anche a lui nell’allestire la grande squadra per ora riposta in cassetto non ancora chiuso.
«Io sono sempre abbastanza disponibile a mettermi in gioco in cose nuove – dice Chiesa – anche al di fuori del professionismo. Negli ultimi anni ho visto che non è più il mio ciclismo. E’ cambiato troppo e troppo velocemente. Forse mi penalizza anche il discorso della lingua, ma io sono latino. Ho cuore latino e ho sempre corso in squadre come famiglie. Questo era normale fino a 10 anni fa, ormai è impossibile in squadre di 70-80 persone. Le continental come la Technipes #InEmiliaRomagna sono squadre in cui c’è ancora un rapporto umano e familiare. Sono tutte persone della zona, si conoscono da lunga data con un grosso affiatamento».
Il ruolo del direttore
Il Chiesa direttore sull’ammiraglia, in alcune occasioni e soprattutto nelle squadre più grandi, ha lasciato il posto al Chiesa dietro le quinte.
«Ho sempre fatto il lavoro… sporco – ammette – quello che fa andare bene o in malora una squadra. Il grande Giancarlo Ferretti mi ha indirizzato verso questo ruolo. La logistica e lo staff sono il cuore della squadra. Puoi avere anche il campione del mondo, ma se dietro non ci sono affiatamento e organizzazione, non vai lontano. Mi piace fare il direttore sportivo, ma oggi qual è il ruolo del direttore? E’ concentrato sulla corsa, su tutti i minimi particolari. Cose che servono, ma dal mio punto di vista serve di più l’affiatamento col corridore. Se vai a una corsa e sei l’estraneo di turno, perché arrivi e devi dirgli cosa deve fare senza conoscere la sua psicologia, certo che dopo si prendono i mental coach per far ragionare i corridori. Io penso che la figura principale sia quella del direttore sportivo, invece la stanno mettendo da parte».
Due anni fra gli U23
Ha lasciato la Iseo Rime non trovando più grandi sintonie, riparte da un’altra continental con gli stessi temi da affrontare. Giovani che passano presto, corridori che smettono a 22 anni.
«Qui tocchiamo un tasto dolente – dice – perché difendo la posizione della Federazione. Per me è giusto l’obbligo al dilettantismo almeno per i primi due anni, per far crescere al meglio i corridori. Evenepoel, Pogacar e Ayuso sono eccezioni. Non è giusto che manchi un regolamento internazionale. L’Italia è l’unica che propone questa norma, ma sbandierano il diritto al lavoro e li fanno passare da juniores. Tanti corridori vengono bruciati per questo, altri in compenso – faccio i primi nomi che mi vengono: Luca Coati e Matteo Zurlo – meriterebbero di passare e invece sono lì sgomitare e rischiano di smettere. Hanno una certa esperienza, li abbiamo visti e hanno il diritto di fare almeno due anni. Quanto ci ha messo ad arrivare Sonny Colbrelli? Io credo ancora che sei debba salire un gradino per volta, come per ogni cosa della vita».
Il calendario giusto
Altro tema, altro giro di giostra: l’attività delle squadre italiane e le prospettive dei nostri corridori, dato che tornerà presto a far parte del loro ambiente.
«Mancano le corse a tappe – dice – forse ne inseriscono una nuova in Emilia e saliamo a quattro. La differenza è che tanti stranieri fanno il calendario del loro Paese e poi vengono in Italia. Il Val d’Aosta aveva 35 squadre e solo 4 italiane. Le nostre non vanno fuori. Un po’ non le invitano, un po’ per una questione di costi. Per andare all’estero, diciamo al Tour de Normandie, devi pagarti l’hotel e la trasferta, devi avere più staff per muovere i mezzi e ti trovi una spesa di minimo 8.000 euro, dipende da dove vai. Ci sono squadre che se lo possono permettere, altre che preferiscono correre il sabato e la domenica in Italia. Intendiamoci, abbiamo un buon calendario, ma non basta.
«Cresci se vai a correre con gente che ha due o tre anni più di te. Non è obbligatorio andare tra i professionisti, noi abbiamo fatto le richieste per corse di un certo livello. Vediamo se ci accettano. Corse dove incontri squadre che hanno corridori importanti. Guardate l’organico della FDJ, con i francesi, ma anche neozelandesi e inglesi. Come la Colpack di Ayuso, Baroncini e Verre. Quando hai atleti così, è normale che tutta la squadra vada super forte ed è competitiva anche all’estero. Purtroppo non tutti gli anni c’è un Baroncini».