Marta Bastianelli, tornata ieri alla vittoria in Svizzera dopo la Valenciana del 2020, parla di digiuno spezzato. Di un blackout significativo in cui la gente giudicava senza sapere quali fossero i problemi. Di una rinascita nella quale quasi non sperava più. Dell’aver rispolverato la grinta e tirato fuori gli attributi. Ma soprattutto parla del modo in cui sua figlia Clarissa, 7 anni compiuti il 24 maggio, l’ha salutata alla partenza per il Giro di Svizzera: «Vai mamma, alza il culo!».
Doppio virus
La risata è finalmente quella giusta per una ragazza che nei piani sarebbe stata e potrebbe ancora essere la seconda punta azzurra per Tokyo e ha vissuto invece una primavera troppo strana per essere vera. Ci sta il calo di rendimento, ma come si spiega il passaggio dalle 11 vittorie del 2019 all’unica del 2020 e a quello zero che la fissava nello score del 2021?
«Sono contenta – dice – pur sapendo che si tratta solo di una tappa al Giro di Svizzera e io sono abituata a ben altre vittorie. Ho i piedi per terra e spero che il periodo storto sia alle spalle. Tanti corridori hanno vissuto una fase strana l’anno scorso e quando hanno vinto, li ho visti piangere. Ora c’è più grinta dopo una fase senza morale, in cui ho anche pensato di smettere di correre, poi qualcosa di più forte nella mia testa mi ha spinto a reagire. Il blackout è passato. Ma non è stato facile rialzarsi dal lockdown e poi dalla mononucleosi e dal citomegalovirus. E io ci ho messo del mio. Sono ripartita subito a bomba, allenandomi sempre nel solito modo e non capivo come mai le prestazioni fossero così scarse. Servivano solo tempo e gradualità, invece per bruciare le tappe mi sono divorata di dubbi».
Fuga e vittoria
La vittoria di ieri è figlia di una corsa nervosa, in cui la Alé BTC Ljubljana voleva difendere il terzo posto in classifica di Marlen Reusser, mentre la Trek-Segafredo voleva fare la corsa agli abbuoni per schiodare Lizzie Deignan dal secondo posto.
«Quando si è capito che la giornata sarebbe passata così – racconta Marta – mi sono infilata in una fuga di otto, che non ha mai guadagnato più di 20 secondi. Siamo andate veramente forte, abbiamo preso acqua per tutto il giorno. Sapevo che in volata dovevo guardarmi dalla Barnes, la ragazza della Canyon, e alla fine sono riuscita a vincere. Ero andata in Svizzera tranquilla, con le sensazioni che miglioravano, ma non credevo che sarei riuscita a vincere, anche perché c’erano cinque squadre WorldTour».
Troppa fretta
La diagnosi giusta è venuta fuori finalmente ad agosto, quando Marta si è fermata per capire una volta per tutte che cosa non andasse.
«Continuavo a dare la colpa al lockdown – racconta – che comunque ho subito, perché tutte quelle ore sui rulli mi hanno destabilizzato. Addirittura, la mononucleosi potrebbe essere dipesa anche da quel tipo di stress. Facendo tutti gli accertamenti, si è visto anche l’altro virus. Tanti stop e ripartenze non fanno bene a un fisico di 34 anni, in più non avevo mai avuto problemi del genere, per cui non sapevo come affrontarli. Ho vissuto l’ultima primavera cercando più corse possibili, convinta che mi servisse fare fatica per andare in condizione, invece sarebbe servito fermarsi. Una cosa non facile da accettare per chi ha sempre vinto tanto, ma necessaria. Ho fatto impazzire Pino Toni, ho fatto impazzire la squadra, chiedendo di andare a correre e poi magari cancellando il biglietto perché stavo male».
Sogno olimpico
La rincorsa ai Giochi di Tokyo si è ovviamente complicata. Salvoldi l’ha detto abbastanza chiaramente che si aspettava dei segnali ad aprile, ma è chiaro che stando così le cose sarebbe stato impossibile darli e, anzi, la necessità di farlo potrebbe aver accresciuto la pressione e tolto lucidità.
«Quello che posso fare – dice – è darci dentro ora che tutto sembra a posto. Il prossimo weekend correrò in Belgio, poi ci sarà il campionato italiano e a seguire le prime tappe del Giro. L’obiettivo c’è ancora, ma se anche sfumasse, vedrò a cos’altro puntare. Sono guarita, è il momento di riprendermi quello che ho lasciato indietro».