L’inverno meno stressante voluto fortemente da Van Aert per presentarsi al meglio alla stagione su strada sta producendo prestazioni non esaltanti nel cross. La sensazione tuttavia è che il grande belga abbia deciso di non farsene un cruccio. Gli anni sono ormai 31 e il livello delle corse si è così alzato da non ammettere deviazioni dalla linea stabilita.
«Di sicuro – racconta – mentalmente è stato un inverno molto migliore, in cui ho avuto davvero tempo per rilassarmi e godermi un po’ la vita. Col senno di poi, forse l’anno scorso ho preso la decisione sbagliata di non prendermi una vera vacanza. Ma in quel momento venivo dalla caduta della Vuelta e volevo iniziare a lavorare il prima possibile. Ho avuto la pressione costante di quando lotti contro il tempo. Non è stato rilassante, come invece mi è sembrato in questo inverno. E ora mi rendo conto che era qualcosa di cui avevo davvero bisogno già da tempo. Come una pausa più lunga dalla grande pressione che dobbiamo sopportare come professionisti».


Verso il primo Giro
Il 2025 di Van Aert resta un saliscendi di emozioni, con tanti bocconi amari e due momenti da incorniciare. Forse tre, volendo aggiungere alle tappe di Siena (Giro d’Italia) e Parigi (Tour de France), il capolavoro del Colle delle Finestre che ha aperto per Simon Yates la porta della maglia rosa. Ma su quel giorno, Wout mostra un cauto entusiasmo.
Sta di fatto che quando si è presentato al via del suo primo Giro, alle attese roboanti dei media corrispondeva il suo umore basso e per nulla entusiasta. La campagna del Nord lo aveva visto buttare via la Dwars door Vlaanderen, lottare bene contro i due grandi rivali al Fiandre e poi pagare il conto alla sfortuna alla Roubaix. Finché dopo un’Amstel Gold Race accettabile, chiusa al quarto posto, Wout si è ammalato ed è arrivato al via da Tirana con la sensazione di aver perso la forma.
«Nella cronometro – racconta – non ho potuto nascondere che le gambe non erano come volevo e a quel punto la concentrazione se ne è andata. Abbiamo anche pensato che se non fossi migliorato, avrei dovuto iniziare a pensare il Giro come ottimo avvicinamento per il Tour. Invece nel giorno di Siena è cambiato tutto. Se me lo avessero chiesto prima del Giro, avrei risposto che quella tappa fosse adatta a me, ma per come stavano andando le cose, la fiducia era bassina…».


Il giorno di Siena
E’ il giorno delle strade bianche in cui Wout Van Aert si è scosso di dosso la sfiducia e le delusioni delle settimane precedenti e ha pescato nelle sue capacità di vincitore per ruggire come nei giorni migliori.
«Al mattino – racconta – pensavamo che sarebbe andata via una grande fuga, invece sono partiti in cinque e io non c’ero. Ho pensato che fosse finita, ma ugualmente sono rimasto sulla ruota di Bernal e Del Toro, avendo Simon (Yates, ndr) dietro di me e ovviamente non spettava a me lavorare avendo tanta compagnia. Del Toro mi ha dato davvero filo da torcere fino al traguardo. Poi la mia esperienza e la mia mentalità da vincitore sono venute fuori negli ultimi chilometri. Ero completamente esausto, ma credevo ancora di avere una possibilità. Conoscevo a memoria le ultime curve e sapevo dove avrei dovuto superarlo.
«Da una parte sapevo di poterlo fare – analizza nel podcast Inside the Beehive della Visma-Lease a Bike – dall’altro avevo paura di finire ancora secondo. Tra la fiducia e la paura di ciò che sarebbe potuto succedere c’era una linea molto sottile, ma sono riuscito a trasformarla in qualcosa di positivo. Per questo all’arrivo ho avuto una grande esplosione di felicità. Ho ancora la pelle d’oca se penso a quel momento e il momento in cui ho incontrato la mia famiglia dopo 10 giorni di gara. Erano lì ad aspettarmi prima del giorno di riposo. Forse è un po’ esagerato dirlo, ma ho pensato che fosse destino che andasse così. E’ stato uno dei momenti più belli dell’anno».


Sfortuna verso il Tour
L’avvicinamento al Tour è stato quasi una copia conforme del Giro. Un infortunio in ritiro a Tignes, la ripresa degli allenamenti e poi nuovamente una malattia dopo i campionati nazionali di fine giugno. Una maledizione dopo l’altra che hanno reso il 2025 un anno di alti e bassi da far arrossire i muri del Fiandre.
«Il mercoledì prima del Tour – ammette Van Aert – dovevo fare un allenamento intenso con alcuni sforzi. Dopo tre ore invece ero completamente distrutto e non è stato il modo migliore per cominciare. Non ero abbastanza forte per ottenere risultati personali, che era in realtà l’obiettivo prima della gara. Non ero abbastanza forte nemmeno per aiutare la squadra. Mi sono passate un sacco di cose per la testa. Nella prima settimana volevamo rendere la gara difficile e io non sono stato all’altezza.
«Poi la situazione è migliorata, ma sarei falso se dicessi che avevo già messo nel mirino la tappa di Parigi. Solo il giorno prima ho cominciato a pensare che non molti sarebbero stati forti abbastanza per fare bene nell’ultima tappa. Mi sono scoperto molto concentrato e dal penultimo giorno, Parigi è diventato il mio obiettivo principale e ho cominciato a credere di poter vincere».


Il giorno di Parigi
E’ il giorno del circuito di Montmartre, della pioggia, della corsa neutralizzata al primo passaggio e di Pogacar che con il suo giallo rischiara la gara. Sono le strade del circuito olimpico su cui l’anno prima Evenepoel colse l’oro, con Van Aert che lo aiutò per fare la selezione. Anche quel giorno, come pure a Siena poche settimane prima, il belga conosce ogni metro del percorso.
«Era piuttosto tecnico – racconta – vista la pioggia. Era anche scivoloso, ma non così tanto. Mi sentivo abbastanza sicuro sulla bici, le gambe finalmente c’erano. La situazione di gara era buona, eravamo in pochi, per cui negli ultimi chilometri ho corso dei rischi. La gara era molto breve, la parte iniziale era facile. Quindi ho scommesso su pneumatici più larghi, gonfiati a una pressione molto bassa, perché non avrei perso troppo grazie alla partenza facile. Nel finale mi sono ritrovato con la configurazione perfetta.
«Arrivare da solo su traguardo è stato l’esatto contrario degli Champs Elysees che conosciamo, dove sembra che le persone siano a chilometri di distanza perché la strada è larghissima. Ero così concentrato che solo sul rettilineo finale mi sono reso conto di essere molto più avanti degli altri. Alla radio non riuscivo a sentire più niente, quindi solo negli ultimi istanti ho capito cosa stava succedendo. Gli abbracci con Richard Plugge e mia moglie, poi l’ultima istantanea con la squadra sul podio sono il ricordo che mi porto dentro di quel giorno». I due sorrisi più belli del 2025.