Simone Consonni si gode gli ultimi giorni di riposo. Dalla prossima settimana scattano i ritiri, si parte per la Spagna e la stagione sarà praticamente già iniziata. L’olimpionico viene da un’annata vissuta tutta su strada e in cuor suo la lontananza dalla pista si è fatta sentire, perché la passione è dura da tenere sopita e ogni occhiata che scappava verso gli eventi dei velodromi velava il suo sguardo di malinconia.


Ora si riparte e Simone ci tiene a ribadire che il suo non è stato un addio alla pista, ma una scelta consapevole, maturata e condivisa con la squadra e legata allo spazio dell’annata preolimpica: «La pista è il mio vero grande amore. Ho iniziato da junior ed è stata un’escalation fino a arrivare a tutte le medaglie olimpiche. Quest’anno era programmato, nel senso che era l’anno in cui io e Jonathan (Milan, ndr) debuttavamo al Tour e per necessità di calendario nessuna Nations Cup si sposava con il programma della strada. Neanche l’europeo e alla fine neanche il mondiale, perché la squadra mi aveva messo come titolare nel Tour of Guangxi. Quindi ho dovuto un po’ accantonarla, ma solo agonisticamente, perché Montichiari è rimasta la mia casa».
Sarà stato duro vedere gli altri gareggiare e non potersi mettere alla prova…
Beh, la voglia di essere là è sempre tanta, soprattutto per il mondiale. Avrei voluto esserci, per tutto quello che la pista è per me. Poi sicuramente era l’ultimo mondiale di Elia… Mi sono tenuto libero per il giorno dell’eliminazione, volevo vederlo e insomma è stato emozionante. Bello vederlo da casa, ma con un piccolo rimpianto per non essere stato là. Così io, Ganna e Lamon abbiamo organizzato una trasferta di un paio di giorni a Gand, dove Elia ha chiuso la sua carriera e quindi siamo riusciti a vederlo in quell’occasione.


Non averlo più in pista da atleta che effetto ti fa?
Tutto il nostro gruppo ha avuto un vissuto con Viviani, tante esperienze. Penso che tutti l’abbiamo preso come modello. Sicuramente mancherà tanto in pista, non averlo al proprio fianco nell’essere atleta sarà qualcosa di strano e nuovo. Ma col nuovo ruolo, sicuramente sono sicuro che saprà sempre consigliarci al meglio come ha sempre fatto . Sono contento di questa sua scelta e fiducioso che nei prossimi anni ce lo terremo stretto. Sicuramente sarà parte fondamentale di tutti i passi che faremo da qua fino alle Olimpiadi di Los Angeles.
Ti ha tolto qualcosa il fatto di essere contemporaneo di Viviani relativamente alla specialità olimpica, all’omnium in questi anni?
Domanda tendenziosa… Potrei dire di sì, ma la verità è che sono un atleta che non si reputa un fenomeno. A 31 anni, vedendo in casa un bronzo, un argento e un oro olimpico, aver avuto intorno Viviani è più quello che mi ha dato di quello che mi ha tolto. Vedendo quello che comunque sono riuscito a portare a casa, soprattutto a livello olimpico ma anche a livello europeo e mondiale. Credo che gli spazi me li sono ricavati lo stesso, anche in presenza di un simile campione e specialista.


Ora però, a 31 anni, sei nel pieno della maturità per affrontare il quadriennio olimpico, puntare all’appuntamento di Los Angeles con grandi aspettative…
Dico sempre e mi ripeto da quando ho iniziato con questo sport, che l’età non deve condizionare. Secondo me alla fine ogni anno devi dimostrare di essere pronto, di essere sul pezzo, di essere capace di competere con i migliori. Quindi personalmente cambia poco, conta convincere il cittì e tutto l’entourage che tu sei pronto per quella competizione, indipendentemente dal palmarés e dal vissuto. Sicuramente Los Angeles è un grande obiettivo per me, ma come lo è per tanti ragazzi della nazionale, per tanti giovani che stanno crescendo e per tutto il mondo della pista. L’Olimpiade è l’evento più importante che rende la pista quello che è. Mi sento di dover dimostrare al cittì che posso essere ancora una carta ottima da giocare e con tante possibilità di fare podio.
Abbiamo visto il quartetto quasi completamente formato da giovani, fare nuove esperienze. Guardando da fuori, che giudizio ne dai?
Ma non solo da fuori, perché allenamenti in pista e ritiri e prove li abbiamo sempre fatti insieme. Sono contento perché ci sono tanti ragazzi giovani che ogni settimana vengono in pista, che sono motivati per la causa del quartetto. Quando abbiamo iniziato, tante volte magari facevamo fatica a trovare i quattro per gareggiare… Adesso vedere così tanti ragazzi che sentono la maglia della nazionale come qualcosa di importante, è una cosa che mi riempie d’orgoglio.


Sei ottimista per il futuro?
Negli ultimi anni ci siamo abituati bene, in una specialità dove il livello tra i quartetti e tra le nazionali è talmente alto ed equilibrato che un niente può fare la differenza. Basta pensare solo al torneo di Tokyo, come abbiamo battuto la Nuova Zelanda in semifinale per centesimi e come abbiamo vinto poi la finale con la Danimarca di un decimo. Oggi se guardi i tempi, se guardi i ragazzi e come ci arrivano, secondo me c’è un grande movimento e dobbiamo essere soddisfatti per quello che stiamo seminando. E speriamo che nei prossimi anni riusciremo a raccogliere tanto quanto abbiamo raccolto negli anni scorsi.