Parigi-Tours 2025, Matteo Trentin vince per la terza volta, battendo Christophe Laporte

EDITORIALE / Il tecnico azzurro, i ragazzi dell’89 e la politica

13.10.2025
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La vittoria di Trentin alla Parigi-Tours è un magnifico lampo azzurro sul finale di stagione. La classica francese, che chiudeva la Coppa del mondo ed è stata estromessa dal WorldTour forse perché la Francia (ASO) ne aveva troppe o perché non si poteva all’indomani del Lombardia, vedeva alla partenza tutti i non scalatori. I corridori da classiche che una volta si dividevano il calendario con gli uomini delle salite, offrendo il loro spettacolo. Ugualmente, sul percorso francese hanno dovuto sciropparsi cotés e tratti sterrati, perché una corsa solo in asfalto non basta più per gli standard attuali.

La vittoria di Trentin vale tanto perché è la terza a dieci anni dalla prima (non vale come il secondo Tour di Bartali, ma vista la velocità del ciclismo attuale poco ci manca) e perché ci permette di raccontare una storia archiviata troppo in fretta. L’ispirazione ce l’ha data qualche giorno fa Diego Ulissi, anch’egli classe 1989, quando gli abbiamo chiesto di parlare dei commissari tecnici con cui ha lavorato e fra i quattro disse parole limpide su Cassani.

Parigi-Tours 2015, Matteo Trentin vince la prima a 26 anni
La prima Parigi-Tours di Trentin a 26 anni nel 2015. In questo ciclismo che brucia in fretta, Van der Poel rivincerà il Fiandre nel 2030?
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Quattro europei e un argento iridato

Nel 2018 Trentin è stato il primo dei quattro campioni europei della gestione di Davide in nazionale. Sul traguardo di Glasgow batté in volata Van der Poel e Van Aert (al quinto posto si piazzò Cimolai, pure del 1989). L’anno prima, nel 2017 a Herning, Kristoff aveva piegato Viviani in volata, ma nel 2019 Elia si prese la rivincita. Si correva ad Alkmaar, in Olanda, e il veronese arrivò con un secondo di vantaggio su Lampaert (settimo Trentin). Il 2020 del Covid fu quindi l’anno di Nizzolo, che pochi giorni dopo aver vinto il campionato italiano di Stradella, a Plouay in azzurro batté Demare e Ackerman (sesto Ballerini). Infine nel 2001 il trionfo spettò a Colbrelli, che a Trento riuscì a non farsi staccare in salita da Evenepoel e lo batté nella volata a due.

In quegli stessi anni, l’Italia di Cassani arrivò seconda ai mondiali di Harrogate con lo stesso Trentin, probabilmente per aver sottovalutato il ventiquattrenne Pedersen. Stava anche per vincere le Olimpiadi di Rio con Nibali, dopo una tattica perfetta e l’attacco giusto, a causa di quella maledetta caduta. E se non fosse stato per la caduta di Colbrelli a Leuven, forse anche il mondiale del 2021 sarebbe stato alla portata. Quell’anno Sonny volava. Aveva vinto l’europeo e la settimana dopo il mondiale (chiuso al 10° posto) vinse la Roubaix: il tutto nell’arco di due settimane.

Il progetto di Cassani

Anni in cui avevamo corridori e percorsi adatti. E se il mondiale era troppo duro, di certo l’europeo veniva tracciato con un occhio per gli altri. Ecco allora spiegato il link, anzi l’aggancio fra la vittoria di Trentin e la nazionale di Cassani. Tutti quei campioni europei erano ragazzi del 1989 (tranne Colbrelli che è del 1990) e tutti, ad eccezione di Trentin, hanno annunciato il ritiro.

Il primo è stato Nizzolo, già nel cuore dell’estate. Poi è stata la volta di Viviani, che nonostante alla Vuelta abbia dimostrato di essere ancora fior di corridore, si fermerà dopo i mondiali su pista. Mentre Colbrelli ha dovuto arrendersi al suo cuore e si è fermato pochi mesi dopo quelle vittorie.

Il progetto azzurro di Cassani, ereditato da Ballerini e Bettini e sviluppato fino a ottenere l’attuale gestione, è stato interrotto alla fine del quadriennio di Tokyo. La nuova gestione federale vedeva in lui un fedelissimo del presidente precedente e quindi il romagnolo non venne confermato. A poco valgono le parole pronunciate a caldo dall’attuale gestione sulle sue (presunte) scarse capacità: quando si guida la nazionale, contano i risultati. E’ innegabile tuttavia che Davide, mettendo probabilmente troppa carne al fuoco, avesse lavorato a stretto contatto con il presidente Di Rocco, dando man forte a Villa per il rilancio della pista, salvando l’attività giovanile nei mesi del lockdown, rimettendo in piedi il Giro U23 abbandonato da tempo, risultando decisivo nell’organizzazione dei mondiali di Imola, che furono un fiore all’occhiello per tutto il ciclismo azzurro e non per una sola parte.

Il mondiali del 2019 sono sfuggiti all’Italia per un soffio. Trentin perse la volata da Pedersen, corridore di 24 anni che nessuno conosceva
Il mondiali del 2019 sono sfuggiti all’Italia per un soffio. Trentin perse la volata da Pedersen, corridore di 24 anni che nessuno conosceva

Tecnici alla larga dalla politica

L’insegnamento che se ne trae è duplice. Il primo, quasi banale: se non si hanno corridori adatti ai percorsi, è inutile aspettarsi i risultati (semmai ti aspetti il carattere, ma questa è un’altra storia). Il secondo, altrettanto banale ma non sempre scontato: i tecnici fanno sempre bene a stare alla larga dalla politica, pensando solo all’aspetto sportivo e non a quello della propaganda. Altrimenti quello che oggi è toccato a uno, domani toccherà tranquillamente all’altro. E sbaglia la politica, se lo fa, a cercarli per ottenere il consenso. Ad esempio si temette per Ballerini, messo al suo posto da Giancarlo Ceruti, acerrimo avversario per Di Rocco. Ma Di Rocco si guardò bene dal rimpiazzarlo, forse perché il cittì della nazionale trascende gli interessi di parte o così almeno era sempre stato.

Gli ultimi anni invece hanno confermato un cambiamento di rotta. Dopo la mancata riconferma di Cassani, oltre all’assenza di risultati a Bennati è stato rimproverato di non essere stato sempre allineato alle richieste federali. Tutto legittimo, intendiamoci, nessuno impone contratti a vita e ciascuno – anche il cittì – è responsabile delle sue scelte. Semplicemente non si era mai visto prima, se non nel caso di Antonio Fusi, messo con scelta simile nel 1998 a fare il tecnico dei pro’ al posto di Martini (bruciandolo), dopo gli anni vittoriosi fra gli U23 e rimosso a fine 2001 per lasciare spazio a Ballerini.

Marco Villa, cui di tutto cuore auguriamo buon lavoro, è uno dei pochi che in questi anni sia rimasto al suo posto, pensando alla pista e adesso alla strada senza una parola di troppo. Un tecnico che fa il tecnico, che vuole l’ultima parola nel suo ambito e preferisce lavorare giorno e notte nel velodromo, piuttosto che apparire a eventi e comizi. Uno capace di dire più volte che avrebbe preferito restare nella pista, ma pronto ad accettare la volontà federale che lo ha voluto su strada. Uno che ha anteposto l’azzurro alle sue velleità. Forse grazie a questo sopravviverebbe a un cambio di gestione efferato come quello del 2021. Ma Alfredo Martini sarebbe stato cittì azzurro dal 1975 al 1997 se la politica sportiva avesse avuto già allora i toni di oggi?