Sono passati quattro giorni dalla vittoria di Filippo Conca ai campionati italiani ma la sua eco non accenna spegnersi. E ancora se ne parlerà a lungo, perché la vittoria di un dilettante (senza nulla togliere al campione tricolore e al suo importante passato da pro’) non è certo cosa da tutti i giorni. La sua figura e quella dello Swatt Club sono state passate al microscopio da media e addetti ai lavori, poco però ci si è soffermati su come si è arrivati a quel clamoroso risultato, su che cosa hanno fatto i ragazzi del team per stravolgere ogni pronostico. A cominciare da Mattia Gaffuri.
Torniamo allora a quel weekend per saperne un po’ di più, per scavare nelle azioni ma prima ancora nelle speranze della squadra e soprattutto di colui che a detta di tutti è il principale artefice della vittoria di Conca, perché la collaborazione che nel finale gli ha dato Gaffuri è stata probabilmente decisiva.


Partiamo dalla vigilia, si era partiti verso Trieste con quali ambizioni?
Filippo aveva delle aspettative molto alte perché lui aveva puntato tutto su questa gara, non essendo parte del team strada, ma essendosi prevalentemente dedicato al gravel. Voleva ottenere un risultato importante. Noi del team non avevamo le stesse certezze. Non avevamo mai gareggiato con le WorldTour e quindi non sapevamo bene cosa aspettarci. Io andavo con l’idea di stare davanti il più possibile, magari farmi notare un po’, ma non pensavo a un epilogo del genere.
Che cosa vi eravate detti alla vigilia, che strategia avevate pensato?
Il diesse Brambilla si era raccomandato di mettere qualcuno nella fuga iniziale, di farci vedere. Agli altri di stare tranquilli, pensando che l’Astana con 10 uomini avrebbe controllato la corsa. Poi nel circuito finale dovevamo stare davanti. Su un circuito del genere succede tutto molto in fretta perché si entra con già 170 chilometri nelle gambe. Alla prima tornata forte già siamo rimasti praticamente 10 a giocarci la corsa, quindi non c’è stata molta tattica.


Quando vi siete svegliati e avete visto che clima c’era, che considerazioni avete fatto?
Sapevamo che sarebbe stata una giornata caldissima come era stata già tutta la settimana, quindi abbiamo fatto tutto il possibile in allenamento per adattarci. Sicuramente quello è stato fondamentale perché comunque nella gara non abbiamo mai visto temperature sotto i 38 gradi, quindi era importante cercare di prendere più acqua possibile dalla macchina, dai rifornimenti.
Quando vi siete accorti che la corsa stava prendendo la piega che poi ha preso e quindi mancava quel controllo previsto?
Personalmente quello che mi ha fatto suonare un po’ il campanello d’allarme è stato quando a circa 70 chilometri dall’arrivo hanno iniziato a muoversi nomi grossi come Bettiol e Ulissi. Se i nomi grossi si muovono così da lontano o fanno un’azione che decide subito la corsa, oppure è una mossa che significa che non hanno grandi gambe e sperano in uno sviluppo diverso. Ho capito che c’era probabilmente molta più stanchezza rispetto a quella che io mi aspettavo.


Davanti c’era Conca con pochissimi corridori e tu dietro. Cosa ti è scattato nella mente per andare a riprenderli?
La salita dove si faceva la selezione era molto breve, sui due minuti. In tutte le tornate facevo sempre fatica a seguire le accelerazioni dei corridori più esplosivi, come Aleotti, ma dopo la cima c’era un po’ di falsopiano, dove riuscivo sempre a ricucire senza problemi. Quindi anche quel giro ho perso metri, ma ero abbastanza fiducioso che sarei riuscito a rientrare. C’era qualche curva tecnica, ma per la maggior parte bisognava spingere. Quindi nel momento in cui mi sono staccato non sono andato in panico, ma sapevo che sarei potuto rientrare perché solitamente davanti ci si controlla e non si spinge subito, c’era spazio per riagganciarsi.
Quando sei rientrato hai parlato con Filippo?
No, anche perché è stata una fase molto concitata. Venendo da dietro potevo provare il colpo a sorpresa, ma era un rettilineo molto lungo e mi hanno visto arrivare. A quel punto un attacco lì sarebbe stato più che altro inutile e ci avrebbe fatto fermare perché poi ci saremmo aperti sulla strada, facendo rientrare Milan che era molto vicino. In quel momento la cosa più intelligente da fare mi è sembrata quella di andare davanti, tirare per Conca perché ero sicuro che quantomeno il podio lo prendeva.


E cosa hai pensato quando hai visto che ha vinto lui, hai sentito che fosse anche un po’ tua quella vittoria?
Sicuramente sono contento di aver contribuito e penso che come squadra siamo stati i più rappresentati davanti in tutte le fasi della corsa. Quindi non penso ci sia il dubbio che la squadra non abbia meritato. Alla fine ero anch’io incredulo del fatto che fossimo davanti a fare la corsa in un campionato italiano. Forse ancora adesso faccio fatica a realizzare quello che è successo…
Tu hai chiuso due volte secondo al concorso Zwift, hai inseguito tanto il ciclismo professionistico, pensi che adesso personalmente verrai visto in maniera un po’ diversa?
Io spero di sì, perché credo di aver dimostrato non solo in questa gara, ma anche in tutte le altre gare che ho fatto durante l’anno di esserci. Ho fatto diversi piazzamenti nel calendario UCI. Penso di aver dimostrato di meritare un posto. Il campionato italiano è una corsa a sé, questo è notorio, ma credo che ora sia chiaro che su di me si può investire.