La memoria dei ciclisti è come quella degli elefanti o poco ci manca. Ce ne siamo accorti con Paolo Fornaciari parlando della discesa del Kemmel. Certi paesaggi o alcune strade non si dimenticano facilmente. Specialmente se corri una classica in Belgio e cadi sul pavè. A Marco Velo bastano questi ultimi due elementi per iniziare a raccontare un episodio del 2007. E’ lui il corridore nella foto di apertura…
Kemmelberg
Il punto chiave della Gand-Wevelgem è il Kemmelberg – la “montagna” più alta delle Fiandre Occidentali con i suoi 156 metri sul livello del mare – e la sua discesa iniziale in porfido è un piano inclinato con punte al 22%. Le borracce cadono dalle bici e diventano palline impazzite simili a quelle di un flipper che colpiscono i corridori oppure perdono acqua e le pietre diventano scivolose. L’abilità è cercare di restare in piedi.
Quella edizione – era l’11 aprile di quattordici anni fa, 203 chilometri di gara e si disputava ancora di mercoledì tra Giro delle Fiandre e Parigi-Roubaix – è famosa per una serie di cadute incredibili: 65 ritiri, 13 feriti, di cui 9 ricoverati.
Casper e Velo
Il primo corridore che paga un dazio salato è il francese Jimmy Casper che nella prima discesa dal Kemmel si rompe il setto nasale, gli saltano un po’ di denti riportando una commozione cerebrale. Ma anche a Velo non va molto meglio. Il bresciano della Milram, durante la seconda ed ultima discesa dal totem fiammingo (-36 chilometri dalla fine), rovina a terra a causa di una borraccia. Cade anche il suo compagno Fabio Sacchi (botta al femore) mentre il suo capitano Alessandro Petacchi invece, pur restando in piedi, rompe la bici dovendo abbandonare così la corsa (le ammiraglie in quel tratto non potevano transitare) e con essa le speranze di vittoria che andrà a Burghardt della T-Mobile.
Marco facciamo un flashback, che istanti sono stati quelli?
Mi andò via la ruota davanti, fu una grande caduta e pensate che quella di Casper del giro prima non l’avevo nemmeno notata nel caos più totale. Lì per lì, malgrado i dolori, pensavo di non essermi fatto nulla, non mi rendevo conto delle botte. Ma nel momento in cui ho provato a piegare il ginocchio destro per rimettermi in piedi, ho sentito un click che mi ha un po’ preoccupato. Ho immaginato qualcosa di serio alla rotula, però c’era anche la clavicola destra fratturata e due costole rotte che mi avevano perforato un polmone. Ho avuto subito pensieri di ogni tipo, tutti negativi. Ho capito che avrei dovuto saltare il Giro d’Italia e buona parte della stagione. Fui portato via in ambulanza all’ospedale di Gand, dove rimasi per tre giorni prima di tornare in Italia, sempre in ambulanza, poiché non potevo volare per il danno al polmone.
Era un periodo importante per la vostra stagione.
Esatto, ma poco fortunato. La settimana prima al Fiandre era caduto Zabel, mentre in quella Gand-Wevelgem ci stavamo organizzando per andare a ricucire sulla fuga (erano fuori in tre da molti chilometri con un vantaggio di 1’30” in diminuzione, ndr) per portare Petacchi a giocarsi lo sprint. Si facevano un po’ di prove generali in vista delle volate della corsa rosa.
Al rientro in Italia hai dovuto affrontare una lunga riabilitazione?
Prima di partire dal Belgio avevo avuto il supporto della squadra e di alcuni ex compagni che mi erano venuti a trovare in ospedale, facendomi forza e tirandomi su di morale. E’ stato importante avere quel genere di aiuto perché mi è servito per metabolizzare meglio la caduta. Il polmone si sistemò a fine aprile, nel frattempo avevo subito l’intervento al ginocchio in cui mi tolsero circa 8 centimetri di cartilagine. Rimasi a letto per quaranta giorni, facendo solo terapia al ginocchio, che mi provocava un dolore immenso. La fisioterapia in quei tre mesi abbondanti è stata fondamentale, non ho mai saltato un giorno. Facevo lavori in piscina e in pratica sono passato dalle stampelle alla bici.
Quando rientrasti in gruppo?
A fine luglio disputai il Brixia Tour e poi a settembre la Vuelta, in cui andai molto forte aiutando Petacchi e Zabel. Non male, considerando che il medico dopo l’operazione mi aveva detto che sarei tornato in bici molto dopo e con problemi futuri al ginocchio.
Marco, a distanza di anni, sei anche direttore e regolatore di corsa per Rcs Sport. Con quale punto di vista guardi adesso quella caduta?
Quel giorno io non potevo fare diversamente, ma va detto che dopo le nostre cadute, quel versante in discesa del Kemmel venne tolto. Gli organizzatori optarono per aggirare quei 350 metri terribili di pavé prendendo un’altra strada in asfalto un po’ meno pericolosa. Adesso sono cambiati anche i materiali, all’epoca non c’erano i freni a disco e usavamo copertoni da 23 millimetri, mentre gli attuali da 28 o addirittura 30 ti danno più controllo. Però devo dire, ora che sono dall’altra parte della barricata e con la moto sono nel cuore della corsa, che è sempre difficile domare i corridori.
E quindi?
Quindi, per quanto riguarda le gare Rcs, c’è una attenzione maniacale nel cercare di mettere il ciclista nelle migliori condizioni di sicurezza. Ma io vorrei che i corridori fossero più formati, magari grazie a dei corsi proposti dall’Uci, con la partecipazione di driver, regolatori e organizzatori per cercare di portare al minimo il margine di pericolosità di certe situazioni.