Si può essere felici in questo ciclismo? Daniel Oss strabuzza gli occhi e ci rendiamo conto che l’attacco in stile Marzullo forse potrebbe sembrare troppo insolito. Però noi sappiamo esattamente dove vogliamo portarlo e lui decide di fidarsi. Per cui mettetevi comodi, ci vorrà un po’, ma vi piacerà.
Siamo agli sgoccioli dei nostri racconti dalla Vuelta a San Juan, mentre leggerete di questo incontro saremo in volo da Buenos Aires a Roma.
1) Si può essere felici in questo ciclismo?
«I presupposti della felicità nella vita reale sono un po’ scarni. La felicità bisogna cercarsela. Nel ciclismo, per come l’ho vissuto io, tutto è felicità. Chiaro che però la domanda è riferita al professionismo, quello che viviamo in maniera così pesante, senza mai fermarci, sempre col risultato in mente, sempre lì. E’ bello se ci riesci. E’ divertente essere forti e in forma. Queste sono le cose che a me danno il coraggio per continuare. Chiaro che si possa essere stressatissimi, come in qualsiasi altro lavoro ad alto livello. Ma insomma, dall’alto dei miei 36 anni, vedo che in tutte le attività ad altissimo livello, baratti un po’ di felicità in cambio del successo. Credo che anche un grande imprenditore si tolga un po’ di felicità per raggiungere l’obiettivo. Quindi, probabilmente sì.
«In una corsa come San Juan, ci si può ritagliare un po’ di felicità. Pensando alle cose che si possono avere dal ciclismo, vedo tanta felicità nelle relazioni, nell’interagire o nel parlare con nuovi atleti. Sicuramente ho tanti anni di professionismo alle spalle e i nuovi hanno un’altra mentalità, un’altra voglia di fare, un altro carattere. Tik Tok li ha formati e quindi sono un po’ distanti da me, però mi piace. Le relazioni che si instaurano con i nuovi mi danno grinta. Quando sono passato, anche io vedevo una certa distanza con i più grandi e cercavo di colmarla perché volevo arrivare a loro».
2) Il corridore è imprenditore di se stesso?
«In questo senso il ciclismo è cambiato tantissimo. Peter ha dato il clic a questa situazione, prima di lui anche Pantani e Cipollini. Grandi corridori, campioni, stelle che sono diventate quel tipo di personaggio. Quindi è chiaro che lì scattano delle situazioni o delle dinamiche per le quali devi essere capace di gestire anche la parte imprenditoriale. Alla fine diventa un altro lavoro. E’ un business che porti avanti oltre il risultato, non è togliere ma mettere. Deve avanzare in concomitanza, sennò una cosa non vale l’altra. Per questo adesso non puoi più pensare solo a vincere, ma devi essere capace di proporti in un certo modo.
«Devi parlare, essere vicino alla gente più di prima, perché internet ne ha dato la possibilità, anzi ci ha costretto a essere più vicini alla gente. E’ un bene, però anche in questo campo ci sono situazioni da gestire. Credo che i corridori siano intelligenti, non solo delle macchine da volata, da cronometro o da qualsiasi altra performance fisica. Sono diventati anche capaci di capire il mondo. Siamo più aperti e sul pezzo. Lo ripeto: è comunque una cosa da gestire. Quindi forse tornando a prima, un po’ di felicità viene meno. Sei costretto a volte a fare cose che magari non vorresti, ma sono necessarie».
3) Le squadre chiedono impegno sui social?
«Da parte delle squadre c’è richiesta perché comunichiamo sui social, senza dubbio. Un corridore che vince e che comunica è più appetibile anche per gli sponsor. Non è un segreto, è ovvio, come lo è per le televisioni. Nel senso che una bella performance al Tour de France vale più di una in un’altra corsa, il corridore social è la tappa al Tour. La comunicazione è diventata motivo di interesse da parte delle squadre, al punto che siamo quasi obbligati. Ma il concetto è che nonostante questo, vale di più l’essere se stessi. Sui social è inutile provare a essere qualcuno che non sei. Se mostri quello che sei davvero, sei più credibile. E’ una questione di credibilità».
4) I social cancellano i giornalisti?
«Dal mio punto di vista è sbagliato se qualcuno ragiona così. Il rapporto con i media è visto certamente come un qualcosa in più. Si aggiunge alle cose da fare e alle scadenze. Non si tratta di scegliere, parlare con il giornalista è una delle cose. Allo stesso modo in cui fai la ripetuta, c’è anche il giornalista da chiamare la sera. Fa parte del sistema. Non è che il pizzaiolo può preparare 100 chili di pasta e poi non avere gli ingredienti per condirla. Quindi deve prendere il telefono e chiamare il suo fornitore, per ordinare il prosciutto, la mozzarella, il pomodoro. Ecco, voglio dirti che tu sei il fornitore della mozzarella (ride, ndr). Se invece ti basi molto sui social, la racconti solo dal tuo punto di vista.
«Io ad esempio vedo anche il giornale, che sia cartaceo o meno quello è un’altro discorso. Come la Apple che ha fatto il negozio fisico, perché non si può più solo vendere online, ma ci deve essere un punto di riferimento, anche oggettivo. Il giornale è la stessa cosa, il punto di vista esterno di uno che racconta. Sto pensando però ai giovani che scrollano solo le foto sui social, ci sono anche loro. Però c’è ancora una grande fetta che legge, cui piace. Non c’è più il giornale che apri, però magari c’è un link che ti porta al tuo bell’articolo. Quindi non la vedo come una cosa che puoi decidere o meno di fare. Sul social, decidi tu cosa dire e finisce là, però è bello avere un altro punto di vista. Rispondere a una domanda rivela molto di più di quello che scriveresti da solo. Ti fa aprire un’altra porta».
5) Meglio correre o allenarsi?
«Io mi diverto di più a correre, nel senso che l’allenamento mi pesa rispetto a una corsa. Immaginare di tornare ad allenarmi a casa con il freddo è pesante. Mi piace molto di più fare una corsa così. Il tran tran delle gare più importanti è pesante, magari però ti aiuta andar fuori in gruppo con Bodi, Peter e i ragazzi. Oppure preferisco fare una raidata, come oggi che siamo usciti per un paio di orette. Ti diverti anche a fermarti un attimo, poi col mio Just Ride ovviamente non c’è neanche da discutere. Quello fa il clic in più e quindi è un po’ più divertente».
6) Gli obiettivi del 2023
«Gli obiettivi sono i soliti: classiche e Tour, che correndo in una squadra francese, non si discute. Per quanto anch’io voglio fare bene al Tour, perché l’ho sempre fatto anche con la Liquigas. C’era la squadra per il Giro d’Italia e io venivo spedito al Tour. Alla fine mi andava anche meglio, perché in Francia stavo da Dio. E poi c’è il gravel. Ho parlato con la squadra, che mi ha dato un certo via libera, nel senso che se ho un’opportunità che non si sovrappone con le date della strada, posso andare. Non dico che mi sto organizzando, ma sono curioso. Vado sempre a spulciare i calendari… Insomma, entrare in quel giro lì sì, mi stuzzica. Sono corse dure, diverse e quindi mi piacerebbe farne una o due, preparando il mondiale».