Proseguiamo il nostro incontro con Paolo Rosola, i capelli ingrigiti e l’energia di sempre, parlando del velocista. Negli anni Ottanta, più che le sue vittorie (27, di cui 12 solo al Giro d’Italia), era stato il suo essere fuori dalle righe, la sua empatia trascinante a renderlo popolare, vero esempio di quel che è un velocista. Perché velocisti si è innanzitutto con la testa, con il carattere, poi con le gambe. Come abbiamo già detto a proposito del suo ruolo alla Gazprom, Rosola non si è mai allontanato dal ciclismo e ha visto cambiare anche la figura dello sprinter. Una volta ogni squadra aveva il suo, ora è diventato un ruolo talmente specifico che il team deve dedicarcisi totalmente, costruendo il miglior treno possibile, oppure è molto probabile che vi rinunci.
«Il ciclismo è cambiato come sono cambiate le nuove generazioni rispetto alla mia – esordisce il tecnico della Gazprom – ormai ogni corridore ha il suo preparatore specifico che lo fa lavorare perché diventi un corridore che va bene su tutti i terreni e questo è sbagliato. Vogliono che un velocista tenga in salita, ma perché? Non è quello il suo ruolo, che viene svilito. Il corridore perde le sue caratteristiche precipue e diventa un comune ciclista, che fa tutto ma niente in maniera importante».
Il movimento italiano ha velocisti di spicco, basti pensare al campione europeo Nizzolo o allo stesso Viviani suo predecessore, ma non sono così dominanti come avveniva ad esempio con Cipollini o Petacchi.
Ritieni che sia più un problema tecnico che di concorrenza internazionale?
Secondo me sì, imputabile innanzitutto ai dirigenti sportivi e ai preparatori, perché vogliono che gli atleti vadano bene dappertutto, togliendogli smalto. Gli sprinter di buon livello attualmente non mancano, ma sono perfetti per arrivi in gruppi ristretti, massimo 40 corridori. Quando si tratta di volate di massa, soffrono perché non hanno la preparazione specifica. Non hanno lavorato su pista. Non hanno neanche preparato mentalmente, anzi strategicamente l’atto conclusivo.
Cosa vuoi dire?
La volata ha un preambolo lunghissimo, un buon velocista deve saperla impostare se ha a disposizione compagni che lo pilotano, una squadra a lui dedicata come può essere la Groupama per Demare o la Lotto Soudal per Ewan. Ma deve anche sapersi adattare rispetto agli altri, magari sfruttare il lavoro altrui. Mi viene in mente un nome: Andrea Guardini. Era un ottimo velocista, ma ha perso le sue migliori caratteristiche proprio perché gli hanno chiesto di migliorare in salita.
Proviamo a passare in rassegna alcuni dei migliori velocisti giovani del panorama nazionale, quelli che hanno maggiori margini di miglioramento. Iniziamo da Jakub Mareczko…
Dopo quello che aveva fatto fra gli under 23 sicuramente ci si attendeva qualcosa di più, ma nel ciclismo attuale l’attività che si fa prima di passare pro’ ti spreme troppo. Una volta era una scuola, serviva per imparare, ora si chiede tutto subito e tanti arrivano spremuti. Sicuramente Jakub ha le fibre del velocista, perché io sono sempre stato convinto che velocisti si nasce. Certo si può migliorare, ma devi avere dentro di te la predisposizione. E’ un corridore valido per le volate nei giri a tappe, finora ha avuto qualche difficoltà ma può fare molto bene.
Un altro dal quale ci si attende molto è Alberto Dainese dopo il suo titolo europeo U23…
Non lo conosco molto, ma se ne parla molto bene. E’ importante il rapporto con la squadra, soprattutto se sfrutta queste prime stagioni per imparare. Approfitto di Dainese e della sua vittoria per esprimere un concetto molto importante che ho sempre cercato di inculcare ai miei ragazzi: una vittoria ha valore fino a mezzanotte, dopo è un altro giorno e non devi pensarci più. E’ importante per non montarsi la testa, non pensare che dopo una vittoria hai ottenuto tutto. Appena passato il traguardo è finita, nel bene come nel male, devi voltare pagina.
Passiamo a Matteo Moschetti…
Gran talento. Sai chi mi ricorda? Stefano Allocchio, perché la sua caratteristica è la volata lunga, la tenuta delle alte velocità che lo rende difficile da rimontare. Inoltre ha una buona squadra, il che per un velocista significa avere un buon treno a propria disposizione (Moschetti è ritratto nella foto di apertura).
Davide Ballerini?
E’ molto bravo, ma non lo ritengo un velocista puro. Va bene per gruppi di 20-40 corridori, ma è espressione del ciclismo moderno. E’ quel tipo di corridore di cui parlavo prima, che va bene dappertutto. Sicuramente può vincere in un grande Giro, ma la tappa deve andare secondo certe modalità, in uno sprint a ranghi compatti non è quello su cui punterei.
Parliamo del tuo pupillo: Imerio Cima…
Questo è uno sprinter puro e spero vada lontano, ma io per quanto posso voglio preservare le sue caratteristiche. Se mi seguirà si toglierà belle soddisfazioni. Deve però insistere sulle sue qualità di sprinter senza snaturarsi.
In sostanza chi è il velocista?
Uno che non deve aver paura di nulla e che prima di lasciare la ruota che lo sta pilotando verso lo sprint, devono passare sul suo corpo… Uno sprinter deve sempre essere corretto, ma rispettando le regole deve farsi rispettare, magari anche con un po’ di follia. Uno sprinter è uno estroverso, che se la cava in ogni situazione, che impara i trucchi del mestiere e che sa sempre inventare qualcosa: io ho vinto corse dove non pensavo neanche di arrivare al traguardo…