Poche ore al via del Giro d’Italia numero 105. Nell’assolata Budapest si sistemano le ultime cose, ma la città è ben pronta ad accogliere la corsa rosa. Così come è pronto Salvatore Puccio. Il decano della Ineos-Grenadiers la scorsa sera era fuggito con la squadra dopo la presentazione dei team.
Avevano fatto tardi e li attendevano i fotografi per le foto di rito, che in teoria avrebbero dovuto fare prima di salire sul palco. Inconvenienti della diretta! Ieri però, alla vigilia, il siciliano trapiantato in Umbria ci ha dedicato il suo tempo, gli ultimi attimi relax prima della bagarre.
Salvatore, come arrivi a questo Giro?
Adesso bene. L’inizio di stagione è stato piuttosto travagliato, tra Covid, cadute… però bene dai. Qualche giorno fa ho temuto un po’, perché si erano fatti risentire dei piccoli problemi intestinali, ma tutto è rientrato.
E’ il tuo Giro d’Italia numero…
Li contavamo giusto poco fa con Swift, è il nono. Ma c’è sempre un pizzico di emozione prima di un grande Giro. E’ un altro effetto rispetto ad una corsa di un giorno o di una settimana. E’ un viaggio. Sei fuori quasi un mese alla fine, riguardi il percorso e vedi che è duro. Non c’è mai relax.
Che Giro vi e ti aspetta? Due anni fa sei andato anche all’attacco, quest’anno potrai avere i tuoi spazi?
Quel Giro fu un po’ particolare. Fu diverso perché dopo tre giorni di gara perdemmo il nostro leader, Thomas, e questo cambiò il nostro modo di correre, sempre all’attacco. In più venivamo dal Tour, era il 2020 quando si fece prima del Giro, in cui andammo piano e così, correndo in quel modo, ci portammo a casa ben sette tappe.
Sette tappe e la maglia rosa…
Esatto, sette tappe e la maglia rosa. Alla classifica generale iniziammo a crederci negli ultimi giorni. «Pero, si può fare», ci dicemmo. E a quel punto facemmo quadrato intorno a Tao (Geoghegan Hart).
E quest’anno?
Beh, speriamo di non perdere il leader subito! E’ giusto che Carapaz possa giocarsi le sue carte. Noi siamo tutti qui per lui – Puccio fa una breve pausa – Anche Porte che è un grande campione.
Com’è lavorare per Carapaz?
Sinceramente ci ho corso poco. Con Richard ho fatto qualche tappa l’anno scorso alla Vuelta, prima del suo ritiro, però da quel che ho visto è un ragazzo in gamba. Se la cava anche da solo. Se la corsa s’infiamma e resta con pochi uomini al suo fianco, lui è davanti con i migliori. Sa leggere le gare. Per il resto vedo un ragazzo tranquillo, che dice sempre grazie e quando è così è un piacere lavorare per un capitano.
Eri in squadra anche nel Giro di Bernal dello scorso anno: che differenze ci sono tra i due?
Le differenze sono soprattutto di carattere. Forse “Richie” è un po’ meno tranquillo, mentre Egan parlando meglio l’inglese riesce a fare più gruppo, ad integrarsi meglio. Ma entrambi sono dei veri talenti. Corridori affermati. Carapaz ha già nel sacco un Giro e un’Olimpiade, non è l’ultimo arrivato!
In tanti anni ne hai portati “a spasso” di capitani e ognuno magari ha esigenze diverse, come ci si adatta?
Con Froome era tutto programmato. Chris prendeva in mano la situazione dal chilometro zero all’arrivo. Impartiva gli ordini, richiamava gli uomini, decideva chi tirava e chi invece doveva staccarsi per risparmiare energie per il giorno dopo… Per questo ha una testa fuori dal comune, diversa da tutti gli altri leader. E la sua forza sta proprio nella testa, riusciva nello stesso tempo a pensare alle tattiche degli avversari, alla nostra e ad andare forte nel finale. Gestiva la squadra in modo esemplare. E’ così che ha ottenuto i suoi grandi risultati. E poi chiaramente perché andava forte, come quando al Giro attaccò ad 80 chilometri dall’arrivo. Carapaz invece è diverso, parla meno, fa più in autonomia. Io guardo anche le gare in tv e lo vedo sempre che è al posto giusto. Lui difficilmente perde un ventaglio, per fare un esempio.
E la tua preparazione, Salvatore, cambia un po’ in base al capitano per cui devi lavorare?
No, la preparazione è la stessa, semmai cambia il ruolo in base ai compagni, in base alla squadra schierata. In questo Giro per esempio sarò chiamato a lavorare soprattutto in pianura, saremo io e Swift. Alla Vuelta 2017 invece, quando c’erano ancora nove corridori e non otto, ero il terzo o quarto uomo. Prima di me c’erano altri due o tre passisti e quindi io entravo in scena per la salita, o poco prima. E poi anche in base alle caratteristiche del percorso si gestiscono i vari ruoli. Più che altro devi essere bravo a farti trovare pronto. Se devo tirare i primi sei chilometri di quella salita, mi devo organizzare per arrivare in quel punto con le energie necessarie.
E serve esperienza…
Serve esperienza. Io adesso vado in automatico, prima invece dovevo sempre calcolare tutto, ma è anche importante arrivare bene agli appuntamenti. Se hai fatto l’altura, stai bene con il peso e tutto il resto sei anche più sicuro di te stesso.
Tu stai bene e sei sicuro di te e Caparaz? Lui come sta? Tosatto ci ha detto che è stato lui a voler venire al Giro…
Io lo vedo concentratissimo. Anche lui ha avuto i suoi bei problemi col Covid, si è ritirato dalla Tirreno per problemi intestinali, qualche noia ad un ginocchio. E’ magro. E’ convinto di fare bene. Vuole vincere. Dai dati che ha e dai test effettuati sappiamo che sta bene. E questo conta tanto. Significa che non parti con la paura. Sai che sei pronto ad eventuali attacchi, puoi risparmiare qualche energia. E poi lui è un attaccante vero.
Carapaz, ma anche tutti voi, conosce le salite? Sei andato a vederne qualcuna tu stesso?
Un po’ le conosciamo e un po’ con il Garmin oggi vediamo tutto. Non solo, ma segnando i punti sulla mappa e caricandoli sul computerino, sappiamo quando ci sono determinate curve, una strettoia… ci appare un messaggio che ce lo dice. Sappiamo le pendenze dei chilometri successivi. In tal senso la tecnologia aiuta e fa la differenza.