Abbiamo chiesto a Carlo Guardascione, medico varesino del Team Bahrain-McLaren, che cosa abbia significato gestire la salute dei propri atleti nella (prima) stagione del Covid. Perché ognuno ha avuto le sue gatte da pelare. E se i tifosi non hanno potuto avvicinare i campioni e i giornalisti hanno dovuto dotarsi di pali cui fissare il microfono, che cosa hanno dovuto fare i dottori?
Sentiamo Carlo di domenica sera, perché da stamattina presto è tornato nella trincea del suo studio medico. Ugualmente nel giorno della festa, malgrado le rimostranze di una fetta dei suoi colleghi, il dottore ha effettuato delle visite a domicilio per casi di Covid.
«Ci sono colleghi contrari – spiega – e altri che lo fanno. Io mi sentirei un vigliacco a non andare. Mi bardo come meglio posso e vedo malati non solo vecchietti. Oggi ero da uno di 52 anni».
Dopo un bagno di realtà che non fa mai male e rende evidente la spaccatura fra la bolla delle corse e l’ingestibilità della vita quotidiana, entriamo dunque nell’argomento,
Che cosa è successo quest’anno?
Ci è piovuto addosso uno tsunami. Dopo il blocco di marzo, si è cominciato a ragionare sulle prime ipotesi di ritiro e abbiamo pensato a protocolli per creare bolle di squadra. Come prima cosa, per evitare assembramenti, abbiamo sparpagliato tutti i corridori. Poi abbiamo fatto a tutti il test sierologico, per capire se avessero contratto il virus anche inconsapevolmente. La difficoltà di quella prima fase era trovare fisicamente dei posti in cui fare il test.
Poi, Guardascione, i ritiri ci sono stati?
Certo, a luglio. Tre in contemporanea. Il gruppo Tour ad Andorra, i velocisti a Friburgo, gli altri sul Pordoi. Friburgo perché Haussler ha trovato una bella sistemazione. Io ero con loro.
Poi che cosa è successo?
A luglio è arrivata la fase dei tamponi, con difficoltà enormi. Alla fine abbiamo trovato tre laboratori diversi. Uno di Torino che già lavorava con il calcio e la Juventus, che sono venuti sul Pordoi. Uno ad Andorra. E uno ovviamente a Friburgo. Tamponi da ripetere con la cadenza stabilita dall’Uci, quindi a meno 6 giorni e a meno 3 giorni dalla prima gara. Per le gare di Rcs in Lombardia, ci siamo appoggiati al Centro Cedal di Gallarate.
Un bel lavoro…
Un enorme lavoro! Prima di ogni corsa c’era da compilare il file con i dati di tutti, ma alla fine dell’anno abbiamo avuto un solo corridore positivo, che si è ritirato dal Bink Bank Tour e tre del personale.
Come è andata nei Giri?
Al Giro d’Italia il livello di sicurezza e di controllo è stato molto più alto che al Tour e alla Vuelta, dove hanno fatto solo tre tamponi. Davvero complimenti a Rcs per come ha gestito la situazione e a tutto il ciclismo per aver fatto fronte comune.
E in squadra?
Abbiamo reinventato tutto. Ai massaggi, mascherina per atleta e massaggiatore. Meccanici con mascherina. Abbiamo comprato dei macchinari per sanificare pullman, camion e stanze. Dispenser a infrarossi di gel in ogni angolo. A tavola distanziamento fra corridori e staff.
Stanze singole per tutti?
Questo no e per mia responsabilità. Se faccio i test e i corridori sono negativi, se siamo tutti in una bolla, a cosa serve avere le stanze singole? Nelle varie bolle eravamo davvero contingentati, quella del Tour era esasperata. Per impedire che i massaggiatori uscissero, avevamo uno di noi, che viveva fuori dall’hotel della squadra, che faceva la spesa e la lasciava sulla porta.
Borracce da lavare ogni giorno?
No, le buttavamo. Meglio non rischiare.
Quanto è costato tutto questo?
Non so i materiali. Posso dire che i tamponi di luglio ci sono costati fra 80-100 euro ciascuno. Ad agosto sono saliti a 120-140. Per fortuna il Giro ha insegnato che quelli rapidi sono efficaci e sono stati validati.
Quali esami si fanno ai corridori positivi?
Varia a seconda se abbiano avuto il Covid senza sintomi o con sintomi. Senza o con pochi sintomi, Ecg e radiografia del torace. Se una forma più grave, Holter delle 24 ore, ecocardiogramma e Tac polmonare per valutare se ci siano fibrosi residue. In più è stato aggiunto per tutti un esame che in Italia si faceva già, cioè l’Ecg a metà stagione (che all’estero non si fa) ed esami del sangue più approfonditi.
Si parla di rischio miocardite per l’atleta positivo?
Confermo, ma solo per le forme più serie. Ma con ecocardio e l’Holter si hanno le risposte che servono, altrimenti si ricorre a una risonanza.
Qualcuno si è preoccupato (e ha puntato il dito) per l ritiro di Ciccone…
Ho seguito la cosa con il collega Emilio Magni. Giulio aveva recuperato dal Covid e ha avuto una bronchite. E’ stato assistito nel modo giusto.
Dato che le cose non cambieranno tanto a breve, dottor Guardascione, crede che siamo pronti per un’altra stagione di corse con il Covid?
Ora è più semplice. Sappiamo ricreare le bolle, fare tamponi ravvicinati rapidi prima di ricorrere a quelli molecolari, che servono in caso di positività.