Sentire Giovanni Aleotti che all’indomani della vittoria allo Slovenia ha riconosciuto una parte del merito a Paolo Artuso, suo nuovo preparatore, ci ha fatto venire voglia di chiamarlo. La stagione galoppa verso i campionati nazionali e verso il Tour, in cui la Bora-Hansgrohe per giunta cambierà veste e nome. Artuso è atteso dalla call del martedì in cui il team tedesco farà la programmazione per la seconda parte di stagione. Ed è così che veniamo a sapere che Aleotti fa già parte della lunga lista per la Vuelta: la scelta definitiva dipende da come andranno le cose al Tour de France.
Buongiorno Paolo, come mai hai cominciato a lavorare con Aleotti?
In Bora si fa sempre un mini camp ad ottobre a Solden, in cui si va a mixare un po’ di team building con qualche attività extra ciclistica. In mezzo a tutto questo si inserisce qualche riunione di performance e lì avevo iniziato a parlare con lui. E così abbiamo fatto il passaggio da Sylwester Szmyd che lo allenava prima. All’interno di un gruppo come il nostro, ogni tanto facciamo degli spostamenti… tattici. Magari quando uno è con lo stesso allenatore da tre-quattro anni, andiamo alla ricerca di nuovi stimoli. Più a livello mentale che metodologico. In Bora c’è una condivisione di tutto, compreso quel che riguarda gli allenamenti.
Lavorate tutti allo stesso modo?
Non nei dettagli, però lo scheletro dell’allenamento è lo stesso per tutti. Poi si fanno delle modifiche individuali all’interno dello stesso schema. C’è una condivisione totale, di conseguenza tutti sono al corrente di tutto e penso che a livello di performance sia un punto di forza della squadra.
Quali sono state le modifiche necessarie per Giovanni?
Più che modifiche, abbiamo riflettuto sul fatto che l’anno scorso avesse avuto problemi. Durante l’inverno non era stato costante per vari problemi di salute, per cui abbiamo deciso di dare una progressione del carico molto lieve. Se premi un po’ più forte sull’acceleratore, le difese immunitarie si abbassano ed è più probabile che l’atleta si ammali. Se entri dentro a questo vortice, poi diventa anche difficile essere costanti nella prestazione. Perciò abbiamo iniziato con più calma, con dei carichi di lavoro più bassi a novembre e dicembre, per poi aprire un po’ il gas a gennaio. In più, abbiamo cercato di evitare il freddo al 100 per cento.
Giovanni è più cagionevole di altri atleti?
Secondo me no. Ma quando hai un atleta in scadenza di contratto, che l’anno precedente è andato bene ma non come ci si aspettava, si cerca di essere iper prudenti. Si cerca di fare un bel calendario di gare e un buon piano di altura, come quello che abbiamo fatto. Finora Aleotti ha fatto due blocchi di altura, uno a febbraio e uno ad aprile, quindi un avvicinamento assolutamente tradizionale al Giro d’Italia. Poi siamo stati attenti a un po’ di cose, più nei dettagli.
Ad esempio?
Quest’anno ha fatto la Valenciana, da cui doveva andare diretto in altura. Solo che lo abbiamo fatto dormire per due notti in basso e poi siamo saliti: dopo la corsa, non abbiamo voluto stressare il sistema immunitario. Questi piccoli accorgimenti, abbinati al fatto che a livello di professionalità Giovanni è una macchina da guerra, ha fatto sì che le cose abbiano funzionato.
Ti sei fatto un’idea di cosa possa valere Aleotti in prospettiva di carriera?
E’ ancora giovane, non è ancora arrivato al suo massimo. Ha un consumo d’ossigeno molto alto, quindi vuol dire che il motore c’è. A livello di durabilità, anche dopo 8 ore di allenamento, è ancora performante. Ha dimostrato un bel recupero nell’arco delle corse a tappe. Quello un po’ fa parte del suo DNA, ma anche a livello di preparazione abbiamo cercato di fare una base più ampia.
In che modo?
Abbiamo lavorato in maniera più polarizzata per 7-8 settimane, per poi iniziare successivamente a introdurre la soglia. Abbiamo iniziato a dicembre. Prima fai una base puramente aerobica, con qualche stimolo del consumo d’ossigeno. Fai la base lavorando tanto alla famosa Z2, per aumentare un po’ la densità mitocondriale, ma al contempo vai a dare qualche stimolo del VO2 anche in inverno, però su durate molto brevi. Così aumenti un po’ l’efficienza mitocondriale, cioè praticamente la respirazione. Fatta questa grande base, grazie alla quale devi durare nei 20-30 minuti alla soglia, vai anche a cambiare l’allenamento. Passi ai lavori di soglia e media soglia, ma per farlo c’è bisogno appunto di quella grande base.
Era la prima volta che Giovanni lavorava così?
No, con Szmyd l’ha sempre fatto, perché “Silvestro” è bravo: sa cosa fa. L’unica cosa è che l’anno scorso sono stati entrambi sfortunati per la mancanza di costanza dovuta ai problemi di salute. Sono stati sempre a rincorrere. A volte ti va bene e riesci a riagguantare il gruppo davanti, a volte invece ti ammali ancora. Bisognerebbe la possibilità di fermarsi e ripartire come se si fosse a dicembre, ma non sempre è possibile. E poi ha preso anche il Covid, c’era poco da fare.
Fra i grossi passi avanti, Aleotti ha parlato anche di fiducia nel lavoro.
La testa va dietro al fisico. Noi ci sentiamo praticamente tutti i giorni, con un messaggio o una chiamata. Cerco di dargli dei feedback giornalieri su quello che ha fatto e in base a questo aggiustiamo i giorni successivi. Quindi penso che anche a livello mentale si senta seguito e questo porta fiducia.
In che modo lo hai fatto allenare fra il Giro e lo Slovenia?
C’erano 14 giorni. E’ arrivato a casa dal Giro gli ho fatto fare 4 giorni di riposo, in cui se voleva era libero di fare una sgambatina di un’oretta. Poi abbiamo lavorato su doppiette e non su triplette, perché dopo il Giro d’Italia di certo hai fatto abbastanza ore. Gli ho dato uno stimolo di fat-max (esercizio utile per l’ottimizzazione del consumo dei grassi, ndr), uno stimolo piccolissimo di VO2. Quindi ha recuperato e poi gli ho fatto fare uno stimolo di soglia alta e una mezza distanza di quattro ore. Poi siamo andati in scarico. Ha fatto quattro allenamenti in due settimane, il resto è stato tutto scarico.
Invece tra lo Slovenia e il campionato italiano di domenica prossima?
Ci sono sei giorni da gestire. Quindi due giorni di scarico post Slovenia. Quindi lavoreremo mercoledì (domani, dnr), magari con tre orette tranquille. Giovedì un po’ di intensità e basta. Dopo il Giro d’Italia, il campionato italiano è sempre un terno al lotto, anche perché lo correrà da solo. Non c’è una tattica di squadra, devi essere al posto giusto nel momento giusto. E poi servono le gambe. Lui magari ci arriva già in calando, ma sta bene. Servirà avere anche un po’ di fortuna.
Poi farà una settimana di stacco prima del finale…
Gli ho raccomandato di fare una settimana di riposo e un’altra settimana tranquillo, quindi verranno fuori 10-12 giorni di scarico che è più che sufficiente. Poi andrà in altura. Per scelta, non facciamo una cosa di squadra, per lasciarli più tranquilli. Gli daremo un supporto, stiamo ragionando di mandarli ad Andorra in 3-4, ma senza allenatore e direttore, altrimenti si sentono intrappolati. Saranno liberi di gestirsi gli orari e questo a livello mentale secondo me funziona di più.
A lui piacerebbe fare la Vuelta.
E’ nella lista. Se dovesse farla, l’avvicinamento perfetto in testa mia sarebbe l’altura, poi scende e va a fare la Vuelta a Burgos e magari anche San Sebastian che c’è subito dopo. E da lì dritto alla Vuelta, con il finale con qualche classica italiana. Ma queste sono scelte che spettano ai direttori sportivi. Ha detto anche che gli piacerebbe tornare in Cina, ma in quel caso non faremmo l’Australia a gennaio. Fare troppi voli intercontinentali ravvicinati non è per lui e finirebbe la stagione troppo aventi per ricominciare a correre così presto. In Giovannino ci credo davvero. Avevo detto a dicembre che avremmo vinto lo Slovenia, ricordate che ne avevamo parlato anche al Giro? Non era matematica, ma lavorando bene sarebbe stato possibile.