Quanto pesa un ritiro, specie se in quota, in termini di fatica e di rendimento nell’insieme di una preparazione? Domanda da un milione di dollari che inevitabilmente non può avere una risposta netta, ma di certo apre un punto di dibattito importante.
Diversi atleti, l’ultimo dei quali Lorenzo Fortunato, hanno parlato di questo aspetto, di quanto oggi si arrivi prontissimi alle corse. «Adesso si fa più lavoro al training camp in altura che al Giro. E quindi quando vai in corsa, vai a raccogliere i frutti di quel lavoro», le testuali parole di Fortunato.
Ebbene noi abbiamo analizzato il tutto con Maurizio Mazzoleni, coach dell’Astana-Qazaqstan.
Maurizio, dunque, quanto pesa il training camp nella preparazione e quindi nella prestazione?
Molto, perché specie se il camp è in altura, si mette in atto un metodo di lavoro a 360°. Tu preparatore hai gli atleti direttamente sul campo. Ci sei a contatto. Due sport: il ciclismo e gli atleti della lunghe distanze dell’atletica leggera non hanno un luogo fisso di allenamento, ma ogni volta un campo di lavoro diverso e non è facile seguire gli atleti.
Certo, nuotatori in piscina, tennisti, calciatori, pallavolisti… al campo.
Esatto. Il preparatore non può essere presente. I lavori che inviamo a casa li vedi giornalmente, ma non abbiamo gli stessi feedback, non vediamo l’atleta dal vivo. Ed eventuali aggiustamenti si fanno il giorno dopo. In altura, in ritiro, certe correzioni le fai sul momento. Poi secondo me quello della preparazione da professionisti è un salto importante.
Cioè?
Finché sono juniores o under 23 bene o male hanno quasi sempre dietro il tecnico che li segue, tra i pro’ non è così. Non può essere così. I ragazzi hanno abitazioni differenti, vengono da più Nazioni. E la presenza del tecnico, del referente va a diminuire drasticamente.
Cosa significa che in ritiro si lavora a 360°? Oltre agli adattamenti fisiologici come i punti ematici che può dare l’altura c’è dell’altro?
Che oltre alla bici ci sono tutte quelle attività extra: il risveglio muscolare, lo yoga, lo stretching, il massaggio, eventuali trattamenti per recuperare prima da un infortunio… Tutta la giornata è finalizzata alla bici, ed è un tipo di lavoro che a casa ovviamente non si può fare. Quindi oltre agli adattamenti fisiologici l’altura ha un prezzo, ma anche un vantaggio in questo senso.
Spesso vediamo che scendono e vanno forte: il ritiro è centrale dunque?
Oggi siamo abituati a preparare gli atleti affinché arrivino subito pronti alle gare anche dopo l’altura. Calibriamo ogni aspetto tra allenamenti e gare. Se prima in altura si lavorava soprattutto a bassa intensità, oggi si fa anche l’alta intensità. E se prima servivano dieci giorni per avere gli effetti dell’altura, oggi possono bastarne 3-4. Basta mollare un po’ prima quando si è in quota. Sono nuove metodologie che portano appunto l’atleta ad essere subito pronto.
Facciamo un esempio, Maurizio: avvicinamento classico al Giro d’Italia. Il corridore lo sa da dicembre: quanto incide in percentuale il ritiro in quota?
Non è tanto una questione di percentuale, ma di un insieme. Esclusi i velocisti, di solito quasi tutti fanno almeno due cicli di altura, ma in questi cicli e anche nell’allenamento a casa deve andare tutto bene. Deve filare tutto liscio.
Giriamo la domanda: quanto pesa il ritiro in quota in termini di fatica?
Posto che dipende da atleta ad atleta, la fatica è difficilmente misurabile. Questa, in un ritiro, è data dallo stress dell’allenamento, che seppur positivo è sempre uno stress, e dal conseguente adattamento. Questo è l’aspetto fisiologico, poi c’è l’aspetto mentale della fatica. Questo va incluso nel costo e non va sottovalutato.
Chiaro…
Anche per questo motivo ci sono tuti quegli extra di cui dicevamo. Il rilassamento con lo yoga al pomeriggio… sono tutti modi per agevolare il periodo in altura. E’ comunque stressante stare lontano da casa, dalla famiglia, magari arrivarci prima o dopo una corsa. Poi è anche vero che l’atleta sa sin dall’inizio della stagione che dovrà fare dei ritiri, che avrà i periodi delle corse, dell’altura, del recupero. Per fortuna solitamente questi camp si svolgono in luoghi molto belli. Penso al Teide che è un immenso Parco Nazionale riconosciuto dall’Unesco, alle Dolomiti, all’Etna… E quando chiedi ai ragazzi dei ricordi di questi ritiri sono tutti belli. Magari sul momento gli pesa di più, ma alla lunga hanno ricordi positivi. E questo è importante.
Se il clima è buono, pesano meno insomma…
E poi non va dimenticato un altro aspetto. I ritiri servono a formare il gruppo di lavoro, non solo per gli atleti ma anche per i tecnici. Ormai le squadre sono formate da 30 corridori e tanto personale e non capita poi spesso che si ritrovano tutti insieme. Avere i 6-8 corridori che dovranno andare al Giro insieme per due, tre settimane aiuta molto. Cementa il gruppo. In corsa poi si aiuteranno di più. Tra i tecnici c’è più confronto.
Il tuo Lorenzo Fortunato parlava giusto dell’incidenza del ritiro, della sua importanza, ma viene da chiedersi se poi questi ragazzi oggi a casa si allenano forte, se fanno intensità o ”solo” mantenimento.
No, no… a casa si allenano ancora molto. Alla fine in un anno i cicli in quota sono 2, massimo 3, e durano due, tre settimane… quindi a casa svolgono il resto del lavoro anche ad alta intensità, fanno il dietro motore. Pertanto ha un peso anche il lavoro a casa.