Da quest’anno dunque Fabio Aru lavorerà seguendo le direttive di Mattia Michelusi, veneto classe 1985 (in apertura nella foto @1_in_the_gutter), laureato in Scienze Motorie con specializzazione in Scienza e Tecnica dello Sport. Un passato da corridore, quindi gli studi, il passaggio per il Centro Studi Federale come formatore dei direttori sportivi, l’approdo al professionismo con la Androni Giocattoli e poi al WorldTour, prima con la Ef Cannondale e ora con il Team Qhubeka Assos. Tuttavia, al netto dei titoli in suo possesso, quando un allenatore inizia a collaborare con un atleta, non sono certo i libri la prima fonte cui attinge.
In effetti se fosse così semplice…
Infatti non lo è affatto. Conoscevo Aru come atleta, ma non conoscevo Fabio come persona. La tecnologia ci aiuta nel programmare allenamenti a distanza e sapere quali effetti hanno sul corridore, ma l’aspetto fondamentale del ritiro in Spagna è stato proprio quello di fare la sua conoscenza. Ne avevamo in programma uno in altura a gennaio, ma lui ha preferito il cross, così abbiamo adeguato la preparazione. Io sono favorevole a questa disciplina, può essere utile per qualsiasi atleta, anche per lo scalatore. Offre stimoli che però hanno bisogno di essere integrati con la preparazione per la strada. Ovviamente il suo obiettivo non era diventare campione del mondo, ma allenarsi e farlo in un contesto senza stress.
Quindi avete ridisegnato la preparazione in funzione del lavoro fatto nel cross?
Inserendo questi stimoli allenanti in un contesto ampio, fatto ad esempio di sedute più lunghe. Il fatto di conoscersi porta anche ad analizzare quel che si è vissuto, perché si impara sia dai momenti belli, sia da quelli brutti. La sensazione è che il primo Aru si allenasse sulle salite per vincere, ora invece la salita è una difficoltà da affrontare e superare. Per questo abbiamo anche analizzato il modo in cui lavorava all’inizio e quello che ha fatto negli ultimi due anni.
Quindi è sbagliato pensare che con Michelusi si possa o si debba ripartire da zero.
Fabio è un atleta di esperienza, sarebbe sbagliato pensare di fare tabula rasa. Ma occorre lavorare accanto a lui per capire come risponde a certi stimoli. Possiamo avere tutti i dati del mondo, ma per capire come reagisca ai carichi di lavoro, ad esempio, non c’è niente di meglio che guardarlo in faccia. Se arriva in cima a una salita stravolto, vuol dire che lo sforzo è stato eccessivo. Se arriva e sorride, allora si può fare di più. Chiaramente in modo progressivo. Non siamo ancora al top della stagione, più avanti aumenteremo di sicuro perché potremo valutare meglio le sue risposte.
Finora avete introdotto elementi nuovi nel suo piano di lavoro?
No, nulla. Abbiamo semplicemente integrato il cross. Anche se lo ha interrotto, continuiamo a inserire sforzi concentrati che sarebbe inutile mollare del tutto. Fabio credeva in questa strada ed è stato giusto portarla avanti, prevedendo ancora qualche pizzico della stessa intensità.
Come lo vedi?
Lo vedo davvero molto motivato.