Metti una sera con Maurizio Mazzoleni, preparatore della Astana Qazaqstan Team (in apertura, foto Sprint Cycling/Astana), ragionando sulla direzione del professionismo. Parlando dei giovani che arrivano spediti al professionismo e dei… vecchi costretti ad adeguarsi per stare al passo coi tempi.
Nei giorni scorsi, Cataldo ci ha parlato nelle ragioni – fatte di alimentazione e tecnologia – per cui in gruppo si va fortissimo. Pozzovivo ha raccontato che il continuo confronto con gli atleti più giovani lo ha costretto a migliorarsi per non perdere il passo.
Sembra di vedere due mondi lontanissimi che convivono: la precocità dei giovani genera perplessità nei più esperti…
I ragazzi passano professionisti con delle qualità numeriche più alte rispetto a quello che succedeva una quindicina di anni fa. E’ facile pensare che il delta di miglioramento sia inferiore, ma essendo già ad alto livello potrebbe andare anche bene. Ci si chiede se possano tenere l’alto livello per più stagioni, ma nulla lo vieta. Se si lavora bene, magari è possibile. I corridori più esperti hanno questo dubbio. Vedono i ragazzi che arrivano veramente pronti e si interrogano sulla loro possibilità di crescita.
Si teme che siano troppo spremuti.
Esatto. Secondo loro sono più pressati dal punto di vista psicologico, facendo già questi risultati. La situazione dovrà essere analizzata caso per caso, ognuno avrà il suo percorso. Quando ci sono dei cambiamenti generazionali, anche a livello sociale, si fa sempre il confronto con la propria generazione. Però in realtà ogni generazione ha le sue prerogative. Oggi si è precoci in tanti ambiti, magari c’è da considerarlo anche nel ciclismo.
Il fatto di cominciare a lavorare in maniera più scientifica da juniores incide sulla fisiologia?
Sicuramente sì. Fra gli allievi, la parte della fisiologia deve essere un insegnamento. Da juniores diventa una competenza che l’atleta deve avere, perché il ciclismo è forse l’unico sport in cui l’allenatore non è presente quotidianamente sul campo d’allenamento, ma effettua il suo lavoro spesso in maniera differita. Quindi l’atleta deve acquisire queste capacità di allenamento già da junior. Con l’arrivo negli under 23, la cosa diventa sempre più specifica fino al passaggio al professionismo. In questi anni abbiamo tanti casi di juniores che passano in strutture professionistiche. Non è tutto male, non è tutto bene, a patto che le cose vengano fatte in una determinata maniera. A livello numerico e fisico sono pronti. Poi c’è tutto il resto, su cui bisogna lavorare e stare molto attenti.
Attività giovanile: c’è chi lavora per appuntamenti, facendo corse a tappe e periodi di preparazione. E poi chi lavora all’italiana, correndo molto di più.
Lo schema più simile al professionismo è il primo, cioè quello di preparare l’appuntamento. L’altra tipologia comunque ha portato buonissimi risultati. Il tempo passa veloce e dimentichiamo che l’anno scorso abbiamo vinto il mondiale under 23 con Baroncini e Gazzoli è arrivato al quarto posto, per cui il nostro movimento c’è. La mancanza di un leader italiano nei grandi Giri genera spesso una visione negativa, però secondo me è solo questione di tempo. Perché i talenti prima devono nascere e poi vanno coltivati. Quindi, nella lotteria del nascere, dobbiamo attendere l’atleta giusto per i grandi Giri.
Parliamo di giovani. Come si gestisce ad esempio l’inserimento di Garofoli, che ha appena compiuto 20 anni, nel WorldTour?
Lui viene da due annate un po’ particolari. Il primo anno c’è stato il Covid e quindi ha corso poco fra gli U23. Quest’anno poi ha avuto la miocardite ed è stato tanti mesi fermo, fino al via libera dei medici. Infine ha fatto un buon finale di stagione. E’ un atleta maturo, uno di quelli che lavorava con metodo già da junior ed era un vincente. Quindi non è un pesce fuor d’acqua nel contesto professionistico. D’altro canto, il vantaggio delle development è che già quest’anno ha lavorato con lo stesso sistema, gli stessi materiali, le stesse persone e quindi sarà più facile da inserire. A parte il cambio di categoria, che però è relativo.
In che senso?
Potendo gestire noi i calendari, farà magari la prima gara WorldTour ad aprile. Le altre saranno del livello che ha già affrontato nella development. Quindi ha buoni valori di partenza e verrà accompagnato. Ci aspettiamo che continui nel suo processo di crescita. Ieri gli abbiamo consegnato i programmi per la prima parte di stagione e, nel presentarglieli, ho fatto due volte riferimento alla parola “crescita”. Ci teniamo che il giovane continui questo processo.
Il processo di crescita prevede anche gare in cui possa fare risultato?
E’ il discorso che facevamo prima. Ci saranno anche gare di un livello leggermente inferiore, in cui avrà la libertà di provarci. Senza dimenticarci che la nazionale italiana, qualora lo ritenga opportuno, potrebbe anche convocarlo per gare internazionali, come l’Avenir o i mondiali. Quest’anno abbiamo vinto il mondiale under 23 con Fedorov ed è un aspetto importante per il percorso di crescita.
Per voi non è un problema? Guercilena ad esempio è contrario all’eventuale convocazione di Tiberi.
Sono cose che valutiamo col team. Se è un passaggio che ha senso nel processo di crescita, perché no? Se invece non collimasse con i programmi della squadra, si valuterà caso per caso. Però non abbiamo veti particolare.
Cataldo ha tracciato l’identikit del corridore moderno e ci è parso abbastanza al limite: secondo te si potrà crescere ancora?
I margini, come in tutti i settori, ci saranno sempre. E proprio quando si pensa di essere arrivati, in realtà non si è mai arrivati. Ci saranno sempre nuove frontiere nei materiali, nella preparazione, nella nutrizione, in tutto. Quindi penso che siamo arrivati a un altissimo livello rispetto agli anni precedenti, ma sicuro tra 10 anni ci ritroveremo a parlare di aspetti che adesso magari non stavamo considerando.
Tanti ragazzi… anziani raccontano di essersi dovuti adattare alle nuove metodiche.
Quelli con più anni che sono rimasti nel ciclismo hanno fatto questo cambio di passo. Abbiamo avuto Cataldo qui in Astana e lavorava già con il nutrizionista, con il calcolo calorico e tutto il resto. Idem per Luis León Sanchez, non è che stiano facendo un ciclismo di vecchia data. Si sono veramente adattati e riescono ad avere performance veramente buone in anni in cui prima non si pensava si potessero ottenere. Frutto di talento, ma anche dell’essere stati al passo con le novità. Sono stati bravi ad adattare il loro talento al passare degli anni, con l’utilizzo di nuove tecnologie. Controllando ad esempio le ore di sonno, la variabilità cardiaca durante la notte, dosare l’allenamento successivo in base al riposo che hanno fatto. Magari prima era una sensazione: ho dormito male, quindi mi alleno di meno. Adesso ci sono dei dati e questi atleti sono stati capaci di utilizzarli per migliorarsi e quindi arrivare anche ad età avanzata.
Quanto deve essere presente un corridore a se stesso per tenere d’occhio questi aspetti?
A livello professionistico è tutto un po’ più semplice – spiega Mazzoleni – perché per ogni settore abbiamo a disposizione l’allenatore e il nutrizionista accanto al corridore. Non è così difficile, ma resta il fatto che correre è un’attività lavorativa quotidiana, che non si ferma al semplice allenamento. Adesso veramente ci sono tanti minuti dalla giornata, che poi sommati diventano ore, che gli atleti devono dedicare a questi aspetti. E’ stato un cambio di passo inevitabile.
C’è rischio che tutto questo diventi stress?
Se viene fatta nel modo errato, si. Io faccio sempre riferimento alla passione, soprattutto coi più giovani. Il ciclismo è passione, perché è uno sport di fatica e senza la passione è difficile che un ragazzo lo scelga. Se la fiamma resta accesa, non ci sono problemi. Senza passione, davanti a tante incombenze, l’atleta può avere un’involuzione. In effetti è capitato che per alcuni sia diventato tutto troppo pesante. E si leggono anche interviste in cui si usano queste espressioni. Ma se viene tutto alimentato dalla passione, passa tutto in secondo piano.