Nibali ha riavviato il grosso motore e Paolo Slongo, il suo allenatore di sempre, che dalla Liquigas lo ha seguito passo dopo passo fino alla Trek-Segafredo, si è messo ad ascoltarne il rumore per capire come riportarlo ai giri giusti. Vincenzo ha dato l’idea di non essersi mai fermato, fra gravel e mountain bike, pervaso da una palpabile voglia di rifarsi. Noi allora abbiamo parlato proprio con Slongo, facendo tutte le domande, anche quelle dei più scettici.
Questa ce la togliamo subito: cosa si risponde a chi dice che Vincenzo non vincerà mai più un grande Giro?
Secondo me (sorride, ndr) fisicamente, per esperienza e tutto, Nibali è ancora competitivo e integro. L’unica cosa che può cambiare è la motivazione. Quest’anno lo vedo sul pezzo, senza far proclami. Abbiamo scelto di tornare alle origini, di non dichiarare degli obiettivi troppo alti per non subire poi i soliti processi. Gli piace ancora andar via in bici, voleva togliersi un po’ di peso. E’ normale che poi sarà lì a lottare. Penso che se uno così continua a correre, la volontà è fare bene.
Il 2020 non va considerato?
Ha pagato il lockdown più di altri. La ripresa poteva essere gestita meglio, sapevo anche io che c’era un programma ottimale. Ma la pandemia c’è ancora ed era un rischio troppo grande. Se ne sta già parlando all’estero. In una persona normale non cambia niente, per uno sportivo potrebbe esserci un danno, un abbassamento del VO2Max. Per cui meno rischi si prendono e meglio è.
Con gli anni si è persa brillantezza?
Col passare degli anni, la resistenza resta, ma perdi un po’ di esplosività e di brillantezza. La cosa più difficile è trovare gli stimoli per lavorare sempre di più. Purtroppo nell’aver a che fare anche con questi giovani talenti, che magari hanno entusiasmo, freschezza e pochi obblighi di famiglia, diventa più difficile per un atleta che è da tante stagioni sempre sulla cresta dell’onda. Gli anni non pesano per l’età, ma anche per gli stimoli.
Da cosa si deduce il calo dell’esplosività?
Dalle sensazioni in corsa, nel vedere che nell’uscita da una curva perdi un metro e fatichi a riprenderlo. E poi nei test. Non è tanto il punto di forza massimale, che rimane quasi uguale. Però se ne fai tre, quattro, cinque… a ogni scatto tendi a calare un po’. E’ quello che cambia con l’andare avanti dell’età.
L’incidente alla schiena ha lasciato strascichi?
Non ne abbiamo mai parlato tanto, ma lo ha portato a modificare se stesso. Per essere un professionista e fare il mondiale ha cementato le due vertebre, ma ha convissuto più di un anno con i dolorini alla schiena. Adesso ha questa sensazione della spinta di un piede che non è come prima. Sono tutte cose cambiate dal momento di quell’incidente. C’è stata una rincorsa da parte di tutti per cercare di stare bene, ma il segno è restato. Dolori non ne ha più. Nibali è una macchina perfetta, quando è in forma è super sensibile e anche una virgola gli dà fastidio. Dopo quell’incidente di virgole ce ne sono state tante.
Il calo di esplosività intacca il recupero?
Può incidere. Il ciclismo è un po’ cambiato, è livellato in salita e magari chi è più esplosivo nel finale riesce ad avere vantaggio. Il soffrire di più in corsa ti porta a recuperare un po’ meno. Fisiologicamente Vincenzo recupera sempre bene. La capacità di essere costante nella terza settimana resta, ma può essere condizionata. Al Tour ci sono stati pochi secondi di distacco, la differenza si fa su pochi particolari. Sei sempre là, ma ti può mancare qualcosa per vincere.
Quindi si lavorerà soprattutto sulla brillantezza?
La quantità devi sempre farla, non manca solo esplosività. E’ uno sport di resistenza e ci sono tante varianti, che prima non erano al centro dell’attenzione, mentre quest’anno lo saranno. Senza tralasciare la base di lavoro. Le ore servono, ma tra farne 6 a spasso e 5 fatte bene, non c’è dubbio su cosa sia meglio. Vincenzo ha 36 anni, conta tanto la qualità. Ha un motore diverso, è un discorso di carico crescente e allora, non potendo fare allenamenti di un giorno intero, cresci la qualità dentro le ore.
Secondo Slongo, il Nibali atleta è meticoloso nel lavoro?
Sicuramente è più scrupoloso dei primi anni, magari però può essere che gli stimoli vengano a pesare sempre più. Quando qua c’è stata la prima neve, alcuni atleti sono andati a Calpe e hanno lavorato a 15-18 gradi. Da noi non ci si poteva allenare più di tanto, quindi facevi 13-14 ore di bici più palestra. Gli altri in Spagna ne facevano 25-28. Il nocciolo è che a febbraio quelli andranno di più, poi alla Parigi-Nizza o alla Tirreno anche gli altri verranno fuori. Ormai non si inventa più niente.
L’obiettivo è partire forte?
Essere subito un po’ più brillante anche per il morale, se non a febbraio, per marzo. Non cambia tanto. Quelli con cui ci confrontiamo sono spesso in ritiro, praticamente dopo ogni gara. Serve motivazione per stare in ritiro due settimane.
Basta Teide?
Io rispetto la persona, ma ho anche metodo. E secondo me, per il mestiere che è il ciclismo, il lavoro e la vita da atleta hanno sempre pagato e sempre pagheranno. Il cambiamento che stiamo facendo nasce però dal voler rispettare la sua psicologia. «Se una cosa mi pesa e non la voglio fare, è meglio non farla. Cerchiamo alternative per poter essere lo stesso competitivi». Perciò, invece di fare due ritiri, ne faremo uno. Prima era lui che seguiva le indicazioni, adesso è più parte in causa nelle scelte.
Una rivoluzione?
Si lavora seguendo un progetto, ma si lascia a Vincenzo, per sua richiesta, un po’ più di libertà nell’interpretare l’allenamento. C’è una linea guida, ha pedalato, sicuramente ha fatto un bell’inverno. Anche la palestra quest’anno l’ha interpretata bene, come qualche anno fa.
Farete più gare?
L’idea è di correre di più. E magari, se facciamo il Giro, ci sarà un ritiro fra marzo e aprile, prima delle corse di avvicinamento, anche se il programma deve essere ancora definito. Certo il metodo di sempre, già collaudato in tanti anni, fa dormire più tranquilli. Però allo stesso tempo da allenatore devo saper cambiare anche io e mettere sul tavolo quello che si può fare.
Che rapporto c’è fra Slongo e Nibali?
E’ sempre stato abbastanza costruttivo, non è mai stato accondiscendente da parte mia. E’ stato anche difficile. Abbiamo fatto un confronto a fine anno per mettere dei paletti. Ho sempre voluto una cosa schietta, mi sono sempre messo in gioco. Gli ho detto che se vuole cambiare, non cade il mondo. E’ un rapporto vero e deve essere così. Un allenatore e il corridore devono dirsi quello che pensano. Allora è costruttivo, migliori, ti metti in gioco e vai avanti.