I meccanici delle squadre non svolgono “solamente” il ruolo operativo insito nella loro qualifica. Sono degli appassionati di sport e sono anche gli amici dei corridori, una sorta di valvola di sfogo e un parafulmine. Sono anche un po’ psicologi, perché talvolta il corridore deve essere convinto e indirizzato nelle sue scelte tecniche.
Ci siamo fatti raccontare chicche e aneddoti da Matteo Cornacchione (Team Ineos-Grenadiers), Ronny Baron (Team Bahrain-Victorious) e Mauro Adobati (Team Trek-Segafredo). Che cosa accade quando gli organici si completano con i nuovi ingressi?
Cosa si fa quando arriva un nuovo corridore?
CORNACCHIONE: «Il primo approccio con un nuovo atleta avviene talvolta in maniera anomala, perché si cerca di avere un contatto diretto con lui prima che la stagione volga al termine. Per noi meccanici è fondamentale avere le sue vecchie biciclette, quella normale e quella da crono, dalle quali si estrapolano le misure. E’ un passaggio davvero importante, grazie al quale si determinano anche gli ordini dei materiali per la stagione futura».
BARON: «Di solito il team fa il contratto con un corridore durante la stagione e di pari passo noi riceviamo le schede tecniche. Quando c’è la possibilità, noi meccanici sondiamo direttamente anche l’atleta, per sensazioni ed eventuali necessità. Un professionista già navigato non si avventura in stravolgimenti di setting, magari qualche prova e test nella stagione lontano dalle corse. Un lavoro più articolato, approfondito è eseguito su atleti molto giovani».
ADOBATI: «Talvolta quando arriva un giovane non si conoscono in modo preciso le sue caratteristiche. Noi meccanici parliamo con i direttori sportivi, entriamo in contatto con l’atleta e si cerca di avere delle informazioni anche grazie al team di provenienza. Gli stessi corridori si dividono in due categorie. Quelli tecnici e preparati, oppure quelli che rimandano ai meccanici. A prescindere da tutto, si cerca di far avere il materiale ai nuovi arrivati anticipando il primo training camp, in modo che ci sia un adattamento graduale».
Mediamente quanto tempo viene dedicato all’atleta?
CORNACCHIONE: «Dipende dalla tipologia di corridore, ad esempio gli specialisti delle crono necessitano più tempo. Per dare un’idea precisa, considerando i cronoman, in un pomeriggio non si fanno più di due corridori. Sempre in merito agli atleti che puntano sulle prove contro il tempo, talvolta le sedute sono divise in più puntate. Si va in galleria del vento, oppure lo stesso corridore è coinvolto nello sviluppo dei nuovi materiali. I tempi si allungano perché i test sono numerosi. Lavorare sulle bici tradizionali invece è piuttosto veloce anche con i nuovi innesti. Viene data la possibilità di lavorare sui nuovi materiali e di arrivare ai primi ritiri con un buon setting».
BARON: «Quando trovi il nuovo innesto alle corse si cerca di entrare nel dettaglio e ci si confronta con lui. Non è un lavoro semplice, perché è obbligatorio rispettare anche i contratti, che di solito scadono alla fine di dicembre. E’ fondamentale per i meccanici ascoltare ed interpretare le parole del corridore, poi dipende anche dalla sua sensibilità. E’ necessario considerare anche la capacità di adattamento dell’atleta».
ADOBATI: «Le fasi sono diverse. La prima è quella riferita alla consegna della prima bicicletta ed in genere un’oretta è sufficiente, riportando le vecchie misure sulla bici nuova. Un secondo step è quello del primo collegiale, dove si eseguono gli aggiustamenti del caso e se sono necessari cambi importanti si dedicano anche due/tre ore. Per il fitting della bicicletta, il team Trek-Segafredo si avvale del Centro Mapei. Il lavoro di messa in sella e adattamento aumenta, anche per via dei tanti materiali da provare, quando ci sono le bici da cronometro».
Vengono fatte delle sedute in stile accademy?
CORNACCHIONE: «Facciamo una sorta di training camp con sedute informative. Quest’anno si è svolto prima della fine di ottobre e ha permesso a tutto lo staff di entrare in contatto con i nuovi e di avere il polso delle loro esigenze. Per noi meccanici è stato importantissimo, ci ha permesso di anticipare il lavoro di messa in sella di ogni atleta. E’ stata una settimana intensa, ma produttiva. Il tema è stato dedicare il più tempo possibile ad ogni singolo corridore».
BARON:«Viene fatto un training camp, quello di dicembre, con dei veri e propri meeting, dove ogni azienda sponsor presenta i prodotti in dotazione al team. Questo avviene per i corridori già presenti in organico e per quelli nuovi. A questo si aggiunge anche il ruolo di noi meccanici che cerchiamo di insegnare a tutti i corridori i piccoli trucchetti per gestire al meglio la bicicletta da allenamento che è a casa».
ADOBATI: «Assolutamente si. Ogni parte della bicicletta, nel nostro caso Trek, prevede l’intervento di un ingegnere che espone le peculiarità e le caratteristiche del componente. Questo riguarda anche lo staff e i meccanici. A questi si aggiungono anche i diversi sponsor tecnici. Durante i ritiri si eseguono delle vere e proprie sessioni informative per tutti, maggiormente approfondite per i nuovi ingressi che non hanno utilizzato il nostro materiale».
Generalmente quanto tempo è necessario per far si che il corridore si adatti ai nuovi materiali?
CORNACCHIONE: «Difficile da dire, molto dipende dai materiali e le differenze con i precedenti. Comunque, un corridore pro, una volta trovata la giusta posizione in sella, in due settimane trova il setting ottimale e difficilmente lo cambia nel corso della stagione».
BARON: «Circa un mese, talvolta un mese e mezzo, poi dipende dal soggetto. I corridori di vecchio stampo non cambiavano la posizione di un millimetro, nell’arco di tutta la loro carriera. Quelli giovani sono portati a sperimentare di più e questo fattore comporta un tempo maggiore per capire il mezzo. In inverno il corridore ci mette più tempo ad adattarsi perché le variabili in gioco sono diverse. Può essere che ha qualche chilogrammo in più addosso, oppure sta facendo palestra e la sua muscolatura è appesantita».
ADOBATI: «Un corridore giovane si adatta molto rapidamente, poi ovviamente entra in gioco la parte soggettiva. Per dare un riferimento, ci vogliono un paio di mesi, si tratta di essere perfetti al 100% e di accontentare a pieno le richieste dell’atleta. Qui c’è da considerare anche la doppia bicicletta. Ad ogni atleta vengono dati i due modelli, Emonda e Madone, i due mezzi di riferimento per il team e lui può scegliere».
Un aneddoto che porti con te?
CORNACCHIONE: «Il ricordo di un Ganna giovane che era appena arrivato in squadra, quindi un atleta che doveva ancora vincere tanto e diventare l’atleta che conosciamo oggi. Filippo è un corridore al quale piace l’abbinamento dei colori è curioso di sapere quando c’è un componente diverso e particolare. Il manubrio da crono 3D non era ancora stato sviluppato e provato. Lui è stato il primo ad usarlo e portarlo in gara. Al momento della consegna, era felice come un bambino che riceve il regalo di Natale. Porterò sempre con me il sorriso e l’entusiasmo di quel ragazzo, oltre alla consapevolezza di quanto il team e Pinarello avevano investito. Lui è geloso di quel manubrio e per lui è un punto fermo. Le misure di quel componente non sono mai state cambiate. Sono convinto che se lo metterà in bacheca».
BARON: «Mi ha colpito la preparazione tecnica di Nibali, sempre sul pezzo, curioso, capace e interessato ad ogni dettaglio ed innovazione. Ma anche Petacchi, due corridori pignoli, maniacali e in grado di sostituire i meccanici in alcune operazioni. Oppure lo stesso Sonny Colbrelli, molto ordinato e curioso sotto il profilo tecnico. Tra i corridori che ti trasmettono qualcosa annovero anche Caruso, Landa e Mohoric, tutti capaci nell’ambito della meccanica della bicicletta. Quest’ultimo lo vedo crescere stagione dopo stagione, un vero intenditore sulle pressioni delle ruote, aerodinamica, senza dimenticare il reggisella telescopico con il quale ha vinto la Sanremo 2022. Non è un componente standard, o meglio, lo abbiamo sviluppato e adattato grazie alle sue indicazioni. Con corridori come questi si creano delle complicità che fanno progredire il nostro mestiere e lo sviluppo dei materiali».
ADOBATI: «Gli aneddoti da raccontare sono tanti, ma quello che mi ha colpito nelle ultime stagioni è la preparazione e la competenza di alcune ragazze del team, tra queste Elisa Longo Borghini. Sanno quello che vogliono e sono in grado di capire anche le minime differenze tra un materiale ed un’altro. Non mi capita spesso di aver a che fare con la compagine femminile, se non in occasione dei ritiri collegiali, dove i maschi e le donne sono insieme, ma questo aspetto mi ha colpito parecchio».