«E’ una goduria – parte secco Moreno Moser, unico italiano ad aver vinto la Strade Bianche – su una bici da strada vivi lo sterrato come una situazione di pericolo. Quando invece sono andato a provarlo per uno shooting con la gravel in acciaio, è stato super divertente. Entri a canna nei vari settori e la senti che tiene. Quando pedali sull’acciaio, fai una scelta di stile. Un’idea di ciclismo più pura, con un occhio al passato, ma con i freni a disco e i fili cablati…».
Da fixed a gravel
Il viaggio con il trentino nel mondo gravel firmato Cinelli inizia così, con un entusiasmo nel parlare che negli ultimi tempi da professionista si era allontanato. Da quest’anno Moreno fa parte del Team Cinelli Smith, quello che fino a poco tempo fa era il riferimento nelle gare di fixed e che poi al bivio, ha girato verso il gravel.
«Il team – spiega Francesca Luzzana, Press&Comunication del Gruppo Cinelli – già dal 2005 aveva iniziato a intercettare il movimento underground americano dello scatto fisso, per portare in gruppo quel verbo. Però la scena è cambiata, il movimento è diventato troppo popolare e noi abbiamo iniziato a guardarci nuovamente intorno. Prima abbiamo creato la collaborazione con il Team Colpack, rimettendo quindi il naso nell’agonismo di alto livello su strada. Quindi abbiamo deciso di unire alla strada una diversa letteratura, che crea un ponte fra il mondo del ciclismo e quello, ad esempio, dello snow board.
«Va detto però che Cinelli nel gravel c’era da tempo, decisamente tra i primi. Le nostre gravel sono nate 10 anni fa con una configurazione da ciclocross, poi abbastanza rapidamente siamo arrivati all’assetto di oggi, con il King Zydeco per l’agonista e la Nemo Tig per valorizzare l’acciaio Columbus. Un mondo da cui Moser è rimasto decisamente affascinato».
Una grande storia
Moreno sta guidando per le strade del Trentino in direzione della cantina di suo zio Francesco. «Perché quando si parla di ciclismo da queste parti – scherza – alla fine ci si ferma sempre lì. Devo dire che questa avventura è nata molto per caso, ho detto sì quasi senza sapere bene cosa andrò a fare. Non voglio fare il professionista, allenarmi per vincere le corse. Mi piace il fatto che il team sia composto da gente che lavora, che fa altro. E’ bello che si punti sulla partecipazione femminile. E mi piace molto che il messaggio sia l’unione piuttosto che l’essere super competitivi. Vorrei partecipare alla Veneto Gravel, per intenderci, una prova di 700 chilometri che si farà a giugno, con il gusto di finirla tutti insieme.
«Ma ammetto che, come tutti gli stradisti, mi sono avvicinato alla gravel con un po’ di diffidenza, che però è sparita alla svelta. Sono entrato in Cinelli e mi sono reso conto di avere intorno una storia. In un mondo in cui gli altri marchi sono allineati nel copiarsi a vicenda, quando scopri il mondo Cinelli resti scioccato. Non ho mai corso su una loro bici, ma da junior un super tifoso di mio zio mi aveva regalato il Ram, il manubrio monoscocca. Faceva paura da quanto era bello, me lo guardavano tutti».
Due anime diverse
Fabrizio Aghito è l’anima tecnica dietro le gravel (e non solo) di Cinelli ed è interessante sentirlo parlare delle loro… creature e della filosofia che le ha portate al mondo.
«Nel Dna di Cinelli – spiega – c’è stare nei mondi trasversali, dove il cronometro non è così centrale. Alla larga, insomma, dalle dinamiche che fanno perdere la freschezza e la voglia di divertirsi. Se ci pensate il Rampichino, lo scatto fisso e le Bootleg da viaggio nacquero dalla stessa filosofia. Le gravel un po’ ricalcano due anime. Il King è un telaio monoscocca da 1.000 grammi, che nasce per il montaggio con monocorona e per andare veloci. Ha quattro misure, mentre il Nemo, che pesa 1.900 grammi, ne ha 6 e all’occorrenza permette, essendo in acciaio, di costruire il vero su misura».
A tig come una volta
Parlare del telaio Nemo Tig significa per chi scrive tornare a un linguaggio che si temeva di aver sepolto sotto il già detto di stampi e incollaggi.
«Nemo è saldato a Tig (in atmosfera di gas inerte, il Tungsteno, ndr) – prosegue Aghito – con l’eccezione del collarino reggisella saldobrasato. Usiamo i tubi della serie Spirit, molto leggeri. Spessori da 0,8 mm alle estremità e 0,5 mm al centro, con rinforzi calibrati in funzione delle varie misure. La forcella invece è monoscocca, come si conviene per i telai di alta gamma. Devo dire che la ritrosia nei confronti dell’acciaio sta sparendo e grazie al fatto che costruiamo tutto in Italia, un Nemo in acciaio si consegna entro l’anno. Per uno in carbonio, c’è rischio di aspettare il 2023».
La guida offroad
Quando lo inviti a parlare della geometria della sua bici, Moreno ridiventa un po’ monello e ragiona come quando ti danno un giocattolo nuovo e vuoi scoprire quali siano i suoi limiti.
«La geometria tendenzialmente è quella da strada – dice Moreno – all’incirca ho riportato le stesse misure. Di sicuro distanza e dislivello sella-manubrio. La gravel raggiunge la massima espressione su strada sterrata, ma non potresti vincerci la Strade Bianche perché su asfalto pagheresti pegno. In realtà non ho ancora visto quanto perdi su asfalto, ma è una cosa che devi accettare. Se però pensi che anche quanto usi la mountain bike un po’ di asfalto devi farlo, con la gravel scorri meglio.
«Mi piacerebbe però provare a farci le discese un po’ più tecniche, quelle estreme. Secondo me si possono fare, tanto più che sulla King hanno allargato la forcella e si possono montare anche le ruote grandi da mountain bike. Torno dal Giro-E, cui partecipo anche quest’anno, e mi metto a fare un po’ di prove. Quando sono entrato in Cinelli, qualcuno mi ha detto che non sarei più riuscito a cambiare bici, finirà che aveva ragione lui…».