Primoz Roglic

Roglic: «La finestra sul Tour per me si è chiusa». All in sulla Vuelta

16.12.2025
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PALMA DE MAIORCA (Spagna) – «Se mi chiedete se preferisco fare secondo al Tour o vincere la Vuelta non ho dubbi: vincere la Vuelta». Sono queste le parole di Primoz Roglic che più ci hanno colpito nel media day di qualche giorno fa indetto dalla sua squadra. Nella cornice del training camp della Red Bull-Bora, lo sloveno arriva col passo di chi è abituato a convivere con le aspettative, ma anche con il peso del tempo e tanta consapevolezza. Forse saggezza ormai.

E’ Ralph Denk a sciogliere subito i dubbi, annunciando che Roglic correrà la Vuelta e non sarà ai nastri di partenza né del Giro d’Italia né del Tour de France. Una decisione che orienta la stagione e, di conseguenza, tutte le domande dei giornalisti. Roglic ascolta, sorride, poi prende il microfono con la lucidità di chi ha visto e vissuto tutto.

Primoz Roglic
Sloveno rilassato. Eccolo in un selfie lungo le belle ciclabili dell’isola che scorrono proprio sulla costa
Primoz Roglic
Sloveno rilassato. Eccolo in un selfie lungo le belle ciclabili dell’isola che scorrono proprio sulla costa

Nuova stagione, vecchi obiettivi

La stagione si apre come spesso accade attorno a lui: con aspettative elevate ma con una consapevolezza appunto. Roglic non cerca scorciatoie, non vuole illusioni. A Mallorca lo dice in modo semplice, diretto, quasi disarmante: «Sono realista (realista è una parola che userà spesso lo sloveno, ndr), il Tour non rientra più tra gli obiettivi principali. La finestra per vincerlo si è chiusa. Non per rassegnazione, ma per lucidità: il livello dei più giovani è altissimo e io ho 36 anni. Ma sono ancora competitivo e preferisco concentrare le energie dove conta davvero e dove si può fare bene».

La Vuelta diventa così il centro della sua stagione, l’architrave attorno a cui tutto ruota. Il quinto successo sarebbe qualcosa di storico, un traguardo che darebbe ulteriore lustro a questi ultimi anni di carriera.

«Il ciclismo – spiega Roglic – si è spostato verso una generazione capace di correre sempre al limite, con una continuità impressionante. Sono ancora qui, sono ancora affamato. La motivazione non mi è mai mancata. La differenza, oggi, sta nel come orientare quella fame».

Primoz Roglic
Roglic qualche settimana fa durante un evento Red Bull su una specie di Bmx (foto Charly Lopez)
Primoz Roglic
Roglic qualche settimana fa durante un evento Red Bull su una specie di Bmx (foto Charly Lopez)

Liberazione Tour

Non c’è più la rincorsa al Tour come obbligo morale e questo sembra averlo alleggerito. Ed è una sensazione quasi palpabile. Una sensazione che chi gli è vicino ci ha confermato. Dallo staff ci hanno confidato che Primoz è la serenità fatta persona. Educato, disponibile, vive gli avvenimenti e le corse in modo molto “zen”. E questa è una cosa che ha migliorato nel corso degli anni. All’inizio non era proprio così, diciamolo pure…

Roglic entra nel nuovo anno con una mentalità lineare: una preparazione specifica, un obiettivo unico e chiaro, e la volontà di mettere in campo la sua esperienza in una corsa che conosce come nessun altro. Per lui la Vuelta non è un ripiego, ma la tappa naturale di un atleta che punta ancora al massimo possibile. E sul fatto che non sia un ripiego ha ribattuto anche in modo netto. All’ennesima domanda dei giornalisti che gli chiedevano se non fosse scontento di questo programma di “serie B” (come se esistesse solo il Tour) che la squadra ha previsto per lui, che non fosse un ripiego, Primoz ha cambiato espressione. Da sorridente e disponibile per qualche secondo si è irrigidito: ha sbuffato, ha cambiato tono e ha ribadito una volta per tutte che questo programma gli piace e che va bene.

Davvero non ci sono sembrati essere problemi di convivenza fra Remco e Roglic, anche perché hanno obiettivi e calendari diversi
Davvero non ci sono sembrati essere problemi di convivenza fra Remco e Roglic, anche perché hanno obiettivi e calendari diversi
Primoz Roglic
Davvero non ci sono sembrati essere problemi di convivenza fra Remco e Roglic, anche perché hanno obiettivi e calendari diversi

Nuovi equilibri

L’altra grande domanda è inevitabile: quale sarà il ruolo di Roglic in un team che accoglie fenomeni come Remco Evenepoel? L’arrivo del belga, insieme alla crescita dei giovani della Red Bull-BORA-hansgrohe, ridisegna gerarchie e responsabilità. Ma paradossalmente non per Roglic.

Primoz non ha rivendicato leadership, non ha alzato muri. Anzi… Sin dalla trasferta in Giappone di fine anno aveva dichiarato che sarebbe stato pronto ad aiutare Remco nel caso avessero corso insieme. Insomma, ormai lui è super partes. E’ il jolly di lusso.

Con Remco non c’è sovrapposizione, bensì complementarità. E non solo perché il belga punta al Tour e Roglic alla Vuelta. Ma proprio per una questione di realismo, come dicevamo. Poi è chiaro che i due programmi distinti evitano ogni possibile conflitto e, intelligentemente, ampliano la portata del progetto sportivo della Red Bull-Bora stessa. All’interno della squadra, lo sloveno diventa un acceleratore di maturità per i più giovani, un capitano che offre linee guida e che accetta un ruolo meno di vertice ma ancora centrale.

Roglic dunque non teme il cambiamento. Anzi, pare averlo interpretato come un’opportunità: «Con Remco in squadra e tanti ragazzi fortissimi non sono costretto ad essere sempre a tutta o battermi su ogni fronte per me e per la squadra. E questo non è un aspetto da poco». Quando si dice che l’esperienza conta…

A proposito di programmi, lo sloveno dovrebbe avere una partenza soft. D’altra parte il grande obiettivo è ad agosto inoltrato. Primoz sarà alla Tirreno-Adriatico e al Giro dei Paesi Baschi. Presumibilmente dovrebbe fare anche il Tour de Suisse, ma sull’avvicinamento più capillare ci sarà modo di mettere a punto il tutto. Altra notizia: dovrebbe saltare quasi a piè pari le classiche.

Nel 2024 Roglic ha conquistato la sua quarta Vuelta. Il pokerissimo sarebbe un record
Nel 2024 Roglic ha conquistato la sua quarta Vuelta. Il pokerissimo sarebbe un record

Sguardo al futuro

Ma il 2026 è anche l’anno delle decisioni per Primoz. Roglic ha il contratto in scadenza e, pur non entrando nei dettagli, lascia intendere che ogni riflessione passerà anche dalla vita fuori dal ciclismo. Lo ha ripetuto più volte con una sincerità che sorprende.

«Correre altri dieci anni? Mi piacerebbe, ma parlarne è facile, farlo no. La realtà è che questo sport è duro e restare ad alti livelli non è facile. Non saprei neanche dove poter continuare a limare per migliorare. Vediamo, per adesso non mi pongo scadenze o limiti sulle mie future decisioni che in ogni caso saranno prese considerando anche la famiglia».

Per Roglic infatti la priorità oggi non è soltanto la performance, ma la famiglia. Insomma non vuole continuare a ogni costo. Non cerca rinnovi forzati, non insegue contratti a lungo termine per inerzia. Il suo futuro, a quanto pare, verrà deciso dopo la Vuelta. «Ascolterò il mio corpo», dice.

A Mallorca Roglic ci lascia l’impressione di un atleta ancora motivato, ma padrone di una visione più ampia: la consapevolezza che il ciclismo è parte centrale della sua vita, non l’intera vita.

Nicolò Buratti, Team Bahrain Victorious, Vuelta 2025

Buratti e il primo Grande Giro: una Vuelta movimentata

23.09.2025
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Nicolò Buratti si è messo alle spalle il suo primo Grande Giro: La Vuelta, tre settimane di corsa intense che sono partite in Italia per arrivare fino alle porte di Madrid. Le manifestazioni ProPal hanno costretto l’organizzazione a cancellare la tappa conclusiva e a rimodellare altre due frazioni, quella di Bilbao e quella di Mos. Castro de Herville

Una Vuelta movimentata anche per quello che ha detto la strada, visto che la Bahrain Victorious ha visto il ritiro di Damiano Caruso avvenuto ancora prima della partenza da Torino. Mentre qualche giorno dopo è stato il capitano Antonio Tiberi ad alzare bandiera bianca uscendo di classifica. Ma non ci sono state solo note negative. Infatti Torstein Traen ha tenuto la maglia rossa per tre giorni, ceduta poi a Jonas Vingegaard. Il norvegese è riuscito a conquistare poi un top 10 finale.

«Per essere il mio primo Grande Giro – racconta Buratti – sono felice, sia per me che per l’ambiente in squadra. L’avventura non era iniziata nel migliore dei modi vista la caduta di Caruso che lo ha costretto a non partire. Quando Tiberi è andato in difficoltà non è stato semplice, per fortuna c’è stata la buona notizia di Traen che ha portato la maglia rossa. In questo ciclismo, se non corri nel UAE Team Emirates o alla Visma, non capita spesso di avere il capitano in maglia di leader».

Tante emozioni in tre settimane…

E’ stato un primo Grande Giro intenso ma che mi è piaciuto molto, è stato parecchio lungo e me ne sono accorto nei giorni in cui stavamo per arrivare a Madrid. A un certo punto mi sono fermato a pensare alla tappa di Torino e mi sembrava lontanissima nel tempo. Allo stesso modo sono settimane frenetiche che passano rapidamente, e questo anche grazie all’atmosfera positiva all’interno del team. 

Nonostante le difficoltà riscontrate con il ritiro di Caruso e le difficoltà di Tiberi?

Sì. Mi è dispiaciuto molto non avere Caruso al nostro fianco. Sarebbe stata una figura di riferimento per tutti, anche per me. E’ un corridore esperto che ha sempre la parola giusta per ogni momento. Inoltre eravamo partiti a lavorare insieme dal Pordoi. So la fatica che ha fatto, è un peccato quando tanti mesi di lavoro svaniscono così. Con Tiberi ho condiviso la stanza, l’ho visto tranquillo e concentrato. Era svanita la classifica ma è stato bravo a cambiare mentalità e correre per le ultime tappe andando in fuga.

Nicolò Buratti, Bahrain Vicotorious, Vuelta 2025
Dopo tre settimane di corsa Buratti ha avvertito un po’ di stanchezza
Nicolò Buratti, Bahrain Vicotorious, Vuelta 2025
Dopo tre settimane di corsa Buratti ha avvertito un po’ di stanchezza
Come ti sei trovato in questa nuova esperienza?

Sono uscito bene dalla Vuelta, già dai primi allenamenti fatti a casa ho capito di aver assorbito bene le fatiche di quelle tre settimane di gara. Il grande dubbio che avevo era su come avrei reagito dopo il primo giorno di riposo, una volta messo alle spalle sono andato avanti giorno per giorno. 

C’è stato un momento più difficile?

La seconda settimana è stata dura, con un percorso impegnativo e sei tappe davvero molto toste. La terza e ultima settimana di gara è andata via più tranquilla, sicuramente hanno aiutato l’umore e la mentalità, eravamo stanchi ma mi è sembrata quasi semplice gestirla. Sapevamo di essere alla fine.

Nicolò Buratti, Bahrain Vicotorious, Vuelta 2025
Buratti è uscito dalla Vuelta con una buona condizione che vuole sfruttare per questo finale di stagione
Nicolò Buratti, Bahrain Vicotorious, Vuelta 2025
Buratti è uscito dalla Vuelta con una buona condizione che vuole sfruttare per questo finale di stagione
Una tappa che ti è rimasta impressa? 

Quella dell’Angliru mi è rimasta nel cuore, non solo per aver scalato una salita storica del ciclismo ma anche per il calore del pubblico. C’era un calore e un’emozione unica, poi io non l’ho fatta con intenti di classifica, magari me la sono goduta di più.

Pubblico che ha avuto anche un ruolo con le numerose proteste ProPal…

Credo che questa Vuelta entrerà nella storia anche per questo aspetto. Sinceramente mi è dispiaciuto non arrivare fino a Madrid, dopo tante fatiche sarebbe stato un motivo di orgoglio e di coronare il tutto con quell’atmosfera che ti fa dire: «Ce l’ho fatta».

Vuelta Espana 2025, gruppo protesta Gernika Palestina (foto EFE)
Vuelta Espana 2025, gruppo protesta Gernika Palestina (foto EFE)
Com’è stato viverlo dall’interno del gruppo? Ne avete parlato?

Ogni mattina non si capiva come sarebbe andata avanti la corsa, fino all’ultima tappa ogni giorno era un punto di domanda. Protestare è un diritto, chi era a bordo strada ha fatto quello che era nelle sue facoltà. L’unica cosa che mi sento di dire è che non deve andarci di mezzo la sicurezza dei corridori, in gruppo c’era la sensazione di dover restare sempre all’erta.

Ora in che modo concludi la stagione, con quali ambizioni?

Sto bene, sarò al via del Giro dell’Emilia, della Coppa Bernocchi, Tre Valli e Gran Piemonte. Sono motivato per fare bene, voglio fare del mio meglio. So che il percorso della Bernocchi e della Tre Valli di solito si sposa bene con le mie caratteristiche, vedremo. Mi farò trovare pronto.

Nimbl ai piedi Vingegaard: l’innovazione conquista anche la Vuelta

22.09.2025
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Jonas Vingegaard ha scritto un altro capitolo nella storia del ciclismo, conquistando la Vuelta a España edizione 2025. Al traguardo di Madrid, il corridore del Team Visma–Lease a Bike ha conquistato la sua prima Vuelta ed ha anche dimostrato il ruolo cruciale della tecnologia Nimbl. Ai suoi piedi, le Nimbl Ultimate Air, scarpe progettate per offrire leggerezza e prestazioni senza compromessi. Questo successo non è solo la sua vittoria, ma una celebrazione della sinergia tra talento, dedizione e attrezzatura di altissimo livello.

Il trionfo di Vingegaard è solo la punta dell’iceberg. L’influenza di Nimbl è stata evidente per tutta la competizione. Ben quattro atleti nella top 10 della classifica generale, tra cui i compagni di squadra di Vingegaard, Sepp Kuss (settimo) e Matteo Jorgenson (decimo), hanno pedalato con le scarpe del brand. Questa presenza massiccia dimostra la fiducia dei professionisti del WorldTour nell’innovazione Nimbl. Matthew Riccitello ha inoltre aggiunto un ulteriore successo, aggiudicandosi la maglia bianca di miglior giovane con le sue Ultimate Pro Edition. Ogni watt trasferito, ogni curva affrontata, ha dimostrato che Nimbl è in grado di rispondere alle massime esigenze del ciclismo agonistico.

Tecnologia al servizio della performance

Le Nimbl Ultimate Air rappresentano l’apice della gamma del brand marchigiano. Sviluppate con un nuovo telaio monoscocca in carbonio, queste scarpe sono adesso più leggere, più rigide e più efficienti. La loro struttura avvolgente, e la calzata precisa, garantita dalla chiusura minimalista con lacci, combinano il massimo del comfort con il supporto necessario per gli sforzi più intensi. Il profilo basso e aerodinamico assicura un vantaggio competitivo, un dettaglio che può fare la differenza quando si lotta per i millisecondi. La vittoria di Vingegaard non è stata casuale, ma la testimonianza che l’attrezzatura giusta è un fattore determinante per il successo.

«Vincere un Grande Giro è un’impresa che segna una carriera – ha commentato Jonas Vingegaard – e questa Vuelta è stata incredibilmente dura. Sono grato per il supporto dei miei compagni di squadra e per avere a disposizione materiali di altissima qualità, come le scarpe Nimbl. Mi hanno dato la fiducia necessaria per affrontare ogni sfida. Le Air che ho usato si sentivano così leggere da non aver quasi l’impressione di indossare nulla, pur offrendo una protezione totale e garantendo un trasferimento di potenza impeccabile».

«Questa stagione – ha ribattuto Francesco Sergio, che di Nimbl è il Co-fondatore e il Managing Director – è stata memorabile, piena di vittorie che ci hanno ispirato a creare la Summer Victory Collection. Siamo onorati della fiducia che gli atleti del calibro di Vingegaard ripongono nei nostri prodotti. Jonas collabora con noi da anni, e i suoi feedback sono stati molto preziosi per l’evoluzione delle nostre scarpe. Vederlo conquistare la Vuelta con le Ultimate Air è un traguardo che ci riempie di orgoglio».

Francesco Sergio, Co-Founder e Managing Director Nimbl
Francesco Sergio, Co-Founder e Managing Director Nimbl

Summer Victory Collection: l’essenza del successo

Per celebrare il trionfo, Vingegaard ha indossato un paio di Ultimate Air rosse nella tappa finale a Madrid. Questa versione speciale è il fiore all’occhiello della Summer Victory Collection, una linea in edizione limitata creata per celebrare i momenti più epici della stagione ciclistica. La collezione rende omaggio al coraggio, alla resistenza e alla gloria che definiscono questo sport, celebrando gli atleti che continuano a ispirare e a fare la storia del ciclismo, giorno dopo giorno. Perché la vittoria non si riceve, si conquista…

Nimbl

Aleotti tra Spagna e futuro: gregario con (qualche) licenza di vincere

20.09.2025
6 min
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La Vuelta 2025 ha segnato un passaggio importante per Giovanni Aleotti, emiliano classe 1999, in forza alla Red Bull-Bora-hansgrohe, lo squadrone… sempre più squadrone. Reduce dal suo secondo Grande Giro stagionale, Aleotti si è ritrovato al servizio di due capitani: l’australiano Jai Hindley, leader designato per la classifica generale, e il giovane talento italiano Giulio Pellizzari, protagonista con una vittoria di tappa e una top 10 finale, sesto per la precisione.

In Spagna, Aleotti ha affinato il suo ruolo di gregario affidabile, ma non solo. Si è mostrato sì corridore di fatica capace di sacrificarsi per il bene del gruppo, ma quando ha avuto carta bianca si è gettato in fuga senza timori. Certo, lo sguardo al futuro invoca leader ancora più grandi, a cominciare Primoz Roglic e presto Remco Evenepoel.

Nella crono di Valladolid, Aleotti si è impegnato ma non del tutto. Ha risparmiato energie in vista delle frazioni finali
Nella crono di Valladolid, Aleotti si è impegnato ma non del tutto. Ha risparmiato energie in vista delle frazioni finali

Le impressioni dalla Vuelta

Giovanni è in pieno recupero post Vuelta. «Ho passato gli ultimi giorni cercando di recuperare il più possibile – racconta Aleotti – La Vuelta è sempre tosta, si arriva alla fine tutti un po’ stanchi. Quest’anno poi era per molti il secondo Grande Giro, ed essendo a fine stagione in gruppo si percepiva tanta fatica generale».

Personalmente ho avuto alti e bassi. Sono arrivato bene, dall’italiano in poi sono stato in altura con la squadra ed ero dove volevo essere. A San Sebastián ho avuto buone sensazioni, alla Vuelta a Burgos ho trovato spazio e un piazzamento nei dieci. Alla Vuelta ho sofferto la prima settimana, più del previsto. Poi nella seconda sono riuscito ad andare un paio di volte in fuga, anche se quest’anno le fughe hanno avuto meno spazio del previsto, visto che degli otto successi della UAE Emirates, sei provengono proprio dalle fughe».

Il bilancio per Aleotti resta dunque positivo. L’obiettivo era sempre supportare la squadra e aiutare i leader.

«Nella terza settimana, con Pellizzari protagonista, ci siamo concentrati su di lui e su Hindley. Che dire: alla fine porto via una buona condizione, che di solito resta nelle gambe dopo un Grande Giro. Adesso il focus è recuperare bene, parlare con il mio allenatore Paolo Artuso e ripartire per la prossima stagione».

Vuelta 2025. Da sinistra: Giulio Pellizzari, Jai Hindley e Giovanni Aleotti. Un bel feeling in squadra
Vuelta 2025. Da sinistra: Giulio Pellizzari, Jai Hindley e Giovanni Aleotti. Un bel feeling in squadra

Per Hindley e per Pellizzari

Come ha detto anche lui, Giovanni aveva due capitani e certamente non deve essere stato facile dividere compiti e attenzioni. Ma vista la rosa 2026 della Red Bull, sarà qualcosa che accadrà con grande facilità. E infatti ci spiega il suo ruolo.

«Vero, avevamo Jai come capitano numero uno e Giulio con carta bianca. L’obiettivo era fare classifica con Hindley e provare a vincere una tappa. E’ arrivata la vittoria con Pellizzari, il suo primo successo, e vederlo in maglia bianca fino alla terza settimana è stato speciale. Abbiamo lavorato benissimo quel giorno, soprattutto per prendere la salita finale. Io ho svolto un bel lavoro, tanto è vero che me lo hanno detto.

«Una volta terminato il mio compito mi sono messo di passo e ai 3 chilometri dall’arrivo a bordo strada ho visto coach Paolo Artuso e il nutrizionista Giacomo Garabello, gli ho chiesto come stesse andando. Mi sono fermato e mi sono visto dal suo smartphone gli ultimi 500 metri del trionfo di Giulio. Davvero bellissimo, davvero una bella atmosfera c’era quel giorno. E va detto che anche Jay, che lottava per il podio, è stato generoso a concedergli lo spazio».

Aleotti del giorno di El Morredero ne parla con entusiasmo. Ma anche determinazione. La tappa era preparata già dal mattino. Il direttore sportivo Patxi Vila che aveva fatto la ricognizione di quella frazione e aveva impostato una tattica che poi è andata alla perfezione. Denz e Van Dijk ha tenere alta l’andatura fino ai piedi della salita, poi Selig e Aleotti per preparare l’affondo. Quando le cose funzionano bene, le energie si moltiplicano.

Giovanni esalta quindi Pellizzari. Anche lui è rimasto colpito da come il marchigiano si sia dimostrato già fortissimo. Al primo anno in un team WorldTour, due Grandi Giri finiti davanti, una vittoria di tappa e la top 10 generale.

«Giulio è molto giovane ma semplice e concreto, si è integrato benissimo. Io penso che abbia avuto la consapevolezza di essere un co-leader, nonostante la sua età. Mi piace poi perché è serio, ma al tempo stesso si diverte», ha aggiunto Giovanni.

La Red Bull crede molto in Giovanni. Anche lo scorso dopo il Giro fu portato in Spagna dove scortò Roglic alla vittoria
La Red Bull crede molto in Giovanni. Anche lo scorso dopo il Giro fu portato in Spagna dove scortò Roglic alla vittoria

Quanti capitani nel un futuro

E ora questo lavoro con i leader, come dicevamo, assumerà sempre più corpo. La Red Bull-Bora si sta trasformando sempre di più in uno squadrone. Oltre a Hindley, Vlasov, Roglic, Lipowitz ecco anche Evenepoel… senza appunto dimenticare Pellizzari. Il futuro per Aleotti tende per natura verso un ruolo determinato. Ed è anche curioso come si porrà con tanti leader così diversi per caratteristiche tecniche e di età.

«Ho avuto la fortuna – spiega Aleotti – di correre con tanti leader: Roglic, Hindley, adesso con Pellizzari e presto arriverà anche Evenepoel. Sono tutti diversi. Jai è il capitano che tutti sognano: semplice, mai esigente, apprezza tantissimo il lavoro e ha sempre una parola per tutti. Roglic invece è una macchina, un lavoratore instancabile dal mattino alla sera. Quando eravamo in ritiro si vedeva che sapeva dove dove andare a parare, perché era lì e quel che voleva.

«Entrambi preferiscono correre davanti, ma ormai è spontaneo per noi metterli nelle prime posizioni, sappiamo già dai meeting e dai software quali punti sono pericolosi. Ormai sono quasi più i gregari che ti portano davanti nei momenti programmati, piuttosto che loro a chiedere».

«Sul mio futuro, penso di continuare a essere un uomo squadra. Ho ancora un anno di contratto. In un team così grande, con corridori come Roglic, Hindley, Vlasov e adesso anche Evenepoel, è difficile pensare di essere capitano. Ma quando ci sarà spazio, come a Burgos, cercherò di farmi trovare pronto. Per il resto il mio ruolo è supportare i leader.

«Road captain? Non mi sento ancora pienamente in quel ruolo, ho solo 26 anni, serve più esperienza, ma seguo l’esempio di “Cece” Benedetti che è stato un riferimento per me».

Giovanni all’attacco. L’emiliano ha colto due fughe, entrambe nella seconda settimana
Giovanni all’attacco. L’emiliano ha colto due fughe, entrambe nella seconda settimana

Un’esperienza di squadra

In questa chiacchierata con Aleotti è la Vuelta a tenere banco. Una maglia bianca e un podio sfiorato, una tappa vinta e soprattutto una corsa, tre settimane, affrontare sempre da protagonisti.

Ci sono state anche tappe durissime da controllare, specialmente nella seconda settimana. Le fughe partivano dopo 50-70 chilometri, quindi si correva a tutta dall’inizio alla fine. Come abbiamo visto è stata una Vuelta nervosa…

«Una Vuelta – conclude Aleotti – in cui la Visma-Lease a Bike spesso lasciava spazio, e questo portava tutto il gruppo a voler andare in fuga. Alla fine resta la soddisfazione di aver dato il massimo per la squadra. Questa Vuelta mi ha fatto crescere, mi ha dato consapevolezza e motivazione per il futuro. So che in squadra i capitani aumenteranno e saranno di altissimo livello, ma il mio obiettivo resta lo stesso: farmi trovare pronto, ogni volta che serve».

Vingegaard, Almeida e Pidcock: i racconti della Bola

13.09.2025
7 min
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E’ stato il grande giorno della Bola del Mundo alla Vuelta. La tappa del verdetto, quella che avrebbe decretato il re della maglia roja. La frazione è di nuovo di quelle toste, ma si sapeva già che a decidere tutto sarebbero stati gli ultimi 3.700 metri. Quelli in cemento, quelli con pendenze da MTB. Lassù avrebbe dominato la legge del più forte. E il più forte è stato Jonas Vingegaard. Per il corridore della Visma-Lease a Bike tappa e appunto… Vuelta.

Tra una fitta schiera di poliziotti e corse per contenere il pubblico più in basso, il già spoglio monte madrileno era ancora più vuoto nel suo chilometro finale. Si è sempre sul chi va là riguardo alle ormai note proteste pro Palestina.
In questo contesto vanno in scena 153 storie, tante quante i corridori rimasti in gara. Ogni scalata così estrema si trasforma per ognuno in qualcosa di strettamente personale. C’è chi vuole semplicemente arrivare al traguardo, chi vuole vincere, chi deve difendersi, chi dimostrare il suo valore, chi vuole la tappa. Ognuno ha il suo obiettivo.
Noi ve ne raccontiamo tre di queste storie e lo anche con l’aiuto di uno scalatore che sulla Bola del Mundo ci sarebbe stato alla grande: Domenico Pozzovivo.

Vingegaard sta per tagliare il traguardo. Gli inseguitori lo vedono da lontano, tra loro purtroppo non c’è Pellizzari, che perde la maglia bianca
Vingegaard sta per tagliare il traguardo. Gli inseguitori lo vedono da lontano, tra loro purtroppo non c’è Pellizzari, che perde la maglia bianca

Vingegaard campione vero

La prima storia, e non poteva essere diversamente, è quella di Jonas Vingegaard. Oggi il danese ha vinto. Ma la sua è una vittoria di chi era chiamato, e forse voleva dimostrare al mondo intero e prima di tutto a sé stesso, che è ancora forte. Che sa vincere anche senza Tadej Pogacar.
Anzi, a dire il vero era quasi obbligato a farlo.

Eppure in queste tappe è sì stato il più forte, ma non quello schiacciasassi che era lecito attendersi. Il Tour, e lo diciamo da tempo, si è fatto sentire. Jonas ha centellinato energie fisiche e mentali giorno dopo giorno.
«Dopo il Tour così duro – ha detto Pozzovivo – sinceramente mi aspettavo una Vuelta così di conserva, ma forse un po’ meno di come è stata realmente. Mi aspettavo che avrebbe cercato di addormentare la corsa e che non avrebbe corso come fa quando è contro Tadej o come fa lui stesso quando non c’è Pogacar. Penso per esempio alla Tirreno dell’anno scorso».

L’abbraccio tra Kuss e Vingegaard. L’americano è arrivato secondo, siglando una doppietta per la Visma
L’abbraccio tra Kuss e Vingegaard. L’americano è arrivato secondo, siglando una doppietta per la Visma

Jonas il chirurgo

«Anche oggi ha fatto di mille metri (è partito ai -1,3 chilometri e ha mollato ai 300 metri, ndr). Ha calcolato più la durata dello sforzo che la distanza. Sono stati 5 minuti di attacco, 5′ di fuorigiri ad una media di 13 all’ora o poco più. E’ stato un attacco chirurgico, preparato. Credo sapesse che non avrebbe aperto grandi margini e così ha fatto al massimo quello che poteva. Se fosse partito prima lo avrebbero ripreso, non avrebbe avuto la possibilità di portare un attacco simile più a lungo».

Le nostre sensazioni dunque erano giuste. Non ha sprecato nulla più del dovuto. Ha corso con grande consapevolezza dei suoi limiti. E che dire? Chapeau. Le corse si vincono anche così.
«Uno come lui – aggiunge Domenico – se fosse stato meglio avrebbe messo la firma sull’Angliru, per esempio».

Oggi Vingegaard doveva dimostrare che era comunque il miglior corridore di questa Vuelta e ci è riuscito. Onore a lui.

Almeida un leone… Ha lottato contro un gigante e forse lo è diventato anche lui
Almeida un leone… Ha lottato contro un gigante e forse lo è diventato anche lui

Almeida: sostanza e personalità

L’altra storia ci porta dal grande rivale di questa corsa spagnola, Joao Almeida. Chissà cosa, e se, gli ha detto Pogacar, il suo capitano, quando si è trovato a battagliare con il rivale storico del suo leader. Se gli ha svelato qualche punto debole.

Il portoghese della UAE Team Emirates si è ritrovato capitano. Sarebbe dovuto essere lo stesso Pogacar a guidare la corazzata in Spagna. Invece…
«Invece – ha detto Pozzovivo – si è ritrovato leader in modo inatteso. Ma è sbagliato dire che la sua stagione è venuta fuori in modo inaspettato. Andava già forte al Giro di Svizzera (anche prima al Romandia, ndr) e poi doveva fare bene il Tour. E invece ecco che si ritrova a fare la Vuelta e anche da capitano».

Oggi persino Ayuso ha contribuito alla causa di Almeida… almeno nelle fasi meno calde della corsa
Oggi persino Ayuso ha contribuito alla causa di Almeida… almeno nelle fasi meno calde della corsa

Joao leader

E proprio sull’essere leader, sulla pressione, sulla convivenza con Juan Ayuso, Pozzovivo esalta il portoghese: «Per me è stato fortissimo e questo lo consacra sia a livello internazionale che nella sua squadra. Credo che Joao si sia gestito benissimo, anche dal punto di vista della personalità, dell’essere leader appunto. E non ha avuto un inizio di Vuelta facile, con quei problemi di “spogliatoio”. Nella tappa in cui ha accumulato il maggior distacco da Vingegaard, lui stesso al termine della frazione ha detto che la squadra non aveva lavorato al 100 per cento per lui. Credo riferendosi non solo ad Ayuso, ma anche a Vine. E se dici una cosa del genere è perché ti prendi poi pressioni e responsabilità e lui ci ha convissuto benissimo. Idem quel che ha fatto sull’Angliru. Si è messo al massimo del suo limite. Di solito quando hai avversari così forti ti lasci un minimo di margine per rispondere a uno scatto. Lui no… e ha avuto ragione».

Anche oggi sulla Bola del Mundo ha perso qualche secondo, Almeida e la UAE con corridori che gli sono diventati fedeli quali Grosschartner e Vine, non si è fatto intimorire. La mancanza del riferimento Pogacar non si è fatta sentire.
«Non credo che Almeida senta questa cosa. Anche lo scorso anno al Tour era gregario di lusso, ma Tadej spesso partiva così tanto presto che anche lui poteva correre per sé stesso. E poi ha avuto altre occasioni di essere leader. Non ha perso insomma attitudine. Discorso diverso se si fosse trasformato nel leadout che si sposta e prende 10 minuti».

Tom Pidcock (classe 1999) avrà trovato la sua dimensione definitiva?
Tom Pidcock (classe 1999) avrà trovato la sua dimensione definitiva?

Pidcock: ora è nel posto giusto

La terza storia ci porta a Tom Pidcock. Il folletto della Q36.5 finalmente sale sul podio di un Grande Giro. In tanti, dopo la vittoria al Giro U23, lo aspettavano al varco, ma l’inglese aveva sempre mostrato altre preferenze, sia dal punto di vista personale che tecnico.

Domani a Madrid salirà sul gradino del podio e sempre domani Van der Poel sarà al mondiale di MTB. Per Pidcock è di certo un colpo al cuore. «Io sono un biker», ha sempre detto. Oggi all’arrivo quasi non riusciva a parlare tanto era stanco.

La domanda delle domande pertanto è: da oggi possiamo dire che Pidcock è uomo da corse a tappe? Mai come stavolta l’opinione di Pozzovivo, anche lui piccolo, scalatore e persino un po’ biker, è calzante.
«La Vuelta è sempre particolare quando si parla di Grandi Giri e questa lo è stata ancora di più. C’è una dichiarazione di Tom che mi ha colpito nel post Giro d’Italia e cioè: “Ho sofferto molto il caldo”. Per uno che soffre il caldo la Vuelta non è la miglior gara, ma in questo caso si è partiti con il maltempo in Italia, si è sempre restati al Nord dove le temperature non sono mai state torride e niente Andalucia. Questo ha giocato a suo favore».

«Rispetto alle tre settimane possiamo dire che ha dimostrato di esserci. Però mancava almeno un tappone da oltre 5.000 metri. Al Giro d’Italia ce ne sono sempre almeno due se non tre. Se ci fosse stato quello gli avremmo potuto dargli definitivamente la “patente” per corridore da Grandi Giri. Però questo podio è incoraggiante per lui. Resta il fatto che è un corridore che ama la corsa secca, che ama alzare le braccia e credo che correre per la classifica sia stato un grande sforzo mentale per Tom».

Giulio Pellizzari ha ceduto proprio nel finale della Vuelta. Sulla Bola ha incassato quasi 3′ perdendo la maglia bianca. E’ comunque 6° nella generale
Giulio Pellizzari ha ceduto proprio nel finale della Vuelta. Sulla Bola ha incassato quasi 3′ perdendo la maglia bianca. E’ comunque 6° nella generale

Chissà in casa Ineos…

Le analisi di Pozzovivo sono davvero eccellenti, ficcanti come solo chi è stato in gruppo per tanto tempo ad alti livelli può fare. E così gli chiediamo anche se domani, mentre metterà il piede sul podio, lui, ma soprattutto la Ineos Grenadiers, cosa penserà. Gli inglesi si mangeranno le mani?

«Assolutamente sì – dice secco il “Pozzo” – A loro manca un punto di riferimento per i Grandi Giri e in Ineos Grenadiers lo hanno fatto fuori con troppa fretta».

Però è anche vero che in quella squadra c’è una certa mentalità, una certa disciplina, di certo uno che vuole fare MTB non è il massimo per il team. E viceversa. Pidcock aveva perso il sorriso. In Q36.5 qualche comparsata in più offroad la può fare…
«E infatti – conclude Pozzovivo – per Tom stare in una squadra più piccola come la Q36.5 è meglio, può avere questo approccio. Alla fine è un po’ il faro, la maggior parte dei punti dipendono da lui e può permettersi di avere più spazi, di gestire un po’ di più i suoi impegni. Penso anche all’eccezione che, non essendo in una WorldTour, abbia comunque potuto disputare due Grandi Giri. Di certo è una situazione a suo vantaggio».

Ganna e quei 9 decimi su Vine: la lettura di Malori e Cioni

12.09.2025
6 min
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Nove decimi. Due battiti di ciglia, un niente, meno di un secondo. Ma tanto è bastato a Filippo Ganna per aggiudicarsi la cronometro individuale di Valladolid, atto numero 18 della Vuelta. Un finale da urlo, che ha tenuto tutti sul filo a cominciare da Pippo stesso. «Credo di aver sofferto più a stare tre ore sulla hot seat (il posto dove siede colui che è primo in classifica, ndr) che sulla bici», ha detto Ganna.

Alle sue spalle si è piazzato Jay Vine, che in maglia a pois e in lotta ogni giorno per se stesso e per il capitano Joao Almeida si conferma formidabile contro il tempo. Nella generale invece l’accorciamento della crono (da 27 a 12 chilometri) ha di fatto congelato quasi tutto. Alla fine Almeida ha strappato una decina di secondi a Jonas Vingegaard. Mentre Giulio Pellizzari, che ieri ci aveva confidato di attendere questa tappa con grande attenzione, si è ben difeso: 36° a 45″ da Ganna e a 5″-10″ dai rivali diretti.

Jay Vine è stato un missile, ma nulla ha potuto contro il finale travolgente di Ganna: 2° a 0,9″
Jay Vine è stato un missile, ma nulla ha potuto contro il finale travolgente di Ganna: 2° a 0,9″

Oltre i 60 all’ora

Pippo parte in sordina. O meglio, sembra gestire. Ma certo una crono di 12 chilometri deve essere terribilmente complicata da gestire. Si deve andare a tutta dall’inizio alla fine, ma per fare questo i 12 chilometri diventano tanti. Il tracciato però invita a spingere.

Al primo intermedio, dopo 4 chilometri, Pippo non era neanche tra i primi dieci. Al secondo intertempo, dopo 8 chilometri, era sesto a 9” proprio da Vine. Ganna si è sciroppato gli ultimi 4.200 metri a una media di 57 all’ora. Deve essersi messo in modalità pista, come nell’inseguimento. Il tachimetro indicava costantemente 61-63 all’ora. Qualcosa di incredibile.

«Nella prima parte del percorso – ha detto il piemontese – non sono riuscito a trovare un giusto ritmo. Nella seconda metà invece ho provato a spingere il più possibile, senza guardare ai numeri. Sono molto felice, questa settimana sta andando molto bene per noi (il riferimento è alla vittoria di Bernal, ndr).
Dopo la caduta al Tour non è stato facile ritrovare la condizione, sono arrivato qui dopo tante fatiche (e tanta altura, ndr). La Vuelta non è una corsa facile per un ragazzone come me, ci sono tantissime salite. Ma sono felicissimo, ci voleva dopo tanta sofferenza e tante malattie».

Vingegaard si è detto soddisfatto della sua prova, andata secondo le aspettative
Vingegaard si è detto soddisfatto della sua prova, andata secondo le aspettative

Il pensiero di Malori

Come da nostra abitudine abbiamo voluto commentare la tappa con l’esperto, che in questo caso è stato Adriano Malori, un gigante della crono. E come sempre il Malo ci ha visto lungo.

Adriano: finalmente Ganna! Come lo hai visto?

Il solito Pippo Ganna che va forte e fa un gran finale, ma con appena 1” di vantaggio su Vine. Lo dico in modo un po’ brusco: vedo in generale una piccola debacle dei grandi cronoman ultimamente. Per esempio non pensavo che oggi Kung, in una crono così veloce, perdesse così tanto. E anche altri specialisti in questi ultimi periodi non brillano.

E perché secondo te?

In generale non saprei, nel caso di Pippo perché ha fatto un po’ più di strada del solito e magari è un filo più magro. Ma attenzione, non voglio criticarlo, magari ci sta provare anche altre cose. Ci sta che uno come lui, che ha già vinto tanto, si ponga altri obiettivi. E comunque è andato fortissimo, perché ha fatto 56 di media! Voglio dire che la figura del cronoman puro sia stata un po’ cancellata. Anche Remco Evenepoel è più di un cronoman. Pogacar, e penso alla crono spaziale che ha fatto al Tour, non è solo un cronoman. Sono corridori completi che vanno. Questo, posso ipotizzare, perché tutti curano di più la specialità.

Cioè?

Prima solo gli uomini di classifica e i cronoman curavano con attenzione la posizione, i materiali e tutto il resto. Ora lo fanno tutti. Tutti hanno materiali top, escono con la bici da crono. I livelli cambiano e i distacchi si riducono.

Ieri nel finale Ganna è stato strepitoso. Come ti spieghi questa rimonta su Vine, Adriano?

Di certo Pippo ne aveva, bisogna vedere che l’altro non si sia gestito male e sia rimasto senza gambe. Spesso le crono così corte sono difficili da gestire, sono queste quelle in cui si resta senza gambe e non quelle da 50 minuti. Perché lì sai che non puoi andare a tutta sin da subito. In prove così veloci e intense imposti il pacing, i watt, ma sei comunque portato a spingere troppo.

Almeida ha rifilato 10″ a Vingegaard ed ora è a 40″ dal danese
Almeida ha rifilato 10″ a Vingegaard ed ora è a 40″ dal danese
Domanda all’ex corridore: ma quando vedi che il computerino segna 62-63 all’ora ti gasi?

Personalmente non guardavo la velocità, ma osservavo i watt. Ho sentito di un mio ex tecnico alla Movistar e poi vicino alla Visma-Lease a Bike che diceva come nel famoso giorno di Vingegaard nella crono di Combloux al Tour 2023, avesse il potenziometro leggermente sfasato, che segnava di più. Ebbene lui non se ne è curato, si sentiva bene e ha continuato a spingere secondo le sue sensazioni, anche se i dati che vedeva erano già alti. Bravo Jonas. Ma quando tu hai una FTP di 450 watt e vedi che tieni bene i 470-480 allora in quel caso ti gasi davvero e a livello psicofisico decolli.

A proposito di Vingegaard, l’accorciamento della crono secondo te ha danneggiato Almeida?

No, non credo. Anche se Vingegaard è meno forte del 2023, è comunque solido. Non spreca un’energia più del previsto. E poi un giorno uno guadagna qualche secondo e un giorno li recupera l’altro. La crono di Valladolid pertanto non avrebbe influito a mio avviso anche se fosse stata lunga i 27 chilometri previsti. Insomma non ce lo vedo Almeida che sulla Bola del Mundo gli rifila un minuto.

Ma alla fine dunque, Adriano, Ganna è più felice perché ha vinto o sta lì a pensare che ha dato solo 1” a Vine?

No, no… è felice perché ha vinto. Tra l’altro Vine è un ottimo cronoman. Anche a me è capitato di vincere per un secondo contro corridori meno specialisti di me. Poi alla fine analizzi la gara e rivedi tante cose. E comunque, come dicevano in Fast and Furious: non è importante che tu vinca per un miglio o per un centimetro, ma che tu arrivi primo!

Ed ecco TopGanna. Anche a Valladolid ha optato per il setup che più ama con il 64×11 come massimo rapporto
Ed ecco TopGanna. Anche a Valladolid ha optato per il setup che più ama con il 64×11 come massimo rapporto

Parla Cioni

E partendo proprio da quest’ultima risposta di Adriano Malori, circa l’analisi della gara a posteriori, ci pensa subito Dario David Cioni, tecnico della Ineos Grenadiers, a dare una chiara visione dell’andamento della corsa.

«Pippo è andato forte – ha spiegato il toscano – ma è anche vero che Vine ha beneficiato di un paio di scie di corridori partiti prima di lui che ha ripreso. In più è partito tra i primi e si sa che col tempo le condizioni possono cambiare.

«Se guardo alla sua prestazione questa è ottima. Togliamo Vine che è così vicino, gli altri, Almeida, Vingegaard, sono tutti più staccati. No, oggi su un percorso così veloce era difficile poter fare più distacchi. In più all’inizio Ganna era un po’ bloccato. Siamo nella terza settimana di un grande Giro, non in una corsa di un giorno, e può succedere, tanto più se pensiamo che ieri c’era stata una tappa in salita. Non certo il massimo per lui che non è uno scalatore».

Cioni spiega poi un altro fatto. Partendo presto, Ganna aveva di fatto solo un’ora e mezza tra la ricognizione e il via. Di fatto la sua recon si è trasformata in una sorta di pre-riscaldamento.
«Pippo – conclude Cioni – ha fatto due giri del percorso. Il primo piano, il secondo un po’ più allegro soprattutto per visionare le curve. Da lì è stato un’ora e mezzo tranquillo e poi ha iniziato la trafila del riscaldamento. Alla fine la cosa più stressante per lui è stata attendere tre ore il verdetto! Cosa mi è piaciuto di questa sua crono? Il gran finale. E’ letteralmente volato. In certi tratti andava a 64 all’ora».

Vuelta, tappa bellissima mozzata dalla protesta. Vince Bernal

09.09.2025
6 min
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Gianmarco Garofoli, che stamattina ha lasciato la Vuelta a causa di un virus intestinale che lo ha colpito nella notte, lo aveva detto: «Qui in Spagna la questione palestinese è molto sentita, specie al Nord». E così oggi una tappa che si stava annunciando interessante e anche emozionante, vista la durezza del percorso, è stata mozzata sul più bello.

Per la cronaca ha vinto Egan Bernal, ma certo annunciare così una sua vittoria dispiace. Dispiace perché in fuga c’era con lui Mikel Landa. Due scalatori di rango, entrambi con un conto aperto con il destino e le cadute. Viene dunque da pensare cosa sarebbe potuto essere senza l’interruzione.

Il forcing di Bernal mette tutti in fila. Alla fine resteranno solo il colombiano (che otterrà la sua 22ª vittoria da pro’) e lo spagnolo
Il forcing di Bernal mette tutti in fila. Alla fine resteranno solo il colombiano (che otterrà la sua 22ª vittoria da pro’) e lo spagnolo

La vittoria triste di Bernal

Mancavano circa 16 chilometri quando la direzione di corsa ha ufficializzato l’accorciamento della tappa. «A causa di una protesta che ha bloccato la corsa, il vincitore di tappa e i tempi della classifica generale saranno decisi a 8 chilometri dal traguardo», così informava La Vuelta sul proprio sito ufficiale.

Stop dunque al cartello dei -8, proprio laddove iniziava la scalata finale verso Castro de Hervillo. A circa 3 chilometri dall’arrivo i manifestanti avevano occupato la sede stradale: la corsa non sarebbe potuta passare.

Landa e Bernal restavano in due grazie alla foratura che aveva fermato il terzo fuggitivo, Clement Braz Afonso. I tre avevano fatto la differenza sull’Alto de Prado, una scalata durissima con punte al 18 per cento. Bernal mostrava grande gamba: quando tirava lui, il gruppetto si allungava e anche i colli degli altri fuggitivi. Landa era uno dei pochissimi a resistere, ma con fatica.

In volata, come previsto, non c’è stata storia. Landa non è mai stato uno sprinter e per di più, trovandosi davanti al momento del lancio in leggera discesa, ha finito per offrire il colpo di grazia al rivale in un arrivo che tanto sembrava quello di una corsa di cicloamatori di terzo ordine, tanto era improvvisato, senza transenne, senza tifo…

Vingegaard sereno dopo l’arrivo. Nella generale nulla di fatto a parte Pellizzari che sale al quinto posto. Mentre Almeida insegue sempre a 48″
Vingegaard sereno dopo l’arrivo. Nella generale nulla di fatto a parte Pellizzari che sale al quinto posto. Mentre Almeida insegue sempre a 48″

Vingegaard, un altro passetto

E poi c’è la battaglia per la classifica generale. Apparentemente nessun grande movimento, ma a guardare bene Jonas Vingegaard è parso brillante e disteso in volto come nei giorni migliori. Pedalava leggero anche in piedi sui pedali. Bene anche Joao Almeida, più agile del danese.

La UAE Emirates si è trovata scoperta dopo il forcing della Bahrain-Victorious, preoccupata per il rientro in classifica di Bernal, e ha richiamato Marc Soler che era davanti. Giusto una precauzione, più che l’idea di un attacco. L’unico vero brivido è stata la foratura di Vingegaard sull’Alto de Prado: immediato il cambio bici con quella di Ben Tulett, senza conseguenze.

A conti fatti, questa protesta ha fatto gioco al leader della Vuelta. E’ passata un’altra tappa e Vingegaard resta in maglia roja, evitando il pericolo dell’ultima scalata. Avrebbe potuto anche affondare il colpo lui, sia chiaro. Dopo il “traguardo” Jonas era sorridente, salutava le telecamere e festeggiava con i compagni.

L’assembramento lungo la salita finale. Già verso le 16,30 mentre salivano i mezzi quello della Israel-Premier Tech era stato bloccato (foto Marta Brea)
L’assembramento lungo la salita finale. Già verso le 16,30 mentre salivano i mezzi quello della Israel-Premier Tech era stato bloccato (foto Marta Brea)

La protesta inarrestabile

La notizia del giorno resta però la protesta palestinese. La percezione in Spagna sembra diversa dalla nostra, sia per impatto mediatico che per approccio politico e sociale a 360°. Lo aveva detto Garofoli, lo si vede dalle immagini trasmesse dalla Vuelta e dalle prese di posizione del premier Pedro Sanchez.

Il primo ministro spagnolo, giusto ieri, aveva rincarato la dose contro Israele e Benjamin Netanyahu. Aveva chiuso gli spazi aerei e navali per eventuali carichi di rifornimenti militari, dato supporto alla Global Simud Flotilla e preso posizione netta.

Ieri erano state fatte delle riunioni per la sicurezza in vista di queste tre tappe in Galizia, con l’obiettivo di blindare soprattutto la frazione 17, quella di domani con arrivo al Alto de El Morredero, secondo le fonti quella più a rischio. Era stata prevista una task force ulteriore di 147 agenti tra Guardia Civil, Unità di Mobilità e Polizia locale. I manifestanti, però, hanno anticipato.

Il direttore della Vuelta, Javier Guillen, ha ammesso di trovarsi davanti all’edizione più difficile dei suoi 16 anni di direzione. L’Israel-Premier Tech resta al centro della bufera. Fa da capro espiatorio, ma la sensazione (ripetiamo sensazione) è che la protesta sulle strade iberiche ci sarebbe lo stesso proprio perché c’è un’altra visone in merito alla guerra in Medio Oriente.

Guillen si trova in una posizione difficile. Non hai mai incentivato la Israel a lasciare, ma neanche si è espresso affinché restasse in gara. L’UCI da parte sua ha diramato un comunicato molto neutro: «La squadra ha il diritto di partecipare, non possiamo vietarlo». Di fatto tutto è in sospeso e questi sono i risultati.

Stefano Zanini (classe 1969) diesse della XDS in questa Vuelta
Stefano Zanini (classe 1969) diesse della XDS in questa Vuelta

Dalla Spagna, Zanini…

Abbiamo intercettato a caldo Stefano Zanini, direttore sportivo della XDS-Astana, per provare a capire quale atmosfera si vive sul campo.
«In effetti – ha detto Zazà – oggi c’erano tantissimi manifestanti lungo il percorso. Sembra quasi che la protesta cresca. Ci hanno avvertiti dello stop via radio mentre eravamo sulla quella salita durissima, l’Alto de Prado (quindi poco prima rispetto a noi, ndr) e lo abbiamo comunicato ai ragazzi».

Stefano, gli atleti hanno la sensazione di correre rischi?

Se bloccano la strada come oggi no, ma se succede come qualche giorno fa nella cronometro, o come quando quel tizio si è gettato addosso a Romo (oggi non partito per i traumi di quella caduta), allora sì: un po’ di timore credo lo abbiano.

I tuoi corridori ne parlano tra loro?

Abbiamo orari differenti, ma almeno negli ultimi due giorni non ne hanno discusso.

Avete mai condiviso l’hotel con la Israel-Premier Tech?

Sì, anche nel giorno di riposo e non ci sono mai state proteste. Tutto molto tranquillo.

Personalmente che sensazioni hai? E’ stata persino messa in discussione la tappa finale di Madrid… Cosa succederà?

La sensazione è che il problema c’è e non sarà facile. Parlavo con un giudice e mi diceva che anche tecnicamente riorganizzarsi ogni volta è complicato. Dover prendere i tempi a mano all’improvviso è come tornare a 40 anni fa. Quindi la mia sensazione è: “speriamo che vada bene”. Non so cos’altro dire. E’ una situazione insolita, in cui lo sport subisce la politica.

E’ così: questa è politica e il ciclismo si corre sulla strada. Storicamente è sempre stato così. Oggi parlare solo di sport è difficile, forse anche fuori luogo. Staremo a vedere quel che succederà e se davvero questa Vuelta ferita arriverà a Madrid. Qualcuno in Spagna inizia davvero a chiederselo, come è accaduto in un dibattito su Marca, il maggior quotidiano spagnolo, e anche in altre trasmissioni. Intanto domani c’è un altro arrivo in salita… forse.

Parla Oss: bravo Soler. Vingegaard concreto e Pellizzari…

06.09.2025
5 min
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MISANO ADRIATICO – A La Farrapona, Lagos de Somiedo, la UAE Emirates ha dominato ancora una volta, tirando dietro e vincendo davanti con Marc Soler. Dopo l’Angliru, la Vuelta regala un’altra frazione breve ma durissima, che ha visto il team emiratino conquistare la settima vittoria in 14 tappe: un dato impressionante, il 50 per cento delle frazioni corse.

Oltre alla vittoria, resta la sfida per la classifica generale, con Jonas Vingegaard e Joao Almeida al centro del confronto. In tutto questo, Giulio Pellizzari continua a stupire. Ne abbiamo parlato con Daniel Oss, incontrato all’Italian Bike Festivaal, che ha analizzato la doppietta Asturie e gli equilibri di questa Vuelta.

Soler sul maxischermo racconta le sue impressioni e in primo piano daniel Oss che ci dice la sua…
Soler sul maxischermo racconta le sue impressioni e in primo piano daniel Oss che ci dice la sua…

Soler congola

Intanto Soler ci mette la firma e lui è anche uno dei papabili spagnoli per il mondiale che vede, si dice, un Ayuso primo ed acerrimo rivale di Pogacar. 

«Sono davvero felice di aver conquistato un’altra vittoria per la squadra – ha commentato Soler –  Stavo seguendo le azioni più importanti e ho seguito Campenaerts quando ha attaccato per entrare in fuga e da lì ho fatto un’azione nella valle prima dell’ultima salita per andare in fuga. Poi ho mantenuto il mio ritmo in salita.

«Aspettavo istruzioni da dietro se Joao fosse andato in fuga e avessi dovuto rialzarmi, ma alla fine ho avuto il via libera per spingere e sono contento di aver conquistato la tappa. Buon compleanno a mia moglie, questa tappa è per lei».

Oggi Vingegaard ha ripreso 2″ ad Almeida grazie all’abbuono. Ora tra i due ballano 48″
Oggi Vingegaard ha ripreso 2″ ad Almeida grazie all’abbuono. Ora tra i due ballano 48″
Daniel, partiamo da ieri e da questa doppietta Angliru-Lagos de Somiedo. Cosa significa in termini di energie spese?

Dal punto di vista della performance e dell’economia complessiva della Vuelta questa doppietta ci dà valori reali in campo. La tappa di oggi ha messo in mostra dati importanti anche dal punto di vista tattico, perché la fuga è andata via dopo tanta bagarre. In quel gruppo c’erano super atleti, gente forte anche in salita.

Con Soler ancora in fuga…

Lui in fuga è una garanzia. Si è visto dalla voglia che aveva. Ma mi è piaciuto molto anche Giulio Pellizzari, che sta disputando un altro grande Giro di livello. Noto invece una situazione ancora ferma dal punto di vista della classifica generale.

Ecco, veniamo al nocciolo della questione: lo scontro è tra Vingegaard e Almeida. Come la vedi?

Che Jonas Vingegaard va come un tuono! Almeida, che ha una squadra incredibile, sta facendo il possibile: oggi ha provato, ha tirato, ha cercato di fare la differenza, ma fatica a guadagnare. Potrà approfittare solo di eventuali debolezze di Vingegaard, ma se Jonas resta così solido, la vedo dura.

Oggi nessuna protesta palese, ma la tensione per la querelle Israel-PremierTech resta alta
Oggi nessuna protesta palese, ma la tensione per la querelle Israel-PremierTech resta alta
Il punto è la terza settimana: uno ha il Tour sulle gambe e l’altro no?

Ci sta. Vingegaard non sta mostrando debolezze, si muove bene tatticamente, non fa colpi di testa e non spreca nulla. E’ molto concentrato sull’obiettivo Vuelta. Lo vedo consapevole. Almeida è uno scalino dietro e deve inventarsi qualcosa di speciale.

Da ex corridore, come leggi il fatto che sull’Angliru non abbia vinto? E’ una crepa per lui?

Ieri era stravolto al defaticamento. Dubito che qualcuno sia arrivato fresco sull’Angliru. Non ha staccato tutti, ma può essere anche interpretato come l’unico giorno di difficoltà della sua Vuelta. Vediamo i prossimi giorni: la terza settimana decide sempre tutto. E la Vuelta è famosa per il caldo e le salite dure. Però faccio fatica a immaginare un Almeida superiore a Vingegaard.

Quindi se Daniel Oss dovesse puntare 10 euro li punterebbe sul danese?

Esattamente.

Pellizzari ha lavorato per Hindley. Suo il forcing decisivo di giornata
Pellizzari ha lavorato per Hindley. Suo il forcing decisivo di giornata
Daniel, aiutaci a interpretare la tattica della UAE Emirates: tiravano dietro e davanti c’era Soler.

E’ sembrata una tattica strana, ma la tappa è stata super tirata. In fuga c’erano più di venti corridori. Soler è stato furbo, ha aspettato e sulla salita finale ha avuto via libera dalla squadra, perché il vantaggio era alto. Ha colto l’occasione al meglio. Dietro, la UAE ha proseguito col piano del mattino: mettere in difficoltà Vingegaard e preparare un eventuale attacco di Almeida. In tutto ciò, Soler ha superato ogni aspettativa. Secondo me non se lo aspettava neanche la squadra.

Ne hai accennato prima, ma quanto ci piace questo Pellizzari?

Molto. E’ un ragazzo positivo, leggero ma non in senso superficiale. Ha serietà nel lavoro e professionalità. E’ già proiettato verso una grande carriera. E’ uno dei pochissimi italiani che può darci speranze per la classifica generale. Riesce a gestire la pressione. Al Giro d’Italia ha avuto qualche inciampo, ma solo perché era la prima volta. Nel complesso, bene. Tra l’altro lo vedo relativamente spesso perché si sta spostando verso il trentino (la sua compagna è valsuganese proprio come Oss, ndr) e ogni tanto lo vedo in bici per un caffè o per una cena.

In questi caffè valsuganesi gli hai dato qualche consiglio?

No, consigli tecnici non credo di poterne dare. Eventualmente di vita. In bici ha già la direzione giusta e la giusta testa. Deve solo sfruttare questo momento e crescere al meglio.

Almeida si prende l’Angliru: Vingegaard sfinito

05.09.2025
5 min
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Purtroppo per lui, Jonas Vingegaard dovrà attendere ancora prima di regalare l’orsacchiotto al figlio. L’Alto de Angliru resta un tabù e, dopo il secondo posto nel 2023 dietro Primoz Roglic, stavolta deve inchinarsi a Joao Almeida.

Sul gigante asturiano trionfa il portoghese della UAE Emirates che forse mette nel sacco la vittoria più importante della sua carriera, per come è arrivata e per chi ha battuto. Una vittoria che lo consacra, semmai ce ne fosse stato bisogno, tra i grandissimi.

Bravo Garofoli (in coda) che in questa Vuelta si è fatto vedere ancora una volta
Bravo Garofoli che in questa Vuelta si è fatto vedere ancora una volta

La consacrazione di Almeida

La tappa scorre via secondo copione: fuga da lontano, dentro c’è anche Gianmarco Garofoli e un tentativo lo fa anche di Antonio Tiberi. Dietro Red Bull-Bora e UAE che chiudono. Poco ha contato il breve stop per la protesta pro Palestina: in gruppo andavano troppo più forte.

La scalata dell’Angliru si trasforma presto in una cronoscalata: Almeida contro tutti. Uno dopo l’altro li fa saltare. L’unico ad averlo messo in difficoltà, anche solo per qualche metro, è stato paradossalmente il compagno Felix Grossschartner. Dopo il grande lavoro di Vine, l’austriaco aveva cambiato ritmo e saggiamente Joao non lo ha seguito. Poteva essere un campanello d’allarme, tanto che in casa Visma-Lease a Bike, cioè lo stesso Vingegaard e Sepp Kuss, che su queste rampe si rigenera, si è subito confabulato. Magari l’americano aveva consigliato al suo leader di attaccare.

Almeida taglia in testa il traguardo dell’Alto de Angliru davanti a Vingegaard. Terzo Hindley a 28″ che nel finale ha recuperato parecchio
Almeida taglia in testa il traguardo dell’Alto de Angliru davanti a Vingegaard. Terzo Hindley a 28″ che nel finale ha recuperato parecchio

Vuelta riaperta

Jonas però non lo ha fatto. La domanda è perché. Troppo presto? Non ne aveva? Alla fine lo scatto che tutti si aspettavano non è arrivato. Nel chilometro finale di salita anche lui dava le spalle e allo sprint, nonostante fosse rimasto sempre a ruota, non è riuscito a sopravanzare il portoghese, abile anche a prendersi la posizione nelle curve conclusive.

Ma un aspetto ha colpito più di tutti: la faccia di Jonas dopo il traguardo. Quando è salito sulla bici da crono per i rulli defaticanti ha fatto un’espressione eloquente. Sollevare la gamba per montare in sella deve essere stato uno sforzo ulteriore e tremendo per il danese. Quella smorfia di dolore potrebbe dire molto.

In fondo il danese è l’unico dei big in classifica (assieme a Gall) ad aver corso il Tour de France a tutta. E le energie, lo abbiamo visto anche con Tadej Pogacar, in questo ciclismo si pagano eccome. Anche se sei un supereroe. In tal senso la tappa di domani, ancora in salita, dirà molto.

Ora i due sono separati da 46”, ma il morale di Almeida è in crescita e quello di Vingegaard forse scricchiola…

Vingegaard è parso davvero stanco dopo l’arrivo
Vingegaard è parso davvero stanco dopo l’arrivo

Quel chilometro finale…

Sembra strano dirlo dopo quanto accaduto con Juan Ayuso in settimana, ma la squadra di Matxin e Gianetti si è mostrata davvero unita. Ayuso escluso, tutti hanno fatto la loro parte. Come si lavora per Pogacar, lo stesso è stato fatto per Almeida.

«La squadra ha lavorato in modo perfetto – ha detto Joao – sono super felice di come sia andata. E’ una vittoria incredibile. Se sia la più importante della mia carriera? Io ho pensato solo a spingere, a fare il mio passo e nell’ultimo chilometro sono andato oltre il limite».

«Abbiamo fatto un ottimo lavoro di squadra – ha sottolineato Matxin a Eurosport – i ragazzi hanno corso al meglio e con la fuga non era facile controllare il distacco. La vittoria di Joao è speciale, questo è un traguardo prestigioso. Oggi volevamo vincere la tappa e ci siamo riusciti. Per radio gli dicevamo di spingere, di restare concentrato, che stava andando forte».

Anche oggi la protesta pro-Palestina lungo le strade della Vuelta si è fatta sentire
Anche oggi la protesta pro-Palestina lungo le strade della Vuelta si è fatta sentire

Marcato se la gode

Intanto i corridori arrivano alla spicciolata. L’Angliru è un giudice micidiale e spacca la corsa come poche salite al mondo. Marco Marcato, direttore sportivo della UAE, si gode il momento: «Questa vittoria vale per tre. L’Angliru è un’icona e un successo così dà tantissimo morale. Ancora di più perché hai battuto Vingegaard, il migliore al mondo su certi arrivi dopo Tadej. Siamo davvero soddisfatti. Joao l’ha presa di petto e chapeau a lui».

Con Marcato si parla anche di tattica. Durante la scalata ci si chiedeva se quel ritmo regolare impostato da Almeida non favorisse Vingegaard. Ma a quanto pare era tutto studiato.
«La tattica era questa – spiega Marcato – Joao è un regolarista e bisognava evitare che uno scalatore puro come Jonas potesse scattare, così abbiamo deciso di impostare un passo forte. Poco importava se l’altro restava a ruota, perché su quelle pendenze e con quelle velocità la scia conta poco. E’ stata una scelta che alla fine ha pagato.


«Vuelta riaperta? Per noi non era mai stata chiusa. Ora il distacco tra i due è di 46” e restano molte tappe dure fino a Madrid. Ci proveremo ancora, ma bisogna fare i conti con le energie rimaste».

Pellizzari intanto rafforza la sua maglia bianca (+32″ su Riccitello). E’ sesto all’arrivo e sesto nella generale
Pellizzari intanto rafforza la sua maglia bianca (+32″ su Riccitello). E’ sesto all’arrivo e sesto nella generale

Il bilancio delle energie

E con questa frase Marcato apre un altro capitolo: quello delle energie, che già avevamo accennato. In teoria il bilancio dovrebbe pendere a favore del portoghese, che ha lasciato il Tour quasi subito. Un dato però non va perso nell’analisi della scalata: il recupero di Hindley e Kuss nel finale, segno che davanti erano stanchi.

«Eh – sospira Marcato – l’idea è quella, ma finora non si è visto questo calo da parte di Vingegaard. E’ vero però che oggi anche lui ha faticato, altrimenti avrebbe attaccato. Bisogna stare attenti, perché una salita finale come quella di domani è più adatta a uno come Jonas.

«Noi andiamo avanti per la nostra strada. Voglio sottolineare il lavoro dei ragazzi, da Novak a Grossschartner, da Vine a Oliveira… tutti. Stamattina eravamo tutti per Joao. Pressione non ne avevamo: in classifica eravamo messi bene e avevamo già vinto cinque tappe. Però abbiamo fatto bene quel che dovevamo, in particolare prima dell’Angliru, quando abbiamo preso davanti la tecnica discesa del Cordal per portarlo al meglio ai piedi della salita. Poi il resto lo ha fatto Almeida, che ci ha messo gambe e cuore».