In bici con una pro’. Una sgambata con Anna Trevisi

18.12.2022
5 min
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Capita anche di ritrovarsi spalla a spalla con una professionista. Chi va in bici sa bene che in sella si parla meglio che in altre occasioni. La bici è anche un grande mezzo di comunicazione che appiana timidezze e differenze. Durante il test della Colnago V4RS abbiamo fatto una sgambata con Anna Trevisi, atleta della UAE Adq.

Poche parole e siamo subito entrati in sintonia con la simpaticissima emiliana. Gli argomenti sono spaziati un po’ ovunque. Un po’ come accadde qualche mese fa con Giovanni Lonardi.

In questa pedalata siamo andati dalla costa del Tirreno di Lido di Camaiore, alle sue colline retrostanti. L’abbiamo osservata pedalare: composta, potente nonostante non sia una gigante. Cauta in discesa sul bagnato, attentissima al traffico in pianura. Elegante quando si alzava sui pedali. Un (o una) professionista si nota anche da questi dettagli.

La pedalata con Anna Trevisi. La reggiana si appresta ad affrontare la sua 12ª stagione da elite
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Evoluzione in corso 

Appena partiti Anna chiede se il passo va bene. Il computerino segna i 30 all’ora e poi anche di più. Ma si va via facili, facili. La Trevisi ha appena finito un test e vuole smaltire un po’ di acido lattico.

Non appena la strada lo consente ecco che ci si affianca. E s’inizia a parlare. 

«Certo che ormai siete delle vere atlete – le diciamo – si vede anche dal fisico. Rispetto a qualche anno fa adesso siete tutte ben strutturate, scolpite. Una volta lo erano davvero in poche».

«Sì, le cose stanno cambiando – ribatte la Trevisi – l’avvento del professionismo ha smosso parecchio le acque. Ma ci sono alcune ragazze che se le guardi dal collo in giù sono “degli uomini”, hanno strutture fisiche parecchio marcate. E certe differenze sono ancora grandi.

«Sì, io adesso vado più forte che in passato, ma resta difficile stare davanti. I ritmi sono davvero elevati».

La Trevisi, 30 anni, è un’atleta di sostanza, una gregaria sulla quale puoi fare affidamento. Nel 2010 ha vinto il titolo europeo juniores e con quella credenziale mica da poco è passata tra le elite. Ma prima non era come adesso. Le ragazze erano molto meno tutelate e anche in fatto di preparazione e di supporto alle gare l’approccio era ben differente. Molto più allo “stato brado”.

«Immaginate cosa significasse passare dalle juniores alle elite? Che salto? Dal fare 70 chilometri di gara, al doppio. Dal 52×14, ai rapporti liberi. Sono passata dalle ragazzine a gente tosta come la Teutenberg. La Teutenberg… (sottolinea ancora una volta quasi a ripensare a quell’epoca, ndr). E chi lo vedeva l’arrivo all’inizio. Ancora oggi vieni catapultata in un altro mondo. E fai fatica a ritrovarti».

«Il ciclismo femminile cresce, ma non è così facile ancora. Per esempio noi non abbiamo la categoria under 23».

Però ribattiamo che questa, seppur timidamente, si sta affacciando. La UEC ci crede nelle under 23 femminili e in generale la visibilità del movimento sta aumentando. Lei annuisce ma lasciando intuire al tempo stesso che la strada è lunga.

Per Anna sei stagioni alla Alè-BTV Ljubljana: è qui che c’è stato il salto di qualità
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Da Alé a UAE

Si sale ancora. I tornanti a volte strappano duramente. Ci si guarda attorno e anche se il cielo è grigio si apprezza lo stesso il panorama. Anna pedala facile, facile. Noi un po’ meno! Ma il fiato per chiacchierare c’è. Si passa dai dialetti italiani, al triathlon. Ma poi si torna sul ciclismo.

«Qui alla UAE Adq si sta bene – va avanti Anna – lo status di professionista ci voleva. Facciamo una gran fatica. Ma se siamo qui il merito è anche di donne come Alessia Piccolo che tanti anni fa ha creduto nella squadra femminile. Alessia ha portato avanti questa sfida con una determinazione pazzesca. Sono stata sei anni all’Alé. Era una vera famiglia. Qui chiaramente ci sono altre opportunità che vanno di pari passo con il movimento. Ma Alessia tutt’ora la sento».

E’ bello ascoltare certi discorsi. L’entusiasmo e il coinvolgimento di come racconta. Si riesce a percepire “da dentro” l’evoluzione di questo mondo che per anni è stato prettamente maschile e maschilista. E per una donna, manager o atleta che sia, affermarsi è ancora più difficile.

Con la Bastianelli…

Ma in bici si parla anche di argomenti tecnici. La Trevisi ci racconta della sua voglia di provare una gravel, che quest’anno ha fatto 18.000 chilometri e soprattutto del suo lavoro in gruppo. Lei è una fidatissima di Marta Bastianelli.

«Spessissimo sono io che le tiro la volata – spiega la Trevisi – Ma il mio lavoro non è solo nel finale di corsa. Parte da molto prima. Per esempio quest’anno in una delle prime tappe del Giro d’Italia Donne ho chiuso su non so quante fughe. O in un’altra corsa in Spagna, se ben ricordo, avevo tirato all’inizio per controllare la fuga, nel finale l’avevo portata avanti e poi le avevo tirato anche la volata. Marta aveva poi vinto. Quel giorno mi ha detto: “Anna ma che lavoro hai fatto!”.

«E ti piace questo ruolo di “ultima donna”?», le chiediamo.

«Tantissimo – risponde la Trevisi – Quando Marta vince sono quasi più contenta che se dovessi vincere io. C’è un grande lavoro dietro e fa piacere vederlo finalizzato.

«Tante volte non è solo tirare la volata. Magari Marta ti chiede di starle dietro perché non vuole avversarie a ruota. La devo proteggere. E questo lavoro è quasi più difficile che tirarle la volata… perché tutte vogliono la ruota della Bastianelli».

La salita sta quasi per finire. Come sempre, quando si va in bici si gioca anche. Lanciamo lo sprint per il Gpm. Il risultato? Meglio che resti un segreto!