Plateau de Beille in vista. Il ricordo di Conti di quell’estate 1998

12.07.2024
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«Marco mi diede gli occhiali, poi la bandana… e lo fece ai piedi della salita. Pensai: “Mamma mia questo vuol partire subito”. E io ero già a tutta». Roberto Conti ci porta subito dentro questa intervista che di fatto è un racconto. Domenica prossima il Tour de France torna ad affrontare la scalata di Plateau de Beille. Una salita che per noi italiani evoca un ricordo molto dolce: la vittoria di Marco Pantani nel 1998. Da qui la planata verso la mitica doppietta che oggi sta cercando di fare Tadej Pogacar.

Quel giorno ci fu l’inversione di rotta della Grande Boucle dominata fin lì da Jan Ullrich. Il gigante tedesco si presentò all’inizio dei Pirenei con 5’04” di vantaggio sul Pirata. Il quale era persino contento! Un’impresa folle lo attendeva. Un’impresa che però forse solo Marco pensava potesse tramutarsi in realtà.

Nella prima tappa di “mezzi Pirenei”, cioè con qualche salita nel finale, ma ideale per le fughe, Pantani scattò sul finire dell’ultima scalata e guadagnò una ventina di secondi sul tedesco. Il giorno dopo ci fu appunto la Luchon – Plateau de Beille. E con essa la foratura di Ullrich proprio all’imbocco della salita che quasi mandò i piani all’aria. Lo scatto del Pirata ma senza fare il vuoto all’inizio. E infine le sue braccia al cielo.

Qualche anno dopo, sempre insieme Roberto Conti (a sinistra) con Pantani e Fontanelli…
Qualche anno dopo, sempre insieme Roberto Conti (a sinistra) con Pantani
Roberto, cosa ricordi di quel giorno, di quella mattina al via?

Ricordo che alla partenza un compagno di Ullrich, Udo Bolts, venne da me e mi chiese: “Robi, ma siete qui per le tappe o per vincere il Tour?”. Io gli risposi per le tappe aggiungendo anche che quel giorno avremmo vinto. E lui ancora: “E allora perché ieri avete attaccato se c’era la fuga fuori?”. Io rimasi un po’ così e lui: “Robi non fregarmi!”. Ma in quel momento era la verità. Puntavamo alle tappe. Mentre Marco era veramente convinto di vincere quel Tour.

E voi?

Proprio vincere no, ma salire sul podio sì. Tra l’altro era qualcosa che già aveva fatto. In quel Tour, ma si potrebbe dire in quegli anni, c’erano delle crono lunghe e sappiamo come andava Ullirch contro il tempo. Oggettivamente sarebbe stato difficile. Quasi impossibile.

Come andò quella mattina? Cosa vi diceste nella riunione?

Fu tutto molto regolare. Se fosse andata via la fuga l’avremmo dovuta tenere vicino il più possibile. Al Tour se vanno via fughe che prendono 10′ poi si fa fatica a chiudere, anche se ti chiami Pogacar o Pantani. E così facemmo: tenemmo la fuga sempre a tiro e poi Marco fece il resto verso Plateau de Beille, la salita finale.

L’arrivo del Pirata. Riprese l’ultimo fuggitivo (Roland Meier) ai -7 km. Da lì, una cavalcata solitaria. Ullirch arrivò a 1’40”
L’arrivo del Pirata. Riprese l’ultimo fuggitivo (Roland Meier) ai -7 km. Da lì, una cavalcata solitaria. Ullirch arrivò a 1’40”
Come approcciaste la salita? Chi tirò?

Adesso non ricordo proprio bene tutto, sono passati tanti anni… purtroppo, ma ricordo che quel giorno tirai poco. Non ne avevo! Ricordo bene però che pochi metri dopo l’inizio della salita Marco stava per partire e io lo fermai. Gli dissi: “No, no… Marco, aspetta”. E lui: “Ma perché non posso?”. Gli dissi che Ullrich aveva forato e che sarebbe stato meglio aspettare. Poi sarebbe sorta una guerra di antipatie, di giochi, di polemiche. Tra l’altro sarebbe potuto succedere a lui la stessa cosa. “Quando rientra attacchi”, gli dissi.

E Marco?

Non disse niente. Si mise lì buono… E poi dopo il rientro di Ullrich, partì. Mancavano ben più di dieci chilometri.

Tu e i tuoi compagni cosa sapevate durante la scalata di quello che stava combinando Marco?

Sapevo che stava guadagnando sulla fuga e su Ullrich. Ed eravamo felici per la vittoria di tappa che stava per arrivare. Ma quel che ci stupì non fu tanto la scalata, quanto quello che ci disse Marco la sera in hotel: “Ragazzi, siamo qui per vincere il Tour”. Noi gli dicemmo in coro: “Magari”. Il Tour è il Tour e come detto c’era ancora una crono lunga e lui aveva pur sempre 3’01” di ritardo da Ullrich.

Lo vedesti subito dopo l’arrivo?

No, no… in hotel. Marco tra premiazioni e interviste arrivò parecchio dopo. In quei casi si andava nella camera del suo massaggiatore. Gli si facevano i complimenti e a cena scattavano i racconti. Dopo cena telefonata a casa e poi di nuovo nel giardino o nella hall a parlare della corsa, dei progetti, delle cose che non avevano funzionato o semplicemente a scherzare. E anche quella volta andò così.

La salita di Plateau de Beille misura 16 km per una pendenza media del 7,8% e una massima del 10%. Dislivello di 1.235 m
La salita di Plateau de Beille misura 16 km per una pendenza media del 7,8% e una massima del 10%. Dislivello di 1.235 m
I corridori scaleranno Plateau de Beille dopodomani: che salita troveranno?

Una tipica salita pirenaica. Ricordo che andava su con dei lunghi e ampi drittoni con qualche tornante di tanto in tanto. Era una salita che non lasciava molto respiro, sempre attorno all’8-9 per cento con qualche rampa un po’ più dura ogni tanto. E poi ricordo che non finiva mai!

Prima abbiamo parlato del vostro approccio della salita e invece Pantani come si comportò?

In corsa non parlava tanto. Era piuttosto taciturno. E fu così anche quel giorno. Gli portavi da bere, da mangiare e lui se ne stava lì. Quando stava bene era così: taciturno, era concentrato. Pensate che quando forò Ullirch noi, anche lui, eravamo tutti in fila indiana e Marco non se ne accorse tanto era sulle sue.

Roberto, dopo l’impresa di Plateau de Beille lui vi disse che voleva vincere il Tour, ma voi avevate la sensazione che il Tour avesse davvero preso un’altra piega?

Come detto, per vincere no. In classifica Marco era dietro… Ma sapendo dei suoi attacchi, dei suoi attacchi da lontano dentro di me pensavo: “Vuoi vedere che questo qui tira fuori il coniglio dal cilindro?”.

Passo Fedaia, dove si decide il Giro. Conti, ti ricordi nel 1998?

29.11.2021
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Sabato 28 maggio, arrivo del Giro sul Fedaia. In questa esplorazione delle tappe e delle salite del Giro, il penultimo giorno di corsa merita un bel respiro.

«Lo stesso che fai quando arrivi a quei rettilinei – ride Roberto Conti – e guardi verso l’alto. Lassù in cima se c’è bello vedi tutti i tornanti che si arrampicano sulla montagna. Allora il bel respiro lo tirano tutti, ma se non stai bene, vi assicuro che ti viene anche l’ansia. In certi giorni è meglio che ci siano le nuvole, almeno non vedi quello che ti aspetta…».

Il romagnolo ha smesso di correre nel 2003 sulla soglia dei 40 anni, mentre oggi ne ha 56. Fece l’ultimo anno accanto al piccolo capitano, con cui nel 1998 aveva conquistato il Giro e il Tour, e appese la bici al chiodo poco prima che Marco se ne andasse per sempre. Roberto, come Fontana, Sibo e pochi altri, è custode di storie che pochi hanno il privilegio di aver vissuto. Una di queste, che magari avrete ascoltato e letto centomila volte, riguarda proprio Pantani e la Marmolada. In quella tappa del Giro 1998 che conduceva a Selva di Valgardena e dritto nella storia.

Personale hit parade

Ma noi andiamo per gradi. Perché Conti quelle salite le ha masticate davvero (quasi) tutte e prima di parlare della Marmolada tira giù la sua personalissima classifica.

«Stiamo parlano di Dolomiti – dice – e lassù la salita più dura è quella delle Tre Cime di Lavaredo. Poi ci metterei Plan de Corones. Quindi il Fedaia, il Giau e il San Pellegrino da Falcade, che il Giro farà proprio nella tappa di quest’anno. Sono salite che si fanno rispettare, ognuna con le sue caratteristiche».

Tonkov fu il primo dei big ad attaccare, ma mancava ancora troppo al traguardo
Tonkov fu il primo dei big ad attaccare, ma mancava ancora troppo al traguardo

Il Fedaia mette ansia

Del Fedaia ha due ricordi. E volendo riprendere la sua espressione d’inizio, in uno dei due casi lo affrontò con l’ansia, guardando i tornanti lassù in alto.

«Come lunghezza del pezzo duro – dice – non è eccessiva, sono 6-7 chilometri. Però confermo (ride ancora, ndr) che anche a me capitò di avere l’ansia. Successe nel 1996 quando il Giro lo vinse Tonkov. Lavorammo tutto il giorno per lui, prima avevamo fatto il Pordoi e io ero stanco. Arrivai là sotto, guardai in alto e pensai che non sarebbe mai finito».

In vetta con il 41×24

Tra i motivi di sconforto per Conti quel giorno c’era anche la limitata scelta di rapporti che i corridori avevano a disposizione.

«Nel 1996 – ammette – avevo il 41×24. Neanche il 39, non mi sono mai trovato a girarlo (Conti era uno di quelli che in salita spingeva rapporti solitamente duri, ndr). A quelle condizioni era una salita dura. Mi ricordo che al massimo come scelta c’era il 25, per questo se guardate le immagini, in salita eravamo costretti ad andare molto sui pedali. In piedi, che è faticoso. Adesso è cambiato tutto. Con i rapportini di adesso e le frequenze di pedalata che fai, sono costretti a stare seduti».

Guerini sudò sette camicie per dare man forte al romagnolo
Guerini sudò sette camicie per dare man forte al romagnolo

Pantani al buio

In quel 2 giugno del 1998, la tappa partiva da Asiago e prima della Marmolada, il gruppo si era messo sotto le ruote Duran, Forcella Staulanza e Santa Lucia. Poi avrebbe scalato il Sella e sarebbe arrivato a Selva di Val Gardena.

L’aneddoto che rese celebre Conti nelle settimane dopo il Giro del 1998 riguardava proprio il Fedaia, che Pantani non aveva mai scalato. In quegli anni di poche ricognizioni, gliel’aveva descritta proprio Roberto e così erano andati al via.

«Quando passammo per i Serrai di Sottoguda – dice e gli verrebbe da mettersi una mano sulla testa – mi resi conto che io da lì non c’ero mai passato. Per cui arrivammo a Malga Ciapela e poi, come ho raccontato centomila volte, andai a chiedergli quando volesse attaccare. Lui mi guardò e mi disse che aspettava le gallerie, perché gli avevo raccontato la salita sbagliata. Per fortuna mi venne in mente di andargli vicino».

A Selva di Val Gardena, Guerini vinse la tappa, Pantani vestì la prima rosa di sempre
A Selva di Val Gardena, Guerini vinse la tappa, Pantani vestì la prima rosa di sempre

Tonkov in trappola

Quel confabulare prolungato fra Conti e Pantani per rimediare una situazione di lieve imbarazzo in realtà trasse in inganno Tonkov, che al pari di Marco aveva individuato nel tappone di Selva la prima buona occasione per attaccare Zulle in maglia rosa.

«Io Pavel lo conoscevo bene – ride Roberto – non uno che attaccasse da lontano. E alla fine ho scoperto che vedendoci parlare aveva capito che Marco fosse in crisi e così era partito. Poveretto, non sapeva quel che c’era dietro. Ma quando Marco finalmente attaccò, se ne rese conto».

Ecco la Mercatone in rosa del 1998. Da sinistra, Konychev, SIboni, Garzelli, Conti, Podenzana
Pantani fra Garzelli e Conti dopo la vittoria finale del Giro 1998

Un minuto a chilometro

Quest’anno la musica sarà diversa, perché là in cima ci sarà l’arrivo e la musica sarà completamente diversa. Non si percorreranno i Serrai di Sottoguda, la cui strada è stata danneggiata dalla tempesta Vaia del 2018.

«Se vai in crisi sul Fedaia – spiega – perdi anche un minuto per chilometro. Anche perché tenete conto che prima ci saranno due belle salite, compreso il San Pellegrino dal lato duro di cui s’è parlato prima. Si sale ai 2.000 metri, che a qualcuno possono dare noia. Io ero uno scalatore colombiano, si vede, perché più salivamo e meglio stavo. E poi, come disse Marco, che scalatore sei se ti dà fastidio l’altura?

«E’ una bella tappa, semmai un po’ corta. Sarebbe stata perfetta sui 200 chilometri. Con un’ora, un’ora e mezza di bici in più alla partenza, la differenza si sarebbe sentita…».