Valtellina, i primi quattro giganti a ruota di Gavazzi

15.06.2022
8 min
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Quando fai il ciclista professionista e nasci in Valtellina, probabilmente non potresti accettare di pedalare sotto un cielo diverso. Si ha questa sensazione parlando con Francesco Gavazzi, pro’ dal 2007 e oggi alla Eolo-Kometa. Così dopo aver descritto Enjoy Stelvio Valtellina, con il corridore di Morbegno iniziamo un’ideale lunga… uscita sulle salite più rappresentative del progetto. Come abbiamo già raccontato, in alcuni giorni dell’estate, esse saranno chiuse, lasciando strada aperta alle bici…

«Sono belle strade – dice – con meno traffico rispetto a Bergamo e Como. Riesci ad allenarti bene e in sicurezza. Ci sono salite storiche che è un piacere fare e il cicloturismo sta letteralmente esplodendo. Non abbiamo soltanto salite. Infatti, parallele alla statale, ci sono stradine secondarie in pianura, per cui ci sono percorsi per tutti».

Gavazzi è in Slovenia per la prima tappa della corsa che rivedrà in gruppo Tadej Pogacar. Con lui buona parte del team che ha corso il Giro: Fortunato e Albanese, Rosa, Ravasi e il giovane Fancellu uscito bene dalla Adriatica Ionica Race.

Francesco Gavazzi è nato nel 1984 ed è professionista dal 2007
Francesco Gavazzi è nato nel 1984 ed è professionista dal 2007

Campo Moro, occhi e cuore

Cominciamo da qui, il Passo Campo Moro, affrontato pochi giorni fa dal Giro U23. La salita vera e propria inizia da Lanzada e da lì si sale per 15,1 chilometri. Quota di partenza 977 metri, arrivo a 1.990, per un dislivello di 1.013 metri e pendenza media del 6,7 per cento (massima del 7,8). 

«In realtà la salita inizia prima di Lanzada – dice Gavazzi – perché per il primo tratto si risale la Valmalenco che è pedalabile. Non è una salita che faccio spesso, ma per i suoi scenari è una di quelle che più ti resta dentro. Ci starebbe davvero bene un arrivo del Giro.

«A Lanzada si comincia a salire veramente e in alto si trova una serie di gallerie, poi un laghetto e uno scenario davvero bellissimo. Mi è capitata di rifarla qualche mese fa, dopo un bel pezzo che non andavo, e sono arrivato in cima dicendomi che avevo fatto bene ad andare.

«In alto c’è un piazzale, ai piedi della diga che chiude la valle, punto di ritrovo per gli escursionisti che lasciano l’auto e iniziano a camminare. La strada finisce lì – chiude Gavazzi – probabilmente ci sono sentieri adatti per la mountain bike, ma la bici da corsa si ferma a quel piazzale. Non c’è niente, solo una fantastica natura».

SOLO PER LE BICI

La salita di Campo Moro è stata già chiusa in favore delle bici il primo giugno e lo sarà ancora il 6 luglio (ore 8-12) e il 7 settembre (stesso orario).

La strada che arriva a Campo Moro finisce ai piedi della diga: panorama bellissimo (foto Valtellina Turismo)
La strada che arriva a Campo Moro finisce ai piedi della diga: panorama bellissimo (foto Valtellina Turismo)

Passo Spluga, tornanti in serie

Il Passo dello Spluga è lungo 30,1 chilometri, parte da quota 329 metri e arriva a 2.114 per un dislivello di 1.795 metri e pendenza media del 7,95 per cento (massima del 10,7).

Sullo Spluga, dal versante svizzero, il Giro passò lo scorso anno nella 20ª tappa. La salita su cui Caruso ringraziò Pello Bilbao per il gran lavoro e poi prese il largo verso la vittoria all’Alpe Motta. Il versante italiano fu invece proposto dal Giro d’Italia U23 del 2020, quando i corridori arrivarono a Monte Spluga, un paio di chilometri prima dello scollinamento, con vittoria di Pidcock.

«Il versante italiano – spiega Gavazzi – è lunghissimo. Il vero Spluga inizia da Campodolcino. Di recente è stata costruita una variante con meno curve, ma la salita classica ha tanti tornantini in pochi chilometri. Una salita che ti permette di goderti il panorama. Non ha tratti impossibili, ma passi lungo il lago, poi il paesino con le case di pietra. Dalla Svizzera è più breve perché inizia a 1.200 metri. Però quando arrivi al laghetto, con tutte le montagne attorno, sembra davvero di essere in un quadro».

SOLO PER LE BICI

Il Passo Spluga doveva essere riservato alle bici il prossimo 3 luglio, ma la manifestazione è stata annullata per cause di forza maggiore, lo sarà di nuovo il 4 settembre (ore 8-12).

Passo San Marco, la strada di casa

Il Passo San Marco parte proprio da Morbegno a quota 250 metri, è lungo 26,6 chilometri e scollina a 1.992 metri, per un dislivello di 1.742 metri. Pendenza media del 6,5 per cento, massima del 12.

«Il San Marco è la mia salita – Gavazzi si gasa – vivo praticamente ai suoi piedi, anche se sono originario di Talamona, e ne faccio un po’ ogni giorno.  E’ lunghissima e il Giro la fece una decina di anni fa, in una tappa che poi passava in provincia di Bergamo. E’ una salita vera. Inizialmente va su regolare, poi si stringe e per 3 chilometri va su al 10-12 per cento, poi si stabilizza. Io impiego un’ora 15′, per cui un amatore ci sta anche un’ora e mezza.

«La sua caratteristica è che quando arrivi ai 3 chilometri dalla cima, succede come sullo Stelvio: vedi la cima e non arrivi mai. Un calvario, per fortuna almeno è riparata dal vento. Da noi in bassa valle è la salita più importante, quella della conquista. E’ un po’ un vanto. E se sei forte e vuoi allungare, allora puoi fare il giro largo, scendendo verso Bergamo, poi Lecco e su lungo il lago».

SOLO PER LE BICI

Il Passo San Marco, la salita di casa di Gavazzi, sarà chiusa al traffico sabato prossimo (18 giugno, ore 8-11,30), quindi allo stesso orario il 17 settembre.

Mortirolo, inferno o paradiso?

Il Mortirolo , quota 1.852 metri sul livello del mare, l’abbiamo tenuto per ultimo, giusto per ingolosire gli amanti delle salite. Ha più versanti, ognuno fatto a modo suo e scopriremo a breve che i corridori stanno alla larga in allenamento dai più duri, che sono invece… costretti a fare in corsa.

I fronti più pedalati sono quello di Mazzo, poi Tovo, Monno, Grosio e la Dritta Contador. Altri versanti vengono scoperti periodicamente, poiché la base del valico è immersa fra vigneti e frutteti, solcati da stradine che confluiscono nei rami principali.

«Per fortuna – sorride Gavazzi, come avendo schivato un pericolo – da casa mia sono 70-80 chilometri, per cui è fuori portata. Però quando sei in ritiro a Livigno, finisci con lo scalarlo spesso, ma il versante di Mazzo l’ho fatto solo in corsa. Di solito vado da Grosio, che almeno non è impossibile. Non è che da Mazzo non ti alleni, però è troppo duro. E poi rispetto alle altre salite della zona, non hai grossi panorami intorno, perché è tutto nel bosco. Lo fai perché è storico, ma immagina di pedalare con questa rampa tipo garage davanti agli occhi».

Per conquista e per orgoglio

Qui viene fuori la differenza fra chi la sfida se la cerca per dimostrare qualcosa, a se stesso o agli altri, e chi va in bici per mestiere e da certe… provocazioni può stare alla larga.

«E’ sicuramente così – ammette Gavazzi – per fare il Mortirolo bisogna essere bene allenati, motivati e avere i giusti rapporti. Sulla bici che ho a casa, ho il 39×25 e il 27 su un’altra ruota. Così sono al limite, un amatore deve usare il 36 o il 34 davanti. E’ lungo, non si fa velocità. Ci sono ciclisti come puntini a pochi metri uno dall’altro, ma quei pochi metri sono secondi e anche minuti.

«Il versante di Grosio è il più battuto. E’ una salita vera, vedi la valle, passi un paesino con la chiesetta. Anche noi cerchiamo salite nuove, ma è vero che per il tipo di lavori che dobbiamo fare, non abbiamo mai il tempo di guardarti intorno. E quando capita, perché magari stai facendo una distanza senza lavori specifici, è una sorpresa. Vedi cose che non pensavi ci fossero e capisci anche i cicloturisti che salgono lassù sgranando gli occhi. Il Mortirolo lo fai perché vuoi andarci in cima. Per avere la foto col cartello o per vedere il monumento a Pantani. E’ un pellegrinaggio da eroi, pedali e non vedi l’ora di arrivare in cima».

SOLO PER LE BICI

Il Mortirolo, meta super ambita, sarà chiuso per 2 ore il 24 luglio con formula “Only for the bravest”, solo per i più coraggiosi, dalle 14 alle 16,30. Poi di nuovo il primo settembre, dalle 8,30 alle 12,30.

Il ciclismo è esploso, anche sul Mortirolo si vedono sempre più famiglie (foto Parco Nazionale dello Stelvio)
Il ciclismo è esploso, anche sul Mortirolo si vedono sempre più famiglie (foto Parco Nazionale dello Stelvio)

E’ l’amore/odio fra il ciclista e la salita, il ciclista e la sua stessa bici. Quando la fatica è tanta, il primo istinto è di appenderla al chiodo o gettarla nel dirupo. Poi arrivi in cima, respiri, ti rendi conto di quello che hai fatto, ti senti importante, ti guardi intorno e si ripete il miracolo. In Valtellina accade in cima a ogni salita. Il paradiso per la bici non potrà mai diventare un inferno.

www.valtellina.it

www.enjoystelviopark.it