«Prendiamo il caso della norma sulle leve dei freni ruotate – dice Marra per spiegare il concetto – il modo migliore per fare il controllo lo abbiamo creato noi aziende. La maggior parte delle lamentele arrivava dai corridori, era un discorso di guidabilità e sicurezza, per cui abbiamo affrontato il problema. Finalmente abbiamo creato un buon rapporto e tutti gli sviluppi vengono fatti insieme all’UCI. In base al tipo di prodotto facciamo dei gruppi di lavoro e andiamo avanti…».
Cosa succede quando l’UCI mette mano al regolamento tecnico sulle bici e promulga nuove regole? Qual è l’iter delle riforme che costringono i corridori, ad esempio, a raddrizzare le leve dei freni (in apertura l’esempio di Evenepoel e Segaert all’ultimo campionato belga) o a cambiare la posizione sulla bici da crono? Ne abbiamo parlato con Claudio Marra, numero uno di FSA che, come tutti i produttori di manubri e ruote, è fra i primi a scontare direttamente gli effetti di simili modifiche.
Che rapporto c’è fra l’UCI e le aziende?
E’ cambiato tanto. Ai tempi in cui il presidente dell’UCI era Hein Verbruggen (olandese al comando del ciclismo mondiale dal 1991 al 2005, ndr), l’omologazione dei prodotti veniva gestita in Belgio, dove viveva Jean Vauthier, che era stato incaricato del compito. Per avere l’omologazione delle ruote ad esempio, dovevi mandargliele e fare un test che costava fra i 1.500 e i 1.800 euro per coppia. Loro le distruggevano in ogni caso e poi ti dicevano se andassero bene oppure no. Quindi sapevi già che l’omologazione ti sarebbe costata il prezzo delle ruote, del trasporto e il costo del test, senza neppure vedere il risultato.
Tutti d’accordo e nessuna obiezione?
Tutte le aziende del mondo dovevano seguire questa procedura, almeno fino a quando ci accorgemmo che una sola non passava per lo stesso canale e a quel punto decidemmo di opporci. I regolamenti erano abbastanza aleatori, scritti solo in francese con postille piccolissime e quasi nessuno li seguiva. Finché decisero di mettere mano seriamente alla regolamentazione dei manubri da crono e ci comunicarono che i 3/4 di quelli che stavamo utilizzando erano illegali. Fu un colpo, c’era bisogno di almeno un anno per metterci a posto.
Come la gestiste?
Cambiare subito avrebbe significato buttare tutto quello che c’era nei magazzini, così capimmo di dover avere una voce in capitolo per parlarne con l’UCI e assieme a Phil White, fondatore di Cervélo, creammo il GOCEM (Global Organisation of Cycling Equipment Manufacturers), l’associazione dei costruttori di biciclette e parti.
Come venne accolto?
L’idea non era di creare caos, ma di far ragionare tutte le parti, dato che l’UCI andava per la sua strada e c’erano altri costruttori fuori regola. Parlammo chiaramente, come abbiamo fatto anche di recente. L’industria sostiene il ciclismo. Avevamo valutato ai tempi, era intorno al 2010, che tra sponsorizzazione, telai, biciclette davamo al sistema un contributo di circa 100 milioni all’anno. Pertanto sarebbe stato meglio parlarne insieme: che ci dessero il tempo di metterci a posto e poi si potevano stabilire regole condivise e valide per tutti.
Tutto risolto, quindi?
No, perché anche il fronte delle aziende era spaccato. Ricordo che Scott trovava tutto interessante, ma non voleva farne parte, finché per fortuna si fece avanti la WFSGI (World Federation of the Sporting Goods Industry, ndr). E’ l’associazione mondiale delle aziende che, messe insieme, dialogavano con le varie federazioni. Erano già molto forti nei rapporti con la FIFA, con il nuoto e altri sport maggiori e alla fine venne a farmi visita Frank Dassler, il fondatore di Adidas che è scomparso nel 2020 e ne era il presidente.
Motivo della visita?
Ci chiesero di far confluire il GOCEM nella loro federazione e accettammo volentieri, dato che il nostro lavoro è produrre e non fare politica. E così dal 2018 è la WFSGI che dialoga con le aziende, raccoglie indicazioni, crea gruppi di lavoro e si interfaccia ufficialmente con l’UCI.
Però qualche frizione a volte si coglie ancora…
Negli anni ci sono stati vari passaggi, perché ogni nuovo presidente UCI si porta dietro i suoi uomini e ogni volta bisogna ricucire il rapporto, fargli capire che siamo importanti, anche perché loro arrivano spesso con una certa arroganza. Poi si rendono conto che non possono fare da soli, capiscono che l’industria ha i suoi i suoi tempi e i suoi bisogni, di conseguenza devono per forza scendere a compromessi. E finalmente si rendono conto che siamo un grosso valore aggiunto, per cui ci accolgono e collaboriamo.
Adesso come va?
Negli ultimi due anni è arrivato Michael Rogers, che ha cominciato anche lui da capo. Piano piano abbiamo costruito il rapporto con WFSGI, a spiegargli le cose e fortunatamente adesso abbiamo una buona collaborazione. Infatti ad esempio le ultime disposizioni riguardo l’inclinazione delle leve sono figlie di un accordo fatto con noi. Abbiamo dato noi le istruzioni per capire come arrivare a un controllo semplice ed efficace. E la fine insieme a loro abbiamo promulgato questo tipo di discorso.
E’ così per tutto?
Se ad esempio parliamo di ruote, mettiamo assieme 4-5 aziende, generalmente le più interessate al prodotto, e si portano avanti gli studi, si fanno i test e le proposte per poi arrivare a raggiungere il massimo possibile. L’obiettivo è avere la sicurezza al numero uno. Seconda cosa, l’affidabilità. Terza, l’accessibilità che è importante per l’UCI: quello che è a disposizione degli atleti, deve essere disponibile nel mercato per tutti, per dare a tutti le stesse soluzioni. Il concetto di base è questo.
Tornando per un attimo alle leve girate?
I corridori si sono lamentati per la sicurezza. Sono andati dall’UCI chiedendo di intervenire, per vietare questo tipo di discorso. Tanti hanno visto che in certe fasi, avendo le leve così ruotate, c’erano problemi di frenata e prontezza di reazione. Avevano paura che questo potesse creare delle cadute. L’UCI non poteva essere sorda al richiamo dei corridori, quindi si è rivolta a noi chiedendo cosa potessimo fare insieme. E noi abbiamo fatto delle simulazioni e degli studi, stabilendo il limite secondo noi di questa rotazione, senza il rischio di compromettere la sicurezza. Una volta che l’UCI ha ricevuto gli strumenti per arrivare a una conclusione, ha ufficialmente varato le nuove regole. E’ frutto di un lavoro di equipe che ora si sta occupando anche di altri componenti.
Ma visto che i corridori ruotavano le leve per essere aerodinamici, l’industria sta lavorando a manubri che gli permettano di esserlo stando nelle regole?
Certamente. Infatti si cominciano a vedere manubri che in qualche modo gli permettono, sia pure minimamente, di tenere la stessa posizione. Da anni sono tutti matti per i marginal gain, andando a risparmiare un watt qua e un watt là, per cui è giusto assecondarli.
Il fatto invece che sia stato imposto un limite alla larghezza dei manubri comporta qualcosa per voi aziende?
Dal punto di vista della produzione, non ancora. A livello commerciale invece si dovrà valutarne l’impatto. Se ci avete fatto caso, quasi tutti i corridori usano telai di una misura più piccola, con attacchi da 150-160 e manubri molto stretti, da 38 a un massimo di 40 centro/centro. Dovremo capire se l’utente finale vorrà imitarli oppure rimanere fedele al manubrio dal 42 con cui guida meglio e sta più comodo. Invece per la fornitura alle squadre, dato che ormai si è ristretto tutto di una o due misure, va fatto il riassortimento in base alle esigenze dei corridori. Oggi si usano il 38 e 40, non di più.
E’ stata più impattante questa riforma o quella di due anni fa con cui sono stati rivisti i manubri da crono?
Quella, non c’è il minimo dubbio. Sono anni che continuiamo a fare sempre continuamente nuove estensioni per i manubri e loro a cambiare le regole. Che poi non è solo il manubrio. Magari il costruttore parte dalla regola in vigore, realizza la bici nuova e noi facciamo l’estensione di conseguenza. Poi l’UCI cambia le regole ed è un vero bagno di sangue. Ogni anno siamo in ballo, specialmente con le squadre più importanti.
Rogers adesso si è ammorbidito?
Ha fatto esperienza. Inizialmente aveva la pressione dei grandi capi che volevano imporre le loro regole. Ma essendo una persona ragionevole, gli spieghi le cose, si rende conto che abbiamo bisogno gli uni degli altri, e quindi collaborare con noi è vantaggioso. Non dimentichiamoci che i soldi che gli arrivano dall’omologazione dei prodotti sono tanti.