Pogacar

Più Roubaix e Sanremo che Tour: Pogacar ha puntato il dito

14.12.2025
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BENIDORM (Spagna) – L’hotel “invaso” dalla UAE Emirates sembra più una cittadella del ciclismo che un semplice quartier generale. Il dispiegamento di forze e mezzi colpisce prima ancora delle parole: motorhome, ammiraglie, personale, struttura e presenza mediatica raccontano una squadra diventata un colosso, come forse mai si era vista nel ciclismo. La presentazione della stagione 2026 di Tadej Pogacar è un richiamo enorme (in apertura foto Fizza).

Al mattino l’attesa è tutta per la conferenza stampa del campione sloveno, anche se nei corridoi serpeggia una curiosità quasi parallela per il programma futuro di Isaac Del Toro. Ci si attende l’annuncio della presenza del messicano al Giro d’Italia. Cosa che non arriverà… Pogacar, invece, è il solito Pogacar: sereno, misurato, apparentemente impermeabile al clamore. Sale in bici, parte, rientra, chiede cosa c’è in programma e riparte ancora con Adam Yates.

Qualche ora dopo, al pomeriggio in conferenza stampa, risponde con controllo e lucidità. Il calendario è in gran parte atteso, ma colpisce l’insistenza su due gare: Sanremo e, ancora di più, Roubaix.

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Tadej Pogacar (classe 1998) a Benidorm inizia la sua ottava stagione da pro’
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Tadej Pogacar (classe 1998) a Benidorm inizia la sua ottava stagione da pro’

Obiettivo classiche

E’ un calendario denso ma razionale quello che Pogacar dovrà affrontare nel 2026. Le Classiche del Nord tornano a occupare un ruolo centrale, anzi centralissimo. Strade Bianche in apertura, poi Sanremo, quindi Fiandre, Parigi-Roubaix, Freccia e Liegi-Bastogne-Liegi. Prima del grande appuntamento estivo, ovviamente il Tour, il passaggio in Svizzera sarà affidato a due corse a tappe, due novità tra l’altro per lo sloveno: il Tour de Romandie e il Tour de Suisse.

Il grande obiettivo per Pogacar quindi resta il Tour de France, ma Pogacar non nasconde un’ambizione più ampia: vincere tutto, Monumenti e Grandi Giri. «Perché – dice con il pragmatismo che gli appartiene – il tempo passa veloce e ogni stagione porta nuove occasioni. Non sono ossessionato dalle vittorie. Né se non dovessi riuscire la Sanremo o la Roubaix o anche il Tour de France. Ovvio però che se mi chiedete se preferisco vincere il Tour o la Roubaix, dico la Roubaix. Un conto è passare da quattro a cinque (le vittorie del Tour), un conto da zero a uno.

«Tornare su terreni ancora non conquistati mi stimola. Sono gare che sento di poter vincere. L’idea è scegliere con attenzione, correre meno giorni rispetto ad altri e arrivare sempre nelle condizioni migliori». Quest’ultima parte delle sue parole è la risposta ad una domanda che in conferenza stampa è emersa più volte: «Come fai ad essere competitivo da febbraio a ottobre?». Tadej ha risposto che è possibile con una programmazione oculata ed è vero. Le fasi di riposo non sono mai mancate e, a conti fatti, nel 2025 ha inanellato 50 giorni di corsa: ben al di sotto della media dei suoi colleghi.

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Qui solo le bici da crono. In un’altro stanzone ce n’erano almeno il doppio da strada. Il tutto senza contare le donne della UAE Adq
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Qui solo le bici da crono. In un’altro stanzone ce n’erano almeno il doppio da strada. Il tutto senza contare le donne della UAE Adq

Pogacar e i 5 Monumenti

Ma è quando si parla di classiche che Pogacar si accende davvero. Alla fine questa sfida dei cinque Monumenti lo stuzzica, eccome. Il suo volto è un libro aperto. La Sanremo resta una “ferita” aperta e allo stesso tempo una calamita. Ma è la Roubaix a occupare il centro del discorso. «Il raid al Nord per la ricognizione sul pavé è stato estremamente positivo. Mi sono trovato a mio agio con i materiali testati, con la guida sul pavé. Sono sensazioni incoraggianti. Sappiamo cosa serve per affrontare l’Inferno del Nord».

Pogacar distingue nettamente la preparazione per Fiandre e Roubaix. «La prima richiede il cento per cento su strappi brevi, ripetuti, sul pavé e sulla gestione dello stress in gruppo per oltre sei ore di gara. La seconda arriva solo una settimana dopo e pretende soprattutto recupero e gambe. Gambe capaci di esprimere sforzi lunghi e devastanti quando il contachilometri è già avanzato».

Rispetto ai Grandi Giri, le Classiche gli sembrano quasi meno stressanti. «Al Tour – dice mentre sorseggia un bicchiere d’acqua – ogni giorno è una prova di concentrazione assoluta, con una pressione continua che lascia poco spazio al divertimento». Forse anche per questo comprende anche le scelte di chi, come Remco Evenepoel, decide di evitare questo tipo di corse. Tuttavia Pogacar non vede la doppia sfida, classiche e Grandi Giri, come un compromesso: «Nel ciclismo gli imprevisti esistono sempre e programmare con coraggio fa parte del gioco».

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Un sorso d’acqua: lo sloveno è parso particolarmente attento al discorso classiche
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Un sorso d’acqua: lo sloveno è parso particolarmente attento al discorso classiche

Tenere alta l’asticella

E’ restare in cima la vera sfida di Tadej. Non una pressione, non un’ossessione, ma uno stimolo quotidiano. Ogni stagione richiede di alzare ancora l’asticella, di trovare nuovi margini di miglioramento senza snaturarsi. Lui è al vertice e gli altri cercano in ogni modo di raggiungerlo. Gli altri insomma hanno un punto di riferimento, lui no. E in questo percorso il rapporto con il preparatore Javier Sola è centrale.

«Con Sola e gli altri tecnici – dice Pogacar – c’è un dialogo continuo, fatto di messaggi dopo gli allenamenti, di attenzione non solo ai numeri ma anche alle sensazioni. Javier non è solo il tecnico che analizza i dati, ma una figura che si interessa al mio stato mentale e al benessere complessivo. Questa fiducia reciproca crea un ambiente in cui è naturale comunicare apertamente, segnalare un problema o proporre un aggiustamento.

«Si parla del mio futuro, ma io oggi voglio godermi il percorso… Consapevole che mantenere questo livello richiede lavoro costante e lucidità. Anche nella mia vita privata l’impatto mediatico ormai è forte. Sono consapevole che non può più essere una vita “normale” (anche lui mima il gesto delle virgolette, ndr) come un tempo. Ma provo comunque a ritagliarmi spazi di vita semplice».

Pogacar incontra i media e basta una domanda per definire il suo stato d'animo. Vuole vincere. Forse non ha neppure il dubbio. Domenica si combatte
Pogacar e Del Toro hanno corso insieme solo 4 giorni lo scorso anno (da compagni di squadra). Tra i due però c’è un buon feeling
Pogacar incontra i media e basta una domanda per definire il suo stato d'animo. Vuole vincere. Forse non ha neppure il dubbio. Domenica si combatte
Pogacar e Del Toro hanno corso insieme solo 4 giorni lo scorso anno (da compagni di squadra). Tra i due però c’è un buon feeling

Con Del Toro al Tour

E’ quasi difficile ormai fare domande allo sloveno. Delle vittorie si è già parlato. Di crono o salita idem. Degli stimoli ha appena detto. Resta il tema della squadra. La prima al mondo.

«Abbiamo un team fortissimo – spiega Pogacar – una rosa di trenta corridori di questo valore ti consente di formare sempre una squadra da Tour. La qualità è alta e, soprattutto, ognuno conosce perfettamente il proprio ruolo. Chi ha condiviso la vittoria in un Grande Giro diventa qualcosa di speciale, quasi una famiglia: sacrifici comuni e un obiettivo condiviso».

In questo contesto si inserisce anche Isaac Del Toro, destinato ad affiancare Pogacar al Tour. La sua crescita è vista come una risorsa, non come una minaccia. Neanche ci si prova a metterli in rivalità, come magari era successo con Remco e Lipowitz due giorni fa a Palma de Maiorca.

«Del Toro mi piace come corridore e come uomo – spiega – sono contento di averlo vicino al Tour de France. Tra l’altro potrà fare bene ed è giusto che i giovani lottino nelle grandi corse. Bisogna dargli spazio e costruire il futuro loro e al tempo stesso della squadra».

EDITORIALE / Ciclismo e media, sono sempre rose e fiori?

02.12.2024
4 min
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Un corridore che dal devo team è stato promosso alla WorldTour, ma non si può dire. Un altro che da una continental è approdato al devo team di uno squadrone, ma non si può dire. Un team manager che vorrebbe raccontare i suoi nuovi corridori e lo fa anche, ma prega di non scrivere, perché non si può dire. Volete sapere che cosa succede in qualche angolo del ciclismo professionistico? Le cose accadono, quelli più informati ne sono al corrente, ma non possono scriverlo finché non esce il comunicato della squadra. E i corridori, fra l’incudine e il martello, sono lancinati dalla voglia di dirlo e il divieto che ricevono dal team. I media da parte loro si chiedono se sia opportuno andare dritti sulla strada del mestiere e dare la notizia oppure fermarsi davanti al divieto per non compromettere i rapporti futuri.

Attenzione, non parliamo di corridori in vista che cambiano squadra. Sapevamo da un pezzo che Elisa Longo Borghini sarebbe passata alla UAE e che la Consonni dalla UAE sarebba andata invece alla Canyon. Sapevamo che Marta Cavalli fosse in viaggio verso il Team DSM Firmenich, come che Albanese e Battistella fossero destinati alla Ef Education. Bettiol all’Astana e Garofoli alla Soudal-Quick Step: in quei casi ci sta di reggergli il gioco e uscire col pezzo assieme al comunicato. Se però parliamo di dilettanti che hanno fatto bene, ma per ora non si sono conquistati prime pagine o grandi vittorie, dove sta la logica?

Paolo Barbieri, che ha da poco lasciato la Lidl-Trek, ha spiegato le nuove dinamiche nel lavoro del press officer
Paolo Barbieri, che ha da poco lasciato la Lidl-Trek, ha spiegato le nuove dinamiche nel lavoro del press officer

Il nodo del 10 dicembre

Nel ciclismo che costa sempre più caro, accade anche questo. Con un po’ di ironia e se non ci costringesse a tenere in stand by articoli già pronti, potremmo trovarlo persino divertente. Tuttavia crediamo sia la spia di una chiusura embrionale nei confronti dei media. La causa potrebbe risiedere nella capacità delle squadre di raccontare la propria verità con contenuti social che a loro avviso bastano per il racconto. Lo raccontò anche Paolo Barbieri, press officer appena uscito dalla Lidl-Trek. La nuova ventata di addetti stampa, evidentemente imbeccata dai loro datori di lavoro, non ama il contatto fisico dei media con i corridori. Tende invece a prediligere le interviste online e a ridurre al minimo le altre.

Un’altra dimostrazione viene dalla prossima gestione dei media day (il giorno in cui le squadre aprono il proprio ritiro ai giornalisti). Il 10 dicembre sarà un bel crocevia. Saremo infatti al cospetto di Pogacar e delle due UAE: quella degli uomini e quella delle donne. Nello stesso giorno, si avrà il media day del Team Bahrain Victorious. Alla richiesta di pensare a un’altra data, ci è stato risposto che gli allenatori hanno previsto che il 10 dicembre sia il giorno di riposo in cui i corridori possono fare interviste. Al netto dell’imbarazzo di chi certe risposte deve darle, traspare il disinteresse di chi governa le squadre. Dato che la richiesta è stata fatta un mese prima del giorno in questione, davvero non era possibile modificare il piano? Hanno davvero scelto gli allenatori? E se la soluzione è che anche i media debbano presentarsi in Spagna con 2-3 inviati, siamo certi che tutti possano permetterselo? E che al contrario questo non si trasformi in un boomerang per le stesse squadre?

Il 10 dicembre a Benidorm si svolgerà il media day del UAE Team Emirates e della Bahrain Victorious
Il 10 dicembre a Benidorm si svolgerà il media day del UAE Team Emirates e della Bahrain Victorious

Tutti pazzi per Sinner

L’inverno, si sa, è nemico del ciclismo. C’è chi continua a seguirlo e approfondirlo, ma è evidente la sua scomparsa dalle pagine dei grandi quotidiani. Le redazioni specializzate al loro interno sono sparite. La stessa Gazzetta dello Sport che fino a qualche anno fa aveva un gruppo di 4-5 giornalisti distaccati soltanto sul ciclismo, ora ha una redazione di varie, in cui si muovono i colleghi che si occupano del nostro sport. Siamo certi, stando così le cose, che la testata abbia qualche interesse a investire ancora e non preferisca restare sul calcio e sul fenomeno Sinner?

Forse l’UCI, che spinge sulla mondializzazione e finora ha ottenuto principalmente il risultato di rendere tutto più costoso, potrebbe fermarsi a riflettere su questi dati. In Spagna e anche in Francia, dove L’Equipe resta un vero baluardo, la situazione è simile alla nostra: solo in Belgio sembra che nulla sia cambiato. Ci chiediamo invece quanto aver portato il ciclismo negli angoli più dispersi del mondo lo abbia reso motivo stabile di interesse, quindi anche lontano dai giorni degli eventi. La sensazione, come accade anche con alcune corse in Italia, è che il ciclismo arrivi qualche giorno prima, monti i palchi, mostri i suoi campioni, passi all’incasso e poi smonti le strutture, sparendo fino all’anno successivo. Non sarebbe forse il caso di riconnetterlo con le sue radici, spiegando a chi gestisce i team che l’irraggiungibilità potrebbe diventare motivo di disaffezione?