Luci e airbag: non c’è spettacolo senza sicurezza

06.08.2025
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Parlando con Lucio Dognini per l’intervista pubblicata lunedì mattina, il riferimento alla sua telefonata con Davide Martinelli dopo la morte di Samuele Privitera continuava a risuonarci nella mente e per questo abbiamo chiamato il giovane tecnico del team MBH Bank-Ballan. Di cosa hanno parlato? E perché le parole di Dognini hanno provocato reazioni stizzite nell’ambiente del ciclismo, anziché avviare un dibattito che potrebbe portare a una maggiore sicurezza per i corridori in allenamento?

Martinelli sta preparando le prossime corse. Fra Poggiana, campionati italiani cronosquadre, Capodarco e le gare successive tra i professionisti, agosto propone un menù sostanzioso per il quale bisogna farsi trovare pronti, ma il tema merita un approfondimento.

Sul podio dei tricolori cronosquadre del 2024, Martinelli e la sua MBH Bank vincente (photors.it)
Sul podio dei tricolori cronosquadre del 2024, Martinelli e la sua MBH Bank vincente (photors.it)
Secondo te il ciclismo può fare qualcosa per diventare più sicuro? Dognini ha detto cose giuste?

Si corre su strade dove si prova a rallentare le macchine, ma intanto le bici vanno sempre più veloci e questo va un po’ in contrapposizione. Il ciclismo diventa spettacolare quando è veloce, perché c’è più selezione. Trovo interessante la linea dell’UCI, ma non so se si riuscirà a rallentare il gruppo limitando i rapporti. Forse andrebbe messo un limite di peso anche alle ruote, invece di alleggerirle ulteriormente, perché la massa rotante è quella che ti dà la velocità. E forse abbasserei anche l’altezza dei profili. Il limite massimo sarà di 65 mm ed è raro che se ne usino di più grandi. Forse scenderei anche a ruote da 45 o da 35, però ci sono in ballo degli aspetti economici, perché già le aziende si sono lamentate per il cambio di rotta. E non basta…

Cosa?

Intervenire sulla larghezza del manubrio per me è fondamentale e l’ho sempre pensato da quando ho cominciato a vedere un po’ di estremo, come i manubri da 36. Su questo sono super d’accordo.

Sei d’accordo nel dire che sarebbe utile utilizzare il faretto anteriore sulle bici?

Penso di sì. Diventi più visibile anche nei casi in cui le macchine escono dagli stop e riescono a vederti meglio. Ormai il Varia posteriore (sistema di Garmin che segnala l’avvicinamento di autoveicoli alle spalle, ndr) lo utilizzano in tanti e c’è tanta differenza, perché inspiegabilmente vedendo la luce, le auto ti considerano come un veicolo. Io cerco di uscire quando trovo un compagno per pedalare, che di solito è un ex professionista o qualcuno che sa come stare in strada. E poi vivo in Franciacorta e non c’è tanto traffico, ma è un fatto che quando hai la luce, ti notano di più. Quando hai la luce, molte meno persone ti fanno il pelo. Non capisco perché accada e non capisco perché tanti devono passarti così vicino, pur avendo lo spazio per superare.

La luce del Varia di Garmin è abbinata a un radar che segnala al ciclista l’arrivo di veicoli: la sicurezza ne guadagna
La luce del Varia di Garmin è abbinata a un radar che segnala al ciclista l’arrivo di veicoli: la sicurezza ne guadagna
Sei stato un pro’ fino a due anni fa, nessuno dei tuoi ex colleghi pubblica foto in cui usa le luci sulla bici…

E’ il mercato che muove tutto, i corridori sono spinti dai brand e finché non viene capito quanto sia importante, la situazione resta questa. I team potrebbero fare certamente di più, anche se io sposterei il focus sull’abbigliamento. Bisognerebbe davvero inventarsi qualcosa su questo aspetto, più che sulle luci. Ancora non tutti capiscono di dover utilizzare la luce posteriore. La grande svolta c’è stata quando Garmin ha introdotto il Varia e quando le squadre hanno iniziato a darlo ai corridori. Parlo di Garmin perché sono stati i primi, ma ce ne sono anche di altri brand. Credo che per per la luce anteriore ci sarà bisogno di più tempo.

Tu utilizzi il Varia?

Sì, da quando me lo ha dato la squadra, ed è tanta roba perché ti segnala il veicolo in avvicinamento. Ho cominciato a usarlo, come me hanno cominciato a farlo altri professionisti in giro per il mondo e con il passa parola hanno iniziato a usarlo tanti altri. Ma tornando alle strade, mi sto rendendo conto di quanto sia pericoloso il ciclismo proprio da quando sono salito in ammiraglia.

Più adesso di quando correvi?

Finché corri, hai lo sguardo sul corridore davanti e non ti rendi conto di quanti spartitraffico, ringhiere laterali e paletti devi schivare. Ho corso tanto in Belgio e lassù sei sempre al limite, è una cosa incredibile. Mentre adesso in ammiraglia, anche nelle fasi più rilassate di gara, bisogna essere super concentrati perché ti accorgi di pericoli che da corridore non vedi nemmeno, perché ti senti in una bolla. Penso che correre con una maglia e un pantaloncino che insieme pesano 200 grammi non sia più sufficiente.

Il ciclismo spinge i suoi protagonisti a velocità elevate senza protezioni: un tema di sicurezza
Il ciclismo spinge i suoi protagonisti a velocità elevate senza protezioni: un tema di sicurezza
La sensazione è che stia per arrivare un però…

Però non ho la soluzione e questo è quello di cui parlavo al telefono con Lucio (Dognini, ndr). Se ci pensate, da questo punto di vista il ciclismo è lo sport più pericoloso. Non c’è un’altra disciplina in cui raggiungi certe velocità senza una protezione. E non cambia nulla fra le maglie da 30 grammi di oggi e quelle da 200 grammi di una volta. La maglia di 15 anni offriva la stessa protezione di quelle di adesso. Magari ti salvava da una mezza bruciatura, mentre adesso ti rovini di più la schiena. Io parlo proprio dei traumi, dei colpi che arrivano se finisci contro un paletto. Per fortuna gli organizzatori stanno facendo tanto. Ci sono sempre più segnalatori, sempre più persone che bloccano gli incroci. Da questo punto di vista RCS è imbattibile, nelle poche gare che ho fatto da diesse, ho visto davvero un’organizzazione super.

Perché un’intervista come quella di Dognini genera critiche e non dibattito?

Penso sia sotto gli occhi di tutti che bisogna fare qualcosa di più. Il problema secondo me è grande, ma nessuno sa bene che cosa si possa fare. Quindi tante volte quando non sai cosa fare, non fai niente e non dici niente. Lucio ha fatto bene a contattarvi, io forse non lo avrei fatto, perché non ho soluzioni da dare e in quel caso preferisco stare zitto. Ci rendiamo conto che effettivamente si va troppo forte, però non troviamo la soluzione.

Da corridore avresti accettato di correre con una maglia dotata di airbag o protezioni?

Se diventa obbligatorio, si usa e basta. Se diventa obbligatorio, magari si accorciano leggermente le tappe nelle giornate più calde. Penso che la spettacolarità del ciclismo debba essere subordinata alla sicurezza. Se anche si perde un 10 per cento di spettacolo, ma salviamo un ragazzo, penso che tutti accetterebbero. Io sono nato proprio quando fu imposto l’uso del casco e so che il gruppo si oppose. Non sarà facile introdurre l’airbag, se quella sarà la soluzione, ma sono sicuro che arriverà. Bisogna trovare qualcosa di molto efficiente, con la grandezza delle tasche piene di gel, che è già una bella dimensione. Quando abbiamo le tasche piene, contengono una decina di gel, 5-6 barrette, quindi penso che ci sia uno spazio interessante, l’equivalente di un paio di borracce. Ovviamente non rigide, ma penso che con quella ampiezza si possa fare qualcosa.

L’abbassamento dei telai fa sì che la presa bassa sia scomoda e l’assetto aero migliore sia quello con le mani sopra
L’abbassamento dei telai fa sì che la presa bassa sia scomoda e l’assetto aero migliore sia quello con le mani sopra
Dognini ha parlato anche delle mani sul manubrio e dei corridori che le tengono sempre sopra.

E’ così perché si è abbassata molto l’altezza del cannotto di sterzo, quindi il telaio davanti è molto basso e impugnare il manubrio nella parte inferiore è un po’ estremo. Si sono rubati 4-5 cm sotto l’attacco manubrio, per cui la posizione più comoda e aerodinamica è quella in presa alta. Sotto sei scomodo. Quindi la bici si guida molto bene con le mani sopra, però c’è un fattore di sicurezza quando sei in discesa. Perché un conto è perdere la presa a 40 all’ora, ma se succede quando vai a 70, allora diventa grave. In discesa serve tenerle sotto e sarebbe un aspetto facile da risolvere. Basterebbe imporre delle altezze minime del tubo di sterzo.

Dopo la morte di Privitera, i corridori sono sembrati più interessati al tema della loro sicurezza?

Nell’immediato, chiaramente no. Ero anche io in Valle d’Aosta e abbiamo cercato di tenerli tranquilli perché emotivamente erano molto provati. Per il resto, se ne parla sempre. Ma non essendoci la soluzione efficace e applicabile, si riduce tutto a delle chiacchiere. E alla fine si smette anche di parlarne.

Una piccola voce, ma parole sacrosante sulla sicurezza

04.08.2025
5 min
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Questa non è un’intervista a Pogacar e tantomeno a Jonathan Milan, Ganna o Ciccone. Si parla di sicurezza, che dopo i fatti di Terlizzi non è mai abbastanza, e Lucio Dognini, che ne è il protagonista, starebbe volentieri dietro le quinte, preferendo che ad esporsi siano nomi più importanti di lui. In linea di principio potrebbe avere ragione, ma non sono stati i grandi nomi che dopo la morte di Samuele Privitera e il nostro editoriale del 21 luglio hanno scritto una mail: lo ha fatto lui. E dalla mail abbiamo preso spunto per ricontattarlo (in apertura, Monica e Luigi, in camicia bianca e polo nera: i genitori di Privitera alla ripartenza del Giro della Valle d’Aosta).

Dognini, bergamasco di 60 anni, è il titolare di Travel&Service, l’azienda che per anni è stata secondo nome sulla maglia della Valcar fra le donne, nel ciclocross con la Fas Airport Services-Guerciotti-Premac e sponsor minore della Biesse-Carrera-Premac. E’ presidente del team juniores Travel & Service Cycling Team-3B Academy ed è fra gli organizzatori della Due Giorni di Brescia e Bergamo, ugualmente per juniores. Nella sua mail si dice totalmente d’accordo con ogni articolo che parli di sicurezza e del fatto che le strade siano piene di trappole per ciclisti e che le auto siano troppo grandi e veloci.

«Ma personalmente – scrive Dognini – penso sia anche un modo per non prenderci le nostre responsabilità. Sì, non prenderci le nostre responsabilità: noi che siamo gli attori principali di questo sport!!». 

Lucio Dognini, secondo da destra, in una visita alla Biesse-Carrera che sponsorizza
Lucio Dognini, secondo da destra, in una visita alla Biesse-Carrera che sponsorizza
Partiamo da qui: che cosa può fare il ciclismo?

Le squadre pagano ingaggi di milioni di euro, però non pensano che se uno di questi corridori si fa male, buttano via i soldi. Questo è il mio pensiero. Esattamente come il concetto del prevenire gli incidenti da parte di questi professionisti mega pagati quando sono in giro a fare l’allenamento. Quanti post avete visto, di squadre o di professionisti, che vanno in giro con le luci accese? Piuttosto vedi quello che mangia la pizza o si fa il selfie e per me è una cosa sbagliatissima.

Che cosa potrebbero fare invece?

Se facessero dei post in cui fanno vedere che vanno a fare gli allenamenti con le luci accese anche di giorno, con i lampeggianti davanti, darebbero l’idea che l’uso di certi strumenti li può aiutare a tornare a casa sani e salvi. Avremmo meno tragedie come quella di Sara Piffer e come lei Matteo Lorenzi. Meno ragazzi morti, meno ciclisti morti sulle strade. Invece fanno le loro esibizioni divertenti e non pensano che i ragazzi giovani li guardano. E le squadre non dicono niente. Glielo fanno mettere nel contratto che sono obbligati a rispettare il codice della strada?

I professionisti più in luce e i loro social sono un’ispirazione fissa per i giovani corridori (immagine Instagram)
I professionisti più in luce e i loro social sono un’ispirazione fissa per i giovani corridori (immagine Instagram)
Cosa succede nelle categorie minori?

Pensiamo solo a farli correre, a farli andare sempre più veloci, ma non facciamo niente per la loro sicurezza. Durante le gare, dove mi dicono ci sia una commissione federale al lavoro, ma soprattutto durante gli allenamenti. I miei hanno 16-18 anni, si allenano 20 ore a settimana sulle strade di oggi, essere visibili è una necessità. Eppure se vai in bici, ti accorgi che neanche il 10 per cento dei ciclisti usa la luce davanti.

Come quando non si usava il casco…

Poi i professionisti sono stati costretti a usarlo e adesso ce l’hanno tutti, anche se la normativa italiana non lo impone. Se i professionisti lavorano per loro sicurezza, automaticamente diventerà una buona pratica e magari l’amatore spenderà il necessario per comprarsi il completino in cui magari hanno inserito un airbag superleggero.

Anche perché testimonial di Garmin Varia, Nibali si è spesso mostrato con la luce anteriore (immagine Instagram)
Anche perché testimonial di Garmin Varia, Nibali si è spesso mostrato con la luce anteriore (immagine Instagram)
Difficili da portare in una salita alpina del Tour se non trovano il modo di renderli leggeri, ma il discorso non fa una grinza. Anche perché le strade sono davvero fatte solo a misura di auto.

Vorrei portare un punto di vista diverso. Sicuramente ci sono anche troppi dossi, creati per rallentare gli automobilisti che vanno sempre più veloci. Questo è palese. Siamo certi però che Privitera, come il ragazzo che è morto alla Gran Fondo qua a Bergamo un mese e mezzo fa, non avesse le mani sopra che gli sono scivolate? Io li vedo i ragazzini. Hanno sempre le mani sulle leve dei freni, che sono di gomma e diventano scivolose. Alcuni nemmeno usano i guanti. Chi glielo ha insegnato?

Anche qui si va per emulazione?

Di sicuro nelle scuole di ciclismo non tutti insegnano ai ragazzi che in discesa si deve andare con le mani basse. Non tutti insegnano questo piccolo dettaglio tecnico, grazie al quale difficilmente perdi la presa del manubrio. Sono punti di vista, ma dico che il sistema deve fare qualcosa. La Federazione, l’associazione dei ciclisti, voi giornalisti come punto di incontro.

Le discese con le mani sopra rendono la bici meno guidabile e la presa insicura. Lui è Lipowitz al Tour
Le discese con le mani sopra rendono la bici meno guidabile e la presa insicura. Lui è Lipowitz al Tour
Sarà interessante sentire su questo qualche professionista.

Prendiamo la caduta di Pogacar alla Strade Bianche. Poteva tranquillamente lasciarci l’osso del collo, finire su una sedia a rotelle. Invece come ne è uscito? Un super eroe, è uscito come un super eroe. Sapete che cosa è successo qualche settimana dopo? C’è stata la Strade Bianche Juniores e mio figlio, che corre in un’altra squadra, nell’allenamento del giorno prima è andato con i compagni a vedere quella curva. Perché quando sei in bici ti sembra di poter fare tutto e che nulla possa succederti, mentre non è così. Io questi ragionamenti li ho fatti con Davide Martinelli il sabato dopo la morte di Samuele.

Di cosa avete parlato?

Mi ha chiamato lui, perché io ho mandato un messaggio al gruppo dei miei atleti. Gli avevo scritto di non aver paura di tirare il freno in gara. E Davide Martinelli, che è un ragazzo sensibile, mi ha chiamato per condividere con me il pensiero. Sono questi i personaggi che dovrebbero parlare di certi argomenti, non io. La mia è una piccola voce che non fa rumore, ma se serve per avviare il dibattito, allora sono a disposizione.