Per Almeida un ritorno al successo atteso 4 anni

21.04.2025
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«E’ la vittoria più importante della mia carriera». Può sembrare una battuta scontata, ma nel caso di Joao Almeida non lo è, perché il trionfo all’Itzulia Basque Country può rappresentare uno spartiacque per il corridore lusitano, una sorta di porta scorrevole nella sua carriera. Il portoghese è sempre stato visto come un corridore per le corse a tappe, ma erano quattro anni che non ne vinceva una. Non era ancora approdato alla UAE Emirates quando infatti vinse due gare importanti come i Giri di Lussemburgo e Polonia.

Lo sprint su Mas a sancire il trionfo all’Itzulia Basque Country, atteso per 4 anni
Lo sprint su Mas a sancire il trionfo all’Itzulia Basque Country, atteso per 4 anni

Uno specialista delle corse a tappe

Intendiamoci: parliamo sempre di un big del ciclismo, che tra l’altro vanta ben 6 top 10 nei Grandi Giri, tra cui il 3° posto nella corsa rosa del 2023 e il 4° in tutte e tre le prove. Lo scorso anno è stato prezioso aiutante per Pogacar al Tour finendo ai piedi del podio, ma chiaramente il fatto che la vittoria latitasse iniziava ad essere un cruccio nella sua mente.

«Io però non ho mai cambiato mentalità» ha raccontato ai taccuini dei giornalisti presenti in Spagna, prima di prendersi un breve periodo lontano dalla ribalta e preparare come si deve il ritorno al Tour, sempre come spalla dell’iridato sloveno. Almeida è un corridore dalle idee chiare: «E’ tutta questione di gambe – dice – se vanno puoi ripagare il lavoro perfetto della squadra, com’è stato in questo caso. E’ importante, per vincere, che le gambe funzionino, ma anche la testa. Mas andava fortissimo, ho provato a staccarlo ma ho visto subito che non era aria, allora mi sono messo alla sua ruota, era più saggio».

All’ultimo Tour è stato fedele aiutante di Pogacar, chiudendo però con un ottimo 4° posto
All’ultimo Tour è stato fedele aiutante di Pogacar, chiudendo però con un ottimo 4° posto

In Spagna un “nuovo” Almeida

La sensazione, vedendo la sua gara in Spagna, dove ha portato a casa anche due vittorie di tappa, è che ci troviamo di fronte a un Almeida nuovo. Eravamo abituati a conoscerlo come corridore da alcuni definito “conservatore”, che centellina le energie e che rispecchia un canone abbastanza diffuso da sempre fra i corridori da gare a tappe: uno forte a cronometro e che tiene in salita. Spesso lo abbiamo visto lasciarsi sfilare dagli attacchi degli scalatori, proseguire sul suo ritmo e poi recuperare, tenendo sempre d’occhio la classifica.

Nei Paesi Baschi invece si è presentata una nuova versione, più autorevole, pronta anche a prendere l’iniziativa, pronta per certi versi a fare il capitano che era poi ciò che la UAE andava cercando, nelle occasioni quando il “vero capitano” non c’è… Una risposta a chi lo accusava di non essere un vincente, di avere sempre mancante quel centesimo che fa l’euro…

Il portoghese è sempre stato un ottimo cronoman, a cui abbina buona tenuta in salita
Il portoghese è sempre stato un ottimo cronoman, a cui abbina buona tenuta in salita

La fiducia che nasce nei numeri

«Io non ho mai avuto dubbi, so di essere un corridore solido e sono i numeri a dirmelo, a dimostrarmi che cresco ma che ho ancora margini. Non ho raggiunto il mio culmine, non so se quel che manca basterà per vincere ancora, a che cosa mi porterà, ma non me ne preoccupo. Io anzi spero che questa vittoria sia la prima di una serie, anche per ripagare chi fa sacrifici con me, come la mia famiglia, la mia ragazza. Perché essere un professionista è faticoso, in gara ma ancor di più fuori».

Sembra passato un secolo da quando Joao Almeida venne allo scoperto. Avvenne in quel Giro d’Italia completamente sui generis, come tutta la stagione 2020, quella del Covid. Il lusitano visse 15 giorni in maglia rosa, mostrando le sue caratteristiche di passista-scalatore, per finire quarto. Era ancora giovanissimo, ma dimostrò un’astuzia tattica e una maturità di gestione che lasciavano intravedere grandi prospettive.

Almeida al Giro 2020, dove da semisconosciuto veste per 15 giorni la maglia rosa
Almeida al Giro 2020, dove da semisconosciuto veste per 15 giorni la maglia rosa

«Lo faccio perché so di poterlo fare…»

Il portoghese non ha mai smesso di credere nelle sue capacità, accettando nel 2022 l’approdo nella squadra degli Emirati Arabi, dove ci sono equilibri diversi rispetto a qualsiasi altro team, con un campionissimo attorniato da campioni. Altrimenti non arriverebbe il nettissimo primato in fatto di corse vinte, ma Almeida sembrava un po’ latitare in tal senso, anche se il suo rendimento era sempre altissimo. Ora le cose sono state messe al loro giusto posto: «Se non credo di poterlo fare, non lo farò mai – è il suo mantra – ma io sono fiducioso in me e so che posso.

«Seguo in maniera fedele l’evoluzione del ciclismo, guardo i numeri e vedo che anno dopo anno migliorano. Per essere il ciclista che voglio devo essere forte mentalmente e fisicamente, ora sto raggiungendo il livello che mi aspetto».

Joao con la maglia della nazionale. Non ha mai corso per un team di casa, se non da ragazzino
Joao con la maglia della nazionale. Non ha mai corso per un team di casa, se non da ragazzino

Pronto per tornare al Tour da luogotenente

Il portoghese si è costruito una reputazione correndo sempre lontano dalla sua patria: «Grazie al WorldTour la gente mi riconosce, anche se non corro in Portogallo da quando ero nelle categorie giovanili. L’importante è essere un esempio aiutando così i giovani a emergere, per fortuna ce ne sono sempre di più».

Ora lo aspettano altre due importanti corse a tappe come il Romandia e il Giro di Svizzera (lo scorso anno fu secondo dietro Yates, ndr) dove cercare gloria e affinare la condizione in vista del ritorno al Tour de France, ancora al fianco di Pogacar: «Se devo tifare per lui, lo farò con il sorriso sulle labbra. E’ un piacere correre per Tadej», affermò prima dell’edizione dello scorso anno e così è stato. E così sarà…

I pericoli del nuovo ciclismo. Le proposte di Hansen

14.04.2024
5 min
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L’impatto mediatico generato dalla terribile caduta all’Itzulia Basque Country, con Vingegaard, Evenepoel e Roglic fuori causa per chissà quanto tempo ha riproposto il tema della sicurezza nelle corse ciclistiche a livelli inusuali. Sembra di essere tornati indietro nel tempo di tanti anni, quando nella Formula 1, dopo la scomparsa di Ayrton Senna, sin parlava solo di come rendere le monoposto più sicure. I progressi in quel campo sono stati evidenti e hanno avuto un ricasco anche nelle auto di tutti i giorni. Per le bici tutto sembra però più difficile.

La terribile scena dei corridori a terra all’Itzulia Basque Country. Vingegaard, a sinistra, è esanime
La terribile scena dei corridori a terra all’Itzulia Basque Country. Vingegaard, a sinistra, è esanime

Da più parti sono arrivate proposte legate soprattutto alla diversa regolamentazione delle corse e della loro organizzazione. Proposte arrivate anche dai corridori stessi. Al presidente della loro Associazione, l’australiano Adam Hansen da poco eletto, abbiamo quindi sottoposto una serie di domande per capire come i principali protagonisti dell’attività possono porsi di fronte a un problema che coinvolge tutto il futuro dello sport stesso.

Rispetto a quando correvi tu, noti che l’attività è più pericolosa e perché?

Non penso che sia più pericolosa. Penso che ci sia la stessa quantità di incidenti. Tuttavia, oggi ci sono attrezzature e pneumatici più veloci, bici più dinamiche e i ciclisti consumano più carboidrati che mai, quindi hanno molta più energia extra. Quindi stanno andando più veloci per questo motivo. Ma ci sono sempre stati incidenti gravi, i dati dicono che la quantità è la stessa.

Evenepoel e Vingegaard davanti al gruppo all’Itzulia Basque Country, corsa maledetta per loro
Evenepoel edavanti al gruppo all’Itzulia Basque Country, corsa per lui maledetta
I ciclisti vanno molto più veloci, soprattutto in discesa: vedendo cadute come quella di Evenepoel qualche anno fa al Lombardia o quella terribile dell’Itzulia Basque Country, non pensi che gli organizzatori dovrebbero rivedere i propri percorsi, magari adeguandoli con protezioni come nella downhill di mtb?

E’ interessante. Ma di difficile attuazione, se pensiamo che ci sono gare come in Francia dove i chilometri di discesa sono tanti. Come fai a proteggere tutta la strada? Qualcosa però per i punti nevralgici, come quello dove il gruppo si è schiantato va pensato. Ma è sempre difficile farlo dopo. Gli organizzatori avevano messo segnali per avvertire della pericolosità di quella curva, del fatto che era molto stretta. L’indicazione c’era, non è stata colta. Se si guarda il video al rallentatore, in realtà i primi due corridori sono passati, il terzo ha sbagliato e gli altri sono andati dietro. E’ stata una reazione a catena e gli altri sono caduti con lui. A quel punto era difficile prendere la curva, Evenepoel non aveva più margine ed è caduto. Io vedo che gli organizzatori stanno facendo molto adesso per proteggere il più possibile, ma penso che sia molto più difficile. Penso che ognuno dovrebbe semplicemente assumersi la responsabilità quando sbaglia.

Van Aert, caduto alla Dwars door Vlaanderen, dovrà saltare il Giro d’Italia
Van Aert, caduto alla Dwars door Vlaanderen, dovrà saltare il Giro d’Italia
Oliver Naesen ha recentemente proposto di riprendere il sistema di penalizzazioni del calcio, con cartellini gialli e rossi per i corridori: è un sistema che ti piace?

Non è un’idea nuovissima. In realtà, l’abbiamo valutata l’anno scorso e ne abbiamo discusso nell’Associazione. Quest’anno lanceremo questa iniziativa con una fase di prova. Abbiamo lavorato parecchio su questo, come anche sulle proposte di chicane in alcuni punti.

A tal proposito molti, sentendo questa idea, hanno detto che così si svilisce la tradizione del ciclismo: che cosa rispondi?

Qui il problema è la velocità. E’ questa che ha causato i brutti incidenti. Ho proposto la chicane perché entrare nella foresta di Arenberg a gran velocità è molto pericoloso, volevamo che i corridori rallentassero. C’è stato un grande polverone mediatico riguardo alla chicane che rallentava la velocità del ciclismo e distruggeva lo sport. Ma dobbiamo guardare oltre, al ciclismo nel nuovo secolo, con nuovi mezzi, prendendo le giuste contromisure. Le chicane sono la cosa che rende i ciclisti più lenti. E anche se alla gente Arenberg non è piaciuto, ha funzionato. Nessuno è caduto andando ad Arenberg e penso che sia stata una delle prime volte in cui ho visto che non c’è stato un solo incidente. Quindi le chicane funzionano e abbiamo bisogno che alcune cose come questa siano messe in atto per rallentare la velocità.

La chicane all’entrata per Arenberg, contestata da molti puristi del ciclismo
La chicane all’entrata per Arenberg, contestata da molti puristi del ciclismo
Non pensi che questa continua ricerca della velocità vada poi a scapito del puro talento del corridore, portando il ciclismo a essere un po’ come la formula uno, chi ha il mezzo migliore vince?

Forse un po’, ma penso che siano sempre le gambe che contano alla fine. Penso che ci siano differenze nelle bici, ma c’è una differenza più grande che è data dal talento di ognuno, dalla sua preparazione, dalla sua inventiva. L’innovazione fa parte dello sport, penso che sia molto buona. Lo mantiene bello e attivo, il pubblico si entusiasma per i nuovi prodotti. Ma dobbiamo controllare l’aspetto della sicurezza. E’ proprio quello in cui credo.

Perdere nello stesso periodo Van Aert, Evenepoel, Roglic e Vingegaard sta penalizzando l’immagine del ciclismo?

Non credo. E’ triste perdere tanti campioni in poco tempo, ma chi c’è fa spettacolo. Le imprese di Van Der Poel, la sua incredibile performance a Roubaix restano lì, nella storia a prescindere da chi c’era. Tutti vorrebbero vederlo vincere con 1 centimetro su Van Aert e viceversa. Quando manca un campione è sempre un peccato. Il brutto spettacolo è stato quello in Spagna, quel caos simile a una zona di guerra. Non è una buona immagine per lo sport. Non spinge i genitori a incoraggiare i propri figli a correre in bicicletta. Questo è ciò che dobbiamo ricordare e che deve spingerci a cambiare.