Lidl-Trek, l’anno dei punti. Con Bennati fra Giro, Tour e Vuelta

03.09.2025
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Pedersen al Giro, poi Milan al Tour e ora di nuovo Pedersen, che guida la classifica a punti della Vuelta con 9 lunghezze di vantaggio su Vernon (in apertura Mads con la sua maglia verde, accanto a Vingegaard in rosso). Per la Lidl-Trek non sarà ancora la stagione dei record, ma la prospettiva di portare a casa le tre maglie è certo interessante. E allora ci siamo chiesti quali differenze ci siano nella lotta per la classifica punti fra Giro, Tour e Vuelta. E ci è venuto in mente di chiederlo a Daniele Bennati, che ha vinto la maglia verde spagnola nel 2007, la ciclamino del Giro nel 2008. Era invece terzo nella classifica a punti al Tour del 2006, dietro McEwen e Freire, quando una caduta lo rispedì a casa a cinque tappe dalla fine. In aggiunta, Bennati fu uno dei primi corridori nel 2011 a firmare per l’allora Leopard Trek di Luca Guercilena, restandoci per due stagioni con 7 vittorie, che anni dopo sarebbe diventata l’attuale Lidl-Trek.

«Senza dubbio la maglia verde al Tour – dice il toscano – è quella più difficile da conquistare. Devo essere sincero, nel 2006 ero abbastanza vicino a McEwen. Probabilmente non l’avrei vinta, però me la sarei giocata. Caddi nella discesa del Telegraphe dopo aver scalato il Galibier e dovetti tornare a casa prima. In termini di difficoltà la maglia verde al Tour è molto più complicata rispetto al Giro e alla Vuelta, ma è inevitabile che per vincerle bisogna andare super forte in tutti e tre».

Bennati ha vinto la maglia a punti di Giro e Vuelta. Nel 2006, secondo dietro Boonen in giallo, indossò la verde per un giorno
Bennati ha vinto la maglia a punti di Giro e Vuelta. Nel 2006, secondo dietro Boonen in giallo, indossò la verde per un giorno
A parte la caduta del 2006, nel 2007 hai vinto due tappe al Tour, ma arrivasti sesto nella classifica a punti. Come mai la verde era così ostica per te?

Ero una vera frana nei traguardi volanti, penso di non averne mai vinto uno in vita mia e di aver perso anche contro corridori che sulla carta erano molto meno veloci di me. Questo mi ha penalizzato molto al Tour, perché gli sprint intermedi sono sempre molto importanti per conquistare la maglia verde, oltre al vincere le tappe e fare tanti piazzamenti. Io vinsi due tappe e poi feci un sesto e un quarto posto. Petacchi ad esempio conquistò la maglia nel 2010, vinse due tappe, ma per cinque volte entrò nei primi tre. Quando va così, sei avvantaggiato, perché un po’ puoi disinteressarti dei traguardi volanti.

Puoi tornare sul tuo essere una frana negli sprint intermedi?

Non avevo la capacità di fare la volata a metà tappa. Forse un problema di motivazione, ma non riuscivo a dare tutto me stesso nei traguardi volanti. Per vincere la maglia verde al Tour devi avere anche la capacità di sprintare dopo 20 chilometri oppure dopo 80 e questo sicuramente Milan ce l’ha nelle sue corde. Ne ha vinti diversi e questo è sicuramente un valore aggiunto, forse perché, essendo un pistard, ha la capacità di andare fuori giri anche dopo pochi chilometri.

Al primo Tour, dopo due ciclamino al Giro, Milan ha vinto due tappe e la maglia verde
Al primo Tour, dopo due ciclamino al Giro, Milan ha vinto due tappe e la maglia verde
C’è differenza nella lotta per la classifica a punti fra i percorsi dei tre Grandi Giri?

Quando ho vinto la maglia a punti della Vuelta, fino all’ultima tappa non l’avevo ancora indosso. Negli anni il regolamento è cambiato. In quel 2007, le tappe di montagna e quelle di pianura davano lo stesso punteggio. Per noi velocisti diventava ancora più complicato. Io avevo vinto tre tappe, però mi ricordo che in quella finale di Madrid la maglia verde ce l’aveva Samuel Sanchez. Anche lui aveva vinto tre tappe, quindi era più avanti di me. Riuscii a conquistare la maglia a punti battendo Petacchi su quell’ultimo arrivo.

Invece al Giro?

Nel 2008 davano gli stessi punti per le tappe pianeggianti rispetto a quelle di montagna. Ricordo che Emanuele Sella aveva vinto anche lui tre tappe e un giorno venne a dirmi: «Stai attento, Benna, perché ti rubo la maglia ciclamino!». Infatti arrivò secondo nella cronoscalata di Plan de Corones e ci ritrovammo molto vicini nella classifica a punti (51 punti, ndr). Per fortuna nelle ultime tappe feci anche qualche altro piazzamento in tappe intermedie e mi salvai. Ma il fatto di avere per tutte le tappe lo stesso punteggio faceva sì che dovessimo lottare contro quelli di classifica e chi vinceva le tappe di montagna. Magari dalla mia c’era il fatto che essendo più veloce rispetto a quelli di classifica, qualche traguardo volante andando in fuga potevo vincerlo e comunque portare a casa un po’ di punti.

Dopo la maglia a punti alla Vuelta del 2022, Pedersen ha conquistato la ciclamino all’ultimo Giro
Dopo la maglia a punti alla Vuelta del 2022, Pedersen ha conquistato la ciclamino all’ultimo Giro
Quindi, che si tratti del Giro, del Tour o della Vuelta, la maglia a punti non viene per caso, ma c’è da studiare il modo per conquistarla?

Esatto. Dosando il lavoro dei compagni in rapporto al percorso della tappa. Giusto la UAE Emirates fa eccezione, ma solo perché hanno Pogacar e quando c’è lui, non portano il velocista. Anche perché Tadej volendo potrebbe vincere anche la maglia a punti. Per il resto si studiano i percorsi e si mette a punto la miglior strategia per portare a casa la maglia a punti. 

La Lidl-Trek al Tour aveva soltanto Milan, data la caduta di Skjelmose. Al Giro e alla Vuelta ha Pedersen e Ciccone, dovendo aiutarli entrambi. Un super lavoro?

Se in squadra c’è l’uomo di classifica, il velocista deve accontentarsi di un paio di compagni. Ormai le squadre sono attrezzate e possono reggere insieme l’uomo di classifica e il velocista. Poi, come per Pogacar, dipende anche dal livello dell’uomo di classifica. Quando a fine carriera ho corso per Contador, non c’era maglia a punti che reggesse: si tirava per lui e basta.

Pinotti spiega la “partita a scacchi” delle formazioni

09.02.2023
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Nell’era dei punti stilare la formazione per una corsa è come fare una partita a scacchi: era questo il concetto espresso da Brent Copeland, quando gli abbiamo chiesto di commentare il nuovo sistema dei punteggi (in apertura, foto Pete Geyer).

Il team manager della Jayco-AlUla ci aveva detto anche che questa partita a scacchi la giocavano soprattutto Matthew White e Marco Pinotti, tecnici e preparatori del team. Una partita che doveva tener conto di moltissimi fattori: punti, stato di forma, marketing, obiettivi stagionali, desideri dei corridori…

Marco Pinotti (classe 1976) è nel team di Copeland dal 2021
Marco Pinotti (classe 1976) è nel team di Copeland dal 2021

In balia dei punti

A Pinotti chiediamo dunque come si gioca questa partita a scacchi. E se davvero è così complicato stilare una formazione.

«Lo scorso anno – spiega con la consueta chiarezza il tecnico lombardo – il regolamento diceva che portavano punti i primi dieci della squadra e questo da un certo momento dell’anno in poi è stato determinante, ne abbiamo dovuto tenere conto.

«Adesso invece, con il triennio (2023-2025, ndr) che è all’inizio e con il fatto che a portare i punti sono i primi venti corridori, siamo partiti con un metodo più tradizionale: prima gli interessi degli atleti. La scelta è molto meno condizionata dai punti… almeno adesso.

«Quel che dice Brent è vero. La partita a scacchi si gioca comunque, perché ormai le corse contano tutte e devi cercare di garantire un calendario equo a tutti e 30 i corridori in rosa».

Le formazioni non sono più stilate solo in base a percorso e obiettivi…
Le formazioni non sono più stilate solo in base a percorso e obiettivi…

Il regolamento

Il nuovo regolamento dà più peso alle corse a tappe, togliendo qualcosa a quelle di un giorno, specie se non sono WorldTour, cosa che lo scorso anno aveva penalizzato chi era in un grande Giro e aveva privilegiato chi faceva man bassa di punti nelle “corsette”.

«Noi – prosegue Pinotti – storicamente non siamo fortissimi nelle corse di un giorno e fino allo scorso anno c’è stato un netto sbilanciamento verso queste. Adesso possiamo concentrarci di più su quella che è la nostra natura.

«Senza contare che possiamo gestire meglio le corse a tappe. Perché queste sono importanti al fine della preparazione e sono quelle che servono di più all’atleta in quanto si può conoscere meglio».

Tutto cambia dunque, sia perché si è all’inizio del triennio, sia perché i punteggi sono differenti e sia perché portano punti più corridori.

«Lo scorso anno quando si faceva una formazione si diceva: “Andiamo lì a fare punti con questo e quest’altro e di là con questi altri due”. La priorità erano solo e soltanto i punti. Si andava contro natura e non era facile… Adesso possiamo andare alle corse sì, per i punti, ma con la priorità della vittoria».

Filippo Zana ha espresso gradimento nei confronti della Strade Bianche, Pinotti e White cercheranno di accontentarlo
Filippo Zana ha espresso gradimento nei confronti della Strade Bianche, Pinotti e White cercheranno di accontentarlo

Il desiderio dei corridori

Pinotti ha parlato anche di garantire un calendario equo per tutti i corridori e nella partita a scacchi rientra anche la lista di gradimento da parte degli atleti. Diversi team durante i ritiri invernali chiedono ai loro atleti quali corse vogliano fare. E questo è un elemento da tenere molto a mente.

«Noi – spiega Marco – più che una lista vera e propria, nelle riunioni chiediamo quali corse gli piacciono o li ispirano maggiormente e cerchiamo di accontentarli. Un corridore motivato rende di più. Ma anche noi cerchiamo di capire le prove a loro più adatte.

«Per esempio Filippo Zana lo scorso anno è stato 19° alla Strade Bianche. Perse un sacco di tempo nella maxi caduta (quella col salto mortale di Alaphilippe, ndr), fece tutta la corsa in rimonta e si piazzò benino. Ci ha chiesto di rifarla. Proveremo ad inserirlo nella lista di Siena».

«Se Simon Yates vuol fare la Roubaix? Beh, più che accontentarlo cerchiamo di farlo ragionare! In funzione di perché uno come lui, scalatore da corse a tappe, vorrebbe fare quella gara? Se la vuol fare perché al Tour ci sarà una tappa col pavé, allora già è qualcosa. Ma a quel punto lo porto a Le Samyn, che è una piccola Roubaix, ne condivide molti settori… E gli facciamo passare la voglia! Ma una Roubaix fine a se stessa non avrebbe senso per uno delle sue caratteristiche.

«Posso garantire che di solito accade il contrario: i corridori vogliono fare le corse dove vanno bene. E se hanno il desiderio di una gara, di solito ci arrivano motivati e in condizione. Quelle prove sono quelle che li buttano giù dal letto e li fanno allenare anche se c’è brutto tempo».

«Tutti vogliono fare il Tour chiaramente, eppure considerati anche i giovani, la lista per il Giro e la Vuelta è spesso più lunga. Probabilmente gli stessi ragazzi sanno che sono un po’ più accessibili in quanto a ritmi e a reali possibilità di partecipazione. Ma il grande Giro è sempre un bell’incastro. Basti pensare che ci sono 24 posti in tutto (tra Giro, Vuelta e Tour) e qualche corridore ne fa due».

Per la Jayco-AlUla il Down Under era molto importante: schierata per questo una super formazione (foto Instagram)
Per la Jayco-AlUla il Down Under era molto importante: schierata per questo una super formazione (foto Instagram)

Il marketing 

Infine nella famosa partita a scacchi c’è l’aspetto del marketing. Gli sponsor non solo vogliono vincere, ma (forse ancora di più) vogliono visibilità. Aspetto che Copeland ha ribadito…

«In questo caso – dice Pinotti – teniamo conto di due parametri soprattutto. Il primo è: dove si disputa la corsa (e già si fa una selezione delle gare che interessano di più)? Non a caso per noi che siamo un team australiano al Down Under siamo andati con l’artiglieria pesante: Yates, Matthews….

«Il secondo aspetto riguarda la preparazione e in questo caso la seconda attività (che non è WorldTour, ndr). Prendiamo ad esempio il recente il Saudi Tour. Avremmo potuto fare anche un’altra corsa, ma AlUla è un nostro sponsor importante e così ci siamo andati. Per di più ci andava bene anche per aspetti climatici e di percorso. Ma in altri momenti magari se non ci fosse stata AlUla saremmo andati a Besseges.

«La scelta della formazione è molto complessa. Chiaro che il marketing conta, ma prima di tutto dovrebbe esserci sempre una ragione sportiva».