Da Parigi all’Himalaya. Il pazzo agosto di Aaron Gate

13.09.2024
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E’ stato un agosto particolare quello di Aaron Gate. Prima le Olimpiadi a Parigi, poi l’inedita e vittoriosa trasferta alla Trans Himalaya, seguita da un’altra vittoria al Tour of Hainan, nel frattempo l’annuncio del suo passaggio nel 2025 all’Astana, approdando nel WorldTour a 33 anni suonati. Ci sta quindi che, appena tornato a casa, la moglie lo abbia “requisito” per qualche giorno: «Non si parla di ciclismo quando siamo insieme, questo è il patto. Ci sentiamo fra qualche giorno».

Alla Trans Himalaya Gate ha preceduto di 4″ Rinukov (RUS) e di 26″ Chia (COL)
Alla Trans Himalaya Gate ha preceduto di 4″ Rinukov (RUS) e di 26″ Chia (COL)

Trascorso il periodo di “embargo”, il neozelandese è pronto a raccontarsi ma soprattutto a descrivere quello che ha vissuto in una gara così particolare come quella himalayana.

«Inizialmente – racconta – non era nel mio programma. Il mio diesse mi ha chiamato un paio di settimane prima delle Olimpiadi e mi ha detto che avevano questa opportunità di fare quest’altra gara appena prima di Hainan. Pensava che sarebbe stata una buona idea per me. Con le sue tappe più brevi era in un certo senso più adatta per riabituarmi alla strada. Poi, s’intende, c’era il fascino del luogo. Non è una cosa che capita molto spesso nella vita. Quindi ho pensato che potesse essere una bella esperienza e una bella avventura, ho accettato di andarci invece di fare altre gare in Francia».

Gate è rimasto colpito dalla qualità dei percorsi e soprattutto dell’asfalto, senza buche e avvallamenti
Gate è rimasto colpito dalla qualità dei percorsi e soprattutto dell’asfalto, senza buche e avvallamenti
Come sei arrivato alla vittoria?

La prima tappa è stata un po’ complicata con numerose fughe. In queste gare i bonus dei traguardi volanti sono sempre molto, molto importanti. Quindi ho puntato ad agguantarne subito uno. Sono riuscito a staccarmi dalla fuga e sono partito da solo per prendere il primo sprint intermedio. Più avanti nella gara c’era una fuga con due nostri davanti. Su una piccola salita, ho visto un’opportunità per attaccare e con un altro corridore siamo riusciti a colmare il divario di un minuto e mezzo con il gruppo di testa.

La corsa si è decisa lì?

Diciamo che ho creato le condizioni per la classifica generale. Il giorno dopo, il mio compagno di squadra George Jackson e io abbiamo attaccato con due membri di una squadra molto forte, composta principalmente da russi, così abbiamo consolidato la testa della classifica. E poi ho dovuto solo assicurarmi di non perdere troppo tempo sui secondi bonus nella tappa finale per assicurarmi la vittoria generale.

La Trans Himalaya ha sempre grande seguito. Gate era molto ricercato da media e tifosi locali
La Trans Himalaya ha sempre grande seguito. Gate era molto ricercato da media e tifosi locali
Com’erano i percorsi e come ti sei trovato con l’altitudine?

L’altitudine è stata sicuramente la componente più interessante della gara. In realtà non abbiamo fatto molta salita in termini di altitudine, tutte le strade erano in realtà una specie di pendenza graduale. Non avevamo niente di più di una media del 3 o 4 per cento. Davvero bello. Una corsa sicura, con bei percorsi, anche bel terreno di gara. E’ stato in realtà molto piacevole in tal senso. Non c’era nessuna buca sulla strada o superfici ruvide con cui fare i conti. L’altitudine però ha contribuito a determinare la gara perché sforzi a quel tipo di altitudine si sentono, ci vuole molto a recuperare. Praticamente l’intera gara era tra 3 e 4 mila metri di altitudine. Quindi è diverso da quello che incontri in Europa o da quello che ho incontrato prima.

Gareggiando è difficile vedere i paesaggi, ma che cosa ti è rimasto impresso di questo Paese?

Abbiamo avuto alcuni lunghi trasferimenti in pullman tra le tappe, quindi abbiamo avuto un sacco di tempo per guardare fuori dal finestrino e osservare il panorama e penso che la cosa folle fosse quella. Trascorrevamo molto tempo nelle valli, che erano già a questa altitudine di 3.000-4.000 metri e poi sopra di te, avevi ancora queste enormi, torreggianti montagne. La vastità dei paesaggi era qualcosa di molto particolare. Guardi in alto e c’è una montagna di oltre 5.000 metri sopra di te e anche molti degli edifici storici dei Dalai Lama erano piuttosto belli. Si sono impegnati per realizzare l’inizio e la fine delle tappe in luoghi significativi nella storia del Tibet, quindi è stato bello poterne vedere alcuni.

I trasferimenti in pullman erano occasione per conoscere il territorio
I trasferimenti in pullman erano occasione per conoscere il territorio
Hai vinto la Trans Himalaya e poi hai vinto il Tour of Hainan. Ti ritieni più uno specialista di corse in linea o di corse a tappe?

Mi piacciono molto le corse a tappe perché hai più di un’opportunità per provare qualcosa. E’ un po’ come la corsa a punti in pista rispetto a una corsa scratch, puoi provare qualcosa e se non funziona puoi modificare la tua strategia e provare qualcos’altro. Hai lo stress che tutto deve andare bene ogni giorno, infatti è stata una sensazione di sollievo quando abbiamo superato lo striscione dei tre chilometri all’arrivo nella tappa finale perché dopo quello sapevo di essere al sicuro.

Eri partito per vincere?

Vincere non è qualcosa che mi aspettavo di fare, la mia ambizione era di aiutare e supportare i miei compagni di squadra, ma è successo che la mia forma dopo le Olimpiadi era molto migliore di quanto mi aspettassi sulla bici da strada. Quindi ho dovuto sfruttarla al meglio. Non è stato facile fare entrambe le cose. Finita la corsa sull’Himalaya abbiamo dovuto viaggiare per tutto il giorno e la notte per andare a letto fino all’isola di Hainan, e siamo arrivati solo alle 2,30 del mattino prima di iniziare la prima tappa di Hainan alle 10. È stata sicuramente una sfida, quella prima tappa, ma fortunatamente ci siamo comportati bene come squadra e siamo stati in grado di sostenere le prestazioni.

Non pago del successo sull’Himalaya, il neozelandese ha vinto anche il Tour of Hainan
Non pago del successo sull’Himalaya, il neozelandese ha vinto anche il Tour of Hainan
Tu hai lavorato su pista per 3 mesi concentrandoti sui giochi olimpici, ti ha aiutato tornando alla strada?

Penso che senza rendermene conto ci fossero elementi della preparazione della pista che avrebbero aiutato sulla strada. Per cominciare, con la Burgos Bh abbiamo fatto un blocco di allenamento in quota ad Andorra, anche se solo a 2.000 metri, ma penso che aiuti solo con parte dell’acclimatamento richiesto per il Tibet e penso anche per la natura dell’allenamento che facciamo per la pista. E’ molto anaerobico. Sai che hai la potenza breve su cui ti concentri di più usando i muscoli piuttosto che i polmoni a causa dello stile della pista. Essere in grado di spingere le grandi marce dalla linea di partenza è tutto per l’inseguimento a squadre. Quindi penso che probabilmente aiuti senza rendersene conto. La mancanza di ossigeno significava che dovevi usare i muscoli per spingere la bici, quindi è stato un bel bonus averlo.

Qual è il tuo bilancio dei giochi olimpici?

Sicuramente deludente per me. Me ne sono andato con un quarto posto e due quinti che non erano i risultati che volevo o per cui sentivo di allenarmi o di essere capace. Ma alle Olimpiadi tutti si presentano al massimo, con la migliore attrezzatura e il meglio di tutto. Io sono ancora orgoglioso di come ho corso. Ma ovviamente volevo di più per finire la mia carriera su pista. Ora mi sono riconcentrato sulla strada per il resto della mia carriera, ma forse dovrò aprire una porticina per un altro tentativo a Los Angeles. Vedremo.

Gate a Parigi è stato 4° nella madison, 5° nell’omnium e con il quartetto
Gate a Parigi è stato 4° nella madison, 5° nell’omnium e con il quartetto
L’anno prossimo sarai all’Astana, entri così nel WorldTour e cresce il livello delle tue gare: che speranze hai per il nuovo anno?

Spero di poter continuare a migliorare tutti gli aspetti della mia carriera finora. E’ una bella opportunità per fare gare più grandi che non ho mai fatto prima e anche per rivisitare alcune gare che non ho fatto da quando ero con Aqua Blue Sport molti anni fa. Non vedo l’ora di affrontare la sfida di lavorare con il nuovo team e a un livello più alto, e spero di poter contribuire ai loro punti molto importanti, per mantenere il team storico nel World Tour.

Che cosa significa per te entrare nel WorldTour a 33 anni?

Significa molto e sfrutterò al meglio l’opportunità di sicuro e spero che non sia l’unico anno in cui io sarò nel World Tour.

Bolton Equities, alla base del ciclismo neozelandese

31.01.2023
6 min
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Il mondo dei team continental è vastissimo e spesso misconosciuto, ma fra gli oltre 100 sodalizi esistenti in tutto il mondo si nascondono anche realtà che meritano di avere l’attenzione, perché possono insegnare qualcosa anche dove il ciclismo ha una tradizione consolidata come da noi. La Bolton Equities ne è l’esempio: non è un team come gli altri, ma una vera e propria scuola di ciclismo, sulla quale si fonda tutta la tradizione ciclistica della Nuova Zelanda, capace di cogliere ripetuti successi anche a livello olimpico. Anche per questo nel 2023 è salita di livello, fra le professional.

Per seguire l’evoluzione del team e farlo crescere, da qualche anno alla sua guida c’è Franky Van Haesebroucke, ex corridore belga a cavallo dell’inizio del secolo, con buoni risultati nelle classiche nazionali. Franky ha completamente cambiato la sua vita investendo tutto se stesso in questo progetto, andando dall’altra parte del mondo. Perché la Bolton Equities Black Spoke non è solo un team, ma una vera e propria scuola di ciclismo.

Franky Van Haesebroucke dopo una buona carriera da pro’ ha investito tutto nel progetto all black (foto Wielerflits)
Franky Van Haesebroucke dopo una buona carriera da pro’ ha investito tutto nel progetto all black (foto Wielerflits)

«La squadra fondamentalmente è nata proprio per aiutare i corridori neozelandesi ad avere opportunità per correre in Europa – racconta il 52enne manager fiammingo – L’idea è stata di Scott Guyton, un manager che ha corso in Europa per il team Linda McCartney. Ha convinto un ricco investitore, Murray Bolton, a creare una squadra all’uopo. In soli due anni abbiamo ottenuto molti risultati, così abbiamo deciso di salire un gradino e diventare un team professional. Quel che conta è abbinare gare importanti a prove più piccole per permettere ai giovani di crescere e rinnovare sempre più la squadra».

Che differenza hai trovato tra il ciclismo belga e il ciclismo neozelandese?

Il problema è che in Nuova Zelanda ci sono solo due gare importanti in un anno. La Cycle Classic, disputata pochi giorni fa e la Gravel and Tar Classic che è una gara Uci 1.2. Il resto è fatto di gare locali. Ma per crescere i corridori devono confrontarsi con i grandi, quindi venire in Europa e questo è molto costoso. Non puoi farlo per qualche settimana, ma per tutta la stagione. Quindi devi avere anche una buona famiglia che ti sostenga, anche economicamente. Per loro è un lavoro molto duro venire in Europa, ma hanno fame di correre. Prima, coloro che riuscivano a trovare un ingaggio in team europei si sentivano alla lunga molto soli. Qui si è creata una grande famiglia, dove tutti devono aiutarsi a vicenda per avere successo. Nel 2022 abbiamo vinto gare con otto corridori diversi, credo che questo sia l’esempio di come il sistema funzioni.

Subito un trionfo per il team: James Oram si è aggiudicato la Cycle Classic (foto organizzatori)
Subito un trionfo per il team: James Oram si è aggiudicato la Cycle Classic (foto organizzatori)
Quanto è importante la squadra per lo sviluppo del ciclismo neozelandese?

Enormemente. Si è innescato un meccanismo, i ragazzini non vedono l’ora di essere scelti e ci sono più ragazzi che iniziano a correre proprio perché c’è la squadra. Probabilmente lavoreremo molto per promuovere ancor di più il team e il ciclismo in Nuova Zelanda. Organizzeremo anche qualcosa per far venire i ragazzi. Intanto però abbiamo dovuto investire molto per la squadra, comprando camion e pullman per seguire la squadra in Europa, trovando un punto logistico di appoggio, sono stati investimenti importanti. È fondamentale per il ciclismo neozelandese che ora, ad esempio, corridori vengano già a chiedere se possono venire nella nostra squadra. Alcuni sono già approdati in team WorldTour, passando da noi, questo conta molto. Il ciclismo è molto complicato mentalmente perché c’è così tanta pressione, da noi hanno imparato a gestire lo stress, a divertirsi comunque, avendo ognuno un proprio personal trainer.

Il team Bolton Equities ha iniziato nel 2020 come team continental. Quest’anno il salto di categoria (foto KW.be)
Il team Bolton Equities ha iniziato nel 2020 come team continental. Quest’anno il salto di categoria (foto KW.be)
In Italia si dice che la mancanza di un team WorldTour sia alla base della crisi del ciclismo italiano. Sulla base della tua esperienza con il Bolton Equities pensi sia vero?

Sono due realtà molto diverse. In Italia le squadre ci sono. Il problema è più profondo: la vita per i bambini è troppo facile e quindi chi vorrebbe soffrire in bicicletta? E’ un problema di mentalità. In Belgio ora c’è Evenepoel, ma non è che ne nasce uno ogni anno. In Italia, c’è stato Nibali, ma trovarne un altro non è facile. E’ comunque strano che in Italia non ci sia una squadra del World Tour perché c’è abbastanza lavoro. Devi solo essere fortunato a trovare anche lo sponsor giusto. Comunque ci sono realtà come l’Uae Team Emirates che sono sì affiliate all’estero, ma hanno una profonda radice italiana.

Quest’anno verrete a correre in Italia?

Sì, quest’anno faremo alcune gare in Italia, come la Per Sempre Alfredo e la Settimana Coppi e Bartali. Finora con la squadra non siamo ancora venuti da voi perché la nostra base è vicino al confine francese ed è stato difficile ricevere inviti. Eravamo al 24° posto fra le continental, con corridori poco conosciuti, ma le cose stanno cambiando. I nostri ragazzi sono affamati perché non hanno corso fin dalla giovane età. Quest’anno abbiamo ingaggiato quattro ragazzi inglesi per crescere di livello anche nelle gare d’un giorno.

Gate è la stella del team. Per lui 5 vittorie nel 2022, tra cui l’oro ai Commonwealth Games (foto Cor Vos)
Gate è la stella del team. Per lui 5 vittorie nel 2022, tra cui l’oro ai Commonwealth Games (foto Cor Vos)
Quali sono gli elementi principali del team?

Aaron Gate è il più esperto, ha già vinto nel WorldTour, ma nessuno si è veramente interessato a lui perché lo ritengono troppo vecchio. E ha solo 27 anni… Ha vinto al Giro del Lussemburgo l’anno scorso e 4 medaglie d’oro ai Giochi del Commonwealth. Poi abbiamo James Fouché, campione nazionale e continentale, un corridore molto aggressivo. Poteva andare in un team WT, ma ha deciso di restare con noi. Poi Logan Currie, che ha fatto molto bene ai mondiali a cronometro U23 finendo 4°. Ha 20 anni e ha iniziato a correre solo quando ne aveva 19. Poi è arrivato Matthew Bostock, è un ragazzo inglese che è un velocista. Doveva seguire Cavendish, ma poi non è successo, quindi ha firmato per noi. Quindi mi aspetto qualcosa da lui nello sprint. Ma nel complesso, sono convinto che abbiamo una squadra molto forte.

James Fouché ha corso nella Hagens Berman Axeon. Nel team dal 2021, è stato campione oceanico (foto Cor Vos)
James Fouché ha corso nella Hagens Berman Axeon. Nel team dal 2021, è stato campione oceanico (foto Cor Vos)
Quali obiettivi vi ponete per quest’anno?

Il primo anno, il nostro obiettivo era quello di essere tra i primi dieci in una gara Uci 1.1. Il secondo anno è stato provare a vincere una corsa a tappe e ne abbiamo vinte cinque. Ora vogliamo vincere una gara che abbia un supporto televisivo, minimo una Uci 1.1. Questo è il nostro obiettivo e faremo di tutto per coglierlo. In Europa inizieremo dal Tour of Antalya e vogliamo partire subito alla grande.