Alla fine Filippo Tagliani un posto l’ha trovato, anzi sta già correndo al Giro dell’Abruzzo, ma il suo inverno non è stato certo caratterizzato dalla tranquillità. Coinvolto nel progetto dell’Albiono Pro Cycling Team, la fantomatica squadra con base alle Isole Vergini che doveva entrare fra le continental con un budget molto cospicuo, il ventottenne corridore di Gavardo ha rischiato seriamente di trovarsi a piedi, sapendo che perdere il treno sarebbe stato un addio definitivo.
Spesso abbiamo provato a sentirlo nel corso dei mesi freddi, ma lo stesso Filippo ci avvertiva di non avere novità, di continuare a vivere in un limbo che solo ora, con in tasca il contratto con la Monzon-Savini Due può descrivere nei particolari.
«Mi aveva contattato a dicembre il manager Luciano Fondrieschi – racconta – prospettandomi questa possibilità e io, che non avevo squadra, avevo accolto con favore l’idea di essere coinvolto in un nuovo progetto. Entro Natale ho anche firmato il contratto, sembrava tutto a posto ma c’era qualcosa che non quadrava».
Che cosa?
Tutto rimaneva fumoso, intanto i giorni passavano e se da una parte si continuava a sentire nell’ambiente, anche sui media, di questo grande progetto proveniente da uno dei paradisi fiscali, dall’altro però non vedevamo nessuna realtà. Niente materiale tecnico, niente bici, niente programmi. Quando chiedevamo a Fondrieschi, che è un manager italiano che ha la sua attività a Menton, appena fuori dai confini, anche lui diceva di non avere notizie.
E poi?
A quel punto bisognava fare qualcosa e Fondrieschi ci ha proposto di fare intanto un ritiro prestagionale non lontano dalla sua attività lavorativa, sulla costa sud della Francia. Lui anticipava i soldi per le spese, noi ci siamo presentati ognuno con il proprio materiale tecnico, senza divise né bici. Eravamo una decina: io, Lorenzo Cataldo (che mi ha seguito anche nell’epilogo alla Monzon-Savini Due), El Gouzi e altri ragazzi. Il progetto era anche interessante, con corridori provenienti da molti Paesi, una vera multinazionale. Il problema è che i giorni passavano e la nebbia sul nostro futuro non accennava a diradarsi, anzi…
Come facevate a trovare la forza psicologica per allenarvi?
Non era semplice, anzi a dir la verità molti hanno preso quei giorni come una vacanza. Al mattino si usciva tutti insieme in bicicletta, ma dopo una mezz’ora io e Lorenzo ci ritrovavamo da soli: gli altri si erano già fermati. Noi invece abbiamo continuato a crederci, perché volevamo sperare che la situazione si sbloccasse, volevamo fortemente continuare a fare il nostro lavoro. Poi c’è stato un piccolo colpo di scena.
Quale?
A fine gennaio è arrivato il primo stipendio. A quel punto ho pensato che la situazione si stava risolvendo, anche perché come a me era arrivato anche agli altri. Continuavamo però a non avere nulla per iniziare l’attività, né la squadra era stata intanto registrata all’Uci. Poi Fondrieschi ci ha comunicato che anche se dalle Isole Vergini continuavano a dargli assicurazioni, lui si era tirato fuori. A quel punto abbiamo capito che non c’erano grandi possibilità e abbiamo iniziato a guardarci intorno.
Difficile però trovare spazi a quel punto della stagione, quando ormai i quadri delle varie squadre sono completi…
Infatti. Un colombiano si è sistemato alla GW Shimano, un caraibico è tornato a correre dalle sue parti. Io e Lorenzo, anche grazie all’intercessione dello stesso Fondrieschi, ci siamo messi in contatto con Giuliani e siamo approdati nel suo team.
Praticamente, appena entrato sei stato buttato nella mischia…
Per fortuna avevo continuato ad allenarmi e prima della partenza del Giro d’Abruzzo sono stato due settimane a Montesilvano per prepararmi. Ma l’allenamento è una cosa, la corsa un’altra. La forma fisica è buona, quella mentale ancor di più. Oltretutto per il nostro team questo è un evento centrale nella stagione, è come se fossi stato buttato subito nella fossa dei leoni. Ma a me le sfide non spaventano, soprattutto se arrivano dopo un inverno che non auguro a nessuno.
Dopo che cosa ti aspetta?
Preparerò la prossima corsa a tappe che mi vedrà impegnato in Grecia a maggio. Lì dovrei trovare anche percorsi che si adattano meglio alle mie caratteristiche. Voglio farmi trovare pronto per cercare qualche buon risultato e cominciare a costruire la mia stagione per meritarmi un futuro.
La tua vicenda che cosa ti ha insegnato?
Che in questo mondo in tanti pensano di poter entrare, ma non è per nulla facile. Con i proclami non si va da nessuna parte. Per fortuna poi ci sono gli “storici” come Giuliani che sanno dove mettere le mani e continuano a tenere su l’attività. Per gestire una squadra, a qualsiasi livello, bisogna essere capaci, sapere quel che si sta facendo perché ci sono delle vite in gioco.
Ti rimproveri qualcosa?
Forse di essermi fidato un po’ troppo, ma io ho sempre fatto il massimo e interpretato questo mestiere con la massima serietà, anche nei momenti peggiori. Se sono caduto in piedi lo devo solo a me stesso.