Dopo aver ascoltato Moreno Argentin, ecco un incontro moto interessante con Maurizio Fondriest. Il trentino ribatte sugli stessi concetti e lo fa con toni davvero convincenti, ripetendo le lezioni che quotidianamente ripropone ai ragazzi di cui si occupa.
Il Tour da giovani
I corridori che hanno vinto i grandi Giri da giovani di solito finiscono presto la carriera. Accadeva una volta, sarà ancora così?
«Non so se sia un dato statistico – dice Maurizio – o sia la realtà. Le corse a tappe logorano il fisico e sottopongono a un grande stress. Il problema di solito inizia l’anno dopo, quando tutti iniziano ad aspettarti. Prendete Bernal, che sembrava destinato a vincere Tour a ripetizione. E stiamo attenti a Pogacar, lo gestisca bene la sua squadra, perché fra un po’ tutti cominceranno ad aspettarlo al Giro, al Tour, alla Vuelta. Non tutti riescono a reggere simili pressioni e a 20 anni è ancora più difficile».
Iridato a 23 anni
Maurizio ha vinto il mondiale a 23 anni, nel 1988 a Renaix, e ricorda bene le interviste e tutte le occasioni in cui un piazzamento veniva dipinto come una sconfitta o dovesse essere forzatamente il favorito in ogni corsa cui prendeva parte.
«Nell’anno da campione del mondo – dice – ho vinto tre gare e fatto 12 secondi posti. Si potrebbe pensare a una stagione mediocre, ma non lo fu. Perché quei 12 piazzamenti furono dovuti a volte ad avversari più forti di me, ma nella maggior parte dei casi ad errori nell’impostare la volata, perché avevo l’ansia di dimostrare che anche da campione del mondo avrei potuto vincere».
Imparare dagli errori
Come se ne esce? Esiste una ricetta da indicare a Pogacar, Bernal, Geoghegan Hart e Hindley affinché la testa resti salda e non si faccia distrarre dalle sirene?
«Le epoche sono diverse – dice Maurizio – però la base dell’allenamento e della fatica è sempre la stessa. Oggi forse è anche più difficile, perché le distrazioni sono veramente tante. Ai miei ragazzi spiego gli errori che ho fatto io, perché possano difendersi. La cosa che noto è che queste cose si ripetono. Ciclicamente, si ripetono sempre uguali».
Attenti ai cambiamenti
Tante volte, prima di chiudere, gli errori nascono anche nella testa del corridore e del suo entourage, quando si decide di voler salire di livello ricercando numeri che non si possiedono.
«Anche io avrei voluto essere un corridore da corse a tappe – sorride – anche io volevo essere come Gianni Bugno. Andare forte in salita come lui, ma non era la mia caratteristica. Ho provato a preparare un Giro e ho fatto settimo (nella foto di apertura è con Laurent Fignon al Giro d’Italia del 1989, vinto dal francese, ndr). Ho fatto 15° in un Tour de France. Ma ero al limite e lo sapevo sin da giovane. Al Giro dei dilettanti prima di passare vinsi tre tappe e in salita ero con i più forti, ma mai con i migliori. E questo va capito subito. Perché puoi provare ad andare più forte in salita, ma se poi perdi la tua velocità e non vinci più corse, che cosa te ne fai?».