Dimitri Sedun è una fetta gigantesca del ciclismo russo. Lo segue dai tempi dell’Unione Sovietica alla Russia attuale, passando per il Kazakistan. Ma è anche un uomo di ciclismo ad alti livelli. Per 15 anni è stato una colonna dell’Astana.
Nelle ultime stagioni il team turchese aveva visto dei rimescolamenti e lui era rimasto fuori. Ma ecco che si è affacciata subito la Gazprom-RusVelo. Una scelta ponderata, dettata da molti fattori. Uno, a nostro avviso non secondario, è che Dmitri è un ottimo ponte fra russi e italiani, che sono un terzo dei corridori nel team.
Ciao Dimitri, come si è realizzato questo arrivo alla Gazprom?
Non saprei neanche da che parte cominciare! Il general manager, Renat Khamidulin, lo conosco da una vita. Quindi non c’è stato un primo contatto tra due persone che si devono conoscere e confrontare. Negli anni abbiamo sempre parlato, ci siamo scambiati idee sulle problematiche del ciclismo ex sovietico. Io ero libero, mi stavo guardando intorno. Volevo fare qualcosa di buono e abbiamo deciso di farlo insieme.
Si dice che tu voglia apportare dei cambiamenti, una sorta di “rivoluzione Sedun”: è così?
Non direi rivoluzione. La Gazprom è già una squadra ben organizzata. Semmai vorrei portare qualcosa di nuovo sul piano della gestione sportiva.
Ci fai un esempio?
Per esempio sulla programmazione delle gare e la conseguente preparazione dei singoli atleti. E soprattutto una cosa che voglio fare è che tutti i nostri corridori siano preparati all’interno della squadra. Non voglio allenatori esterni. I miei corridori sono allenati dai miei preparatori. Altrimenti devi coordinare tutto, c’è chi fa una cosa, chi ne fa un’altra. Per me è un passaggio fondamentale per la crescita della squadra.
Che poi è quello che fanno i team più grandi, vediamo la Jumbo, per esempio…
Eh – sorride Sedun – hanno copiato da noi! Dall’Astana… Vi ricordate che noi eravamo fortemente improntati verso i grandi Giri? Ebbene siamo stati i primi fare i ritiri di squadra, l’altura tutti insieme, a dividere i ragazzi in gruppi di lavoro… Poi andavamo a Giro, al Tour e ci dicevano: mamma mia come vanno gli Astana. Ma era frutto di una buona programmazione.
Inizierai sin da questo inverno con questo metodo?
Sì, dal 4 dicembre saremmo a Calpe. Lì faremo dei gruppi e i conseguenti programmi di lavoro. Non siamo tanti come in una WorldTour e questo da una parte è più facile e dall’altra è più difficile.
Ti vedremo ancora in ammiraglia o avrai solo un ruolo dirigenziale?
Ammiraglia! Non scherziamo… Non è ancora tempo di scendere dalla macchina. E poi è importante per me stare in corsa. Lì ti rendi conto di molte cose, vedi meglio i problemi, conosci meglio i corridori.
Alla Gazprom-RusVelo un po’ come in Astana c’è parecchia Italia: come legano queste due scuole? Queste due mentalità?
Guardate – e ride – proprio ieri ascoltavo un comico che parlava dei russi che per la prima volta andavano all’estero. E diceva: noi siamo molto rumorosi, più di tutti. Però c’è chi ci batte. Gli italiani sono più chiassosi di noi. Loro fanno rumore anche sotto l’acqua! Segno che possiamo legare bene. Io ho passaporto russo e svizzero, ma l’Italia è la mia seconda patria.
Il prossimo anno sarai contento se…?
Più che il prossimo anno, sarei molto contento se nel 2023 riuscissimo a fare lo step più importante. E cioè diventare una WorldTour.
Il 2022 sarà quindi un anno di costruzione…
Sì, e non sarà facile. La prima cosa sarà avere la certezza da parte degli sponsor, ma serve anche uno sforzo da parte nostra per dimostrare che meritiamo e che siamo all’altezza di questo step.
Tra i tuoi corridori da chi ti aspetti un grande aiuto?
Da Zakarin. Spero tanto che Ilnur possa far vedere quel che può fare perché per me non è affatto spremuto. E’ un corridore importante e io mi metterò su di lui. E poi c’è un bel gruppo di corridori che possono fare bene a partire da Conci. Nicola deve fare il salto di qualità che gli compete. Fedeli e Piccolo sono bravi. Ed è bravo anche il campione russo Nych, ecco: lui ha un gran motore.
Al Giro d’Italia ci pensate?
Per me sarebbe ottimo, ma sono anche realista: è molto difficile, ma non tanto per quanto riguarda noi, ma per la politica dei grandi Giri. Tra chi fa da sponsor e le regole Uci rispetto alle squadre delle singole nazioni (team italiani al Giro; francesi al Tour…, ndr) è davvero complicato essere al via. Volete la mia opinione?
Certo Dimitri…
Per me è sbagliato che i grandi Giri siano obbligatori per i team WorldTour. Sono stato in Astana per 15 anni e ne so qualcosa. Fare tre corse così in un anno è difficilissimo, anche per uno squadrone. Devi avere tanti corridori. Per me sarebbe meglio che le WorldTour facessero due grandi Giri e altre corse. In questo modo oltre ad avere meno “acqua alla gola”, libererebbero 3-4 posti per le professional e queste potrebbero avere più possibilità di crescere.
Ma magari le WorldTour hanno interesse a non farle crescere, a non far aumentare la concorrenza…
Questo non lo so, però sarebbe ottimo per gli organizzatori. Le professional darebbero più spettacolo, sono più motivate. Penso a 15-16 WorldTour e il resto professional, stabilite secondo le regole Uci.
Vedete – aggiunge Sedun – il mio progetto passa anche da questo, dall’avere una team che abbia visibilità. E’ così che si cresce. Sento dire: si deve partire dal basso. Non sono d’accordo. Serve una locomotiva, serve chi traina, chi va avanti e apre la strada. Se la Russia ha una grande squadra, poi man mano nasce la continental, cresce il settore giovanile, i ragazzini vedono i campioni…