Sabatini è salito in ammiraglia. Di correre non aveva più voglia, era chiaro. Lo scorso anno, in un video dal Giro di Polonia, era parso chiaro che il suo viaggio nel ciclismo fosse bello e finito. Però non si chiude una porta così importante e semplicemente si cambia strada. Così, quando Cedric Vasseur ha iniziato a parlargli di un nuovo ruolo alla Cofidis, il toscano si è affrettato a prendere i primi due livelli, programmando il terzo nella prossima estate.
«Dopo la Sanremo – sorride – ho mal di gambe, soprattutto quella della frizione. Però ammetto che mi ha fatto strano arrivare in Riviera dal Turchino e vederli passare sulla Cipressa mi ha emozionato».
Fabio è un toscano atipico. La battuta pronta non manca, ma di base è un po’ brontolo anche lui come Noè. Non è mai stato (non troppo, almeno) di quelli che ti dava la risposta comoda. Pane al pane, vino al vino. E alla fine con questo modo di fare e di essere, si è ricavato il rispetto del gruppo, dei suoi capitani e dei suoi tecnici.
Come sei arrivato all’ammiraglia?
Il ruolo è sempre stato nell’aria. Ho parlato con Vasseur. Ho preso la tessera per poter salire in macchina. Mi hanno provato alla Tirreno per vedere come fossi e devo essergli piaciuto, visto che mi hanno chiesto di andare alla Sanremo e poi al Giro.
Il tuo ruolo è stato delineato?
Mi hanno preso per impostare i finali in volata. Sono andato a vedere gli arrivi e poi via radio trasmettevo le mie osservazioni ai direttori in corsa. Un ruolo importante, che non tutte le squadre ancora hanno capito. Ad esempio ho potuto dire che il ponticello verso l’arrivo di Terni sarebbe stato pericoloso e se restavi indietro, non rimontavi. Quando correvo con Petacchi, mandavamo in avanscoperta Andrea Agostini, che avendo corso, sapeva cosa guardare.
Ti piace?
Molto, è quello che avevo chiesto e che speravo di poter fare.
Hai anche interagito con i corridori?
Nelle riunioni, Roberto Damiani mi chiedeva di parlare, anche se io non volevo farlo per non entrare nei ruoli di altri. Però chiedeva il mio parere su come sarebbe potuta andare la corsa e io a quel punto rispondevo.
C’è un tecnico cui pensi di ispirarti?
Sono uno che sente tanto la corsa. Quando siamo arrivati terzi a Bellante con Lafay, avrei spaccato la macchina da quanto mi ero esaltato. Mi ispiro a direttori come Bramati, mi è piaciuto molto lavorare con Zanatta e poi con Damiani. La mia paura semmai è salire in macchina…
In che senso?
Il corridore prende cento volte più rischi di un direttore sportivo, perché la bici ha due ruotine sottili e la macchina ne ha quattro. Ma fare la discesa in mezzo ai corridori che ti passano a destra e sinistra, magari giù dal Carpegna che fuori c’erano due gradi sotto zero… Credo di non aver mai sudato tanto come quel giorno.
Ti sei mai pentito di aver smesso?
Dopo la Sanremo, mi sono detto: «Meno male che ho smesso!». Erano anni che non si faceva la Cipressa forte a quel modo. Prima le squadre venivano alla Sanremo col velocista, c’erano sempre gli attacchi e poi era tutto un inseguire. Oggi è battaglia continua. Credo di aver smesso proprio nel momento giusto. Ho smesso sereno e mi dispiace ad esempio per Visconti, che lo ha fatto con un po’ di magone. Gli ho mandato un messaggio. Io ho deciso di chiudere, quando ho capito che il mio livello era calante, quando ho capito che non avrei potuto più fare il mio lavoro.
Si dice che il direttore sceso da poco di sella capisce meglio i corridori di oggi…
E’ vero, il ciclismo è tanto diverso rispetto a 20 anni fa. Riusciamo a capire il perché di certe risposte, anche quando il corridore non ti dice la verità e vedi quel che c’è dietro. Inoltre il livello di corsa ora è così alto e la vita è così esigente che se non l’hai provato sulla pelle, fai fatica a capirlo.
Sei stato ultimo uomo di Kittel e Viviani, cosa ti pare di Cimolai e Consonni che ti troverai a guidare?
Cimo l’ho visto bene a San Benedetto, fa la vita al 100 per cento e, avendo corso con lui, lo conosco davvero bene. Conso l’ho conosciuto da un paio di anni. Sono forti, ma ancora gli manca quel picchetto in più che ti permette di vincere. Puoi trovarlo oppure no, può dipendere dalla preparazione o dalla propria natura. Tanti corridori, non parlo specificamente per loro, devono capire che è un lavoro e che ci sono altri ruoli oltre a quello del velocista. Si lavora per guadagnare e si prende di più lanciando il velocista che vince, piuttosto che facendo continui piazzamenti. Per carità però, sono scelte personali…
Consonni è giovane…
Ed è ancora alla ricerca della strada. Prima è stato accanto ad Elia (Viviani, ndr), ora finalmente è leader e ha il tempo necessario per capire.
Vai ancora in bici?
Volevo oggi, ma era il giorno libero di mia moglie e siamo andati fuori a pranzo. Però 3-4 volte a settimana continuerò ad andarci. Mi serve per stare bene, non certo per staccare qualcuno…