BEIHAI – Nel caldo torrido di questa città, che trovandosi più o meno alla stessa latitudine dell’Oman non poteva certo essere fredda, Steven Kruijswijk ha trovato riparo all’ombra del gazebo. La Jumbo-Visma è sbarcata in Cina con Olav Kooij, Milan Vader, i gemelli Van Dijke e il vecchio olandese, che di anni ne ha 36. Il tempo di vederlo ed è tornata in mente una domanda dei giorni della Vuelta, vinta da Sepp Kuss, come lui gregario. Con la Jumbo-Visma di adesso, Kruijswijk avrebbe vinto il Giro del 2016?
Una Jumbo inesperta
Sulla sua squadra se ne dissero di parecchie. Si puntò il dito verso l’ammiraglia inesperta, colpevole di averlo spinto a inseguire Nibali nell’attacco del Colle dell’Agnello, nonostante il suo vantaggio fosse più che ampio. La caduta contro quel muro di ghiaccio affossò le sue speranze e gli portò via la maglia rosa.
«Ci penso spesso a quel Giro – dice l’olandese – e come sarebbe finita se avessi avuto la squadra che siamo adesso. Avrei voluto avere dei compagni attorno a me in quel momento, ma ero solo. Eppure quel Giro è stato il vero inizio della nostra storia, per spingerci a fare un passo avanti. Di sicuro non eravamo forti come oggi. Sono convinto che altrimenti sarebbe stato un po’ più facile vincere il Giro. Ma questo fa parte del progresso e sono felice di essere stato partecipe e utile nel processo di sviluppo. Perciò ho preso l’abitudine di guardare indietro verso ciò che ho ottenuto e non ciò che avrei potuto ottenere».
Che cosa significa far parte di una squadra così forte?
Ne faccio parte da molto tempo, l’ho vista crescere e ho fatto anche io molti passi avanti a livello personale, anche se a un certo punto la squadra è diventata addirittura migliore di me (ride, ndr). E’ davvero bello sentirsi parte di un gruppo così grande. Le ultime due stagioni sono state incredibili per ciò che abbiamo ottenuto e ne sono davvero orgoglioso.
Siete così tanti e così forti che ci sono dei trials interni per andare al Tour e nelle grandi corse?
Non esattamente. La squadra si limita a stabilire gli obiettivi e la pianificazione invernale. Poi si valutano i percorsi delle grandi corse e si stabilisce la qualità delle gare necessarie per fare il miglior avvicinamento. Ovviamente prima delle prove davvero importanti, c’è sempre un po’ di competizione per entrare in squadra, ma penso che sia anche salutare.
In che modo?
Ci teniamo in forma l’uno con l’altro. Ci alleniamo insieme, ma è una bella competizione. Lo scopo non è gareggiare fra noi. Il risultato è che in ogni gara vista quest’anno, siamo stati i favoriti. In ogni gara ci assumiamo la responsabilità, lavoriamo l’uno per l’altro e così siamo pronti a battere chiunque.
Che stagione è stata questa per te?
Non proprio buona, proprio no. Soprattutto dopo lo scorso anno, quando la caduta al Tour mi ha costretto a chiudere la stagione in anticipo. Così ho iniziato a preparare il 2023. Andava tutto bene, avrei dovuto fare il Tour e non il Giro. Invece al Delfinato sono caduto nuovamente e questo mi ha portato fuori dal resto dell’anno. Compreso il Tour.
L’importante in questi casi è avere la mentalità giusta?
Sì, perché è sempre difficile perdere i grandi obiettivi della squadra, soprattutto quando puoi essere d’aiuto. E’ difficile perdere le gare più importanti per le quali ti sei preparato a lungo. Non è mai bello riprendersi da un infortunio mentre sono in corso le gare. Il segreto è restare concentrato su te stesso, cercando di guardare alla stagione successiva.
Hai degli obiettivi speciali da raggiungere per il 2024?
Spero solo di avere una stagione completa ed è anche per questo che sono voluto venire qui. Voglio arrivare all’inverno il più in forma possibile, per poi concentrarmi sull’anno che viene, sperando di trovare subito la condizione.
Quindi lo stacco sarà breve?
Non riposerò troppo, credo. Continuerò ad allenarmi e recuperare. Ho un lavoro molto importante da svolgere.