In questo periodo si parla molto della figura dei procuratori nel ciclismo, anche un tecnico storico come Beppe Martinelli li ha chiamati in causa come componente che fa parte di questo mondo ma deve dare di più e non essere legata solamente al contratto di questo o quel corridore. Quando si parla di procuratori è facile andare con la mente al calcio, dove ognuno ha il suo e anzi se non ce l’hai, una squadra non la trovi più. Nel ciclismo il loro approdo è molto più recente.
Parla Quinziato
«Io ho iniziato a correre fra i professionisti nel 2002 – racconta Manuel Quinziato, noto non solo per le sue grandi qualità di cronoman, ma anche per riuscire a conciliare la professione sportiva con gli studi e la conseguente laurea in legge – ma di procuratori si parlava già da una decina d’anni. Una cosa che ritengo sia alla base della mia professione è che l’impegno non si esaurisce con il mettere sotto contratto un atleta e trovargli una squadra, il rapporto deve continuare tutto l’anno, consolidarsi e per questo credo che sia bene avere un numero limitato di corridori nella propria agenda».
Scuola Lombardi
Nell’intraprendere questa strada, Quinziato ha avuto un maestro d’eccezione in Giovanni Lombardi, l’olimpionico di Barcellona ’92 oggi considerato, in una recente classifica pubblicata da Forbes, tra i 50 personaggi più influenti nel mondo del ciclismo.
«Abbiamo corso insieme – dice – e mi ha instillato questa passione come modo per poter restituire al ciclismo un po’ di quel tanto che mi ha dato, aiutando i ragazzi a districarsi in questo mondo».
Presenza alle corse
Quinziato, che tra gli altri cura gli interessi fra gli altri di Matteo Trentin (nella foto di apertura, i due sono insieme alla Vuelta del 2018), Jonathan Milan, i fratelli Bagioli, tiene molto all’aspetto umano della sua figura.
«Non so se ricordate il film Jerry Maguire con Tom Cruise – spiega – che seguiva la carriera di un campione del football americano, accompagnandolo in quasi tutte le sue trasferte, facendo da confidente oltre che curatore dei suoi interessi. Il nostro lavoro deve per forza essere così. Io seguo tantissime corse, sono presente con i corridori, ma naturalmente anche con le loro squadre. E se ci sono problemi da affrontare, ad esempio infortuni e conseguenti controlli medici, mi impegno in prima persona. Quando poi si tratta di strategie e di allenamenti, è mio dovere fare un passo indietro, lì contano soprattutto la squadra, il corridore e il rapporto che c’è fra loro».
Lo scouting
A differenza di quanto avviene nel calcio, dove ormai ogni team sa che deve passare attraverso i procuratori e la loro presenza è costante e certe volte anche invadente, nel ciclismo il rapporto con i team è ancora in divenire. Molti direttori sportivi, soprattutto di vecchia guardia, mal sopportano la loro figura, intesa come un semplice intermediario che porta ostacoli e perdite di tempo.
Gianluigi Stanga, tecnico di lunga milizia e che tra l’altro è fra i pochi ad avere anche il patentino Uci di procuratore, a tal proposito ha le idee abbastanza chiare.
«La figura del procuratore nel ciclismo – dice – solo da poco è diventata così importante, perché si vanno a cercare i talenti già nelle categorie giovanili per metterli sotto contratto. Io dico che se questa professione è fatta in maniera corretta, è un bene per il movimento, ma non guardando al proprio tornaconto. Pensare solo a trovare ai corridori residenze all’estero in paradisi fiscali… Avere un procuratore per un corridore non è un obbligo, se sa trattare direttamente i suoi interessi: io presi Fignon e Moser, ad esempio e vi posso assicurare che i loro interessi sapevano curarli molto bene…».
Non da solo
Stanga punta molto sulla professionalità della figura: «Un procuratore non può far tutto, io mi fido più di quelli che hanno insieme a loro commercialisti e avvocati, fanno parte di agenzie ben strutturate in tal senso. L’importante però è che il procuratore abbia sempre a cuore il suo assistito non solo economicamente. Non basta curare i suoi contratti di assunzione e di sponsorizzazione, deve essere una presenza costante, dare un supporto anche alla squadra in questo senso, svolgendo il ruolo di referente, anche e anzi soprattutto quando le cose per l’atleta non vanno. Allora anche i più renitenti alla fine accetteranno di parlare con lui».