TORINO – «Bi-ni, Bi-ni, Bi-ni». Corso Galileo Ferraris si trasforma nella Curva Maratona dello Stadio del Toro che è proprio qui a fianco. E’ una bolgia quella degli eritrei che, incredibilmente, spuntano all’improvviso ovunque si corra. Dal Sud della Spagna al Nord del Belgio. Dall’Italia alla Francia. Loro ci sono sempre e sono anche felicemente rumorosi.
La terza tappa di questo Tour de France va a Biniam Girmay e ci va anche con margine. Il corridore della Intermarché-Wanty è autore di uno sprint di personalità. Preso in testa con la squadra, dominato e senza nessuno che sia stato in grado di affiancarlo nel lungo rettilineo finale.
Sprint perfetto
E’ festa grande. I giornalisti, i fotografi, i compagni… tutti lo assalgono. Le Cube sono appoggiate ad una transenna, mentre i corridori si abbracciano. Girmay si mette la faccia tra le mani. Quasi non ci crede dopo l’anno (e mezzo) difficile che ha passato. Di fatto era dalla tappa del Giro, finita con il tappo di spumante nell’occhio, che Bini non andava tanto forte.
Okay il recente titolo nazionale, ma qualche certezza iniziava a schricciolare. Sono bastati 300 metri fatti alla grande per cancellare tutto.
«E’ stato uno sprint molto duro, fisico – racconta Girmay – i miei compagni hanno aiutato moltissimo. Ma lo hanno fatto anche nei primi due giorni. Hanno cercato di mettermi nelle migliori condizioni possibili.
«E’ stato uno sprint nervoso. Negli ultimi chilometri avevo perso i mei compagni e ho dovuto fare uno sprint per riprenderli e ritrovarli. Poi siamo stati uniti. Mi hanno portato fuori benissimo (all’ingresso del rettilineo finale erano in tre, ndr). Devo ringraziarli tantissimo.
«Sapevo che sul lato sinistro c’era più vento e quindi mi sono tenuto sul lato opposto, molto stretto alle transenne. E lì ho passato Mads Pedersen».
Un africano a Torino
A Torino si è fatta la storia? Quando Girmay iniziò a seguire il ciclismo i vincenti erano Sagan e Cavendish. In Eritrea si corre o si gioca a pallone. Il ciclismo però rispetto a molti altri Stati limitrofi la bici ha un certo peso specifico.
«Un africano nero che vince una tappa al Tour è incredibile – dice Girmay – Abbiamo il ciclismo nel sangue. Ciò che è che è successo oggi è formidabile. Questa vittoria è importante per me e per il mio continente. Gli africani conoscono il Tour. Per il ciclismo eritreo è un grande momento.
«Mio padre guardava il Tour dopo pranzo e mi sedevo con lui. Mi diceva che il ciclismo era uno sport difficilissimo. Era il 2011. Poi vennero Merhawi Kudus e Daniel Teklehaimanot. La svolta vera c’è stata quando proprio Teklehaimanot è salito sul podio del Tour e ha vestito la maglia a pois. Questo mi ha dato una grande spinta. Ma c’erano ancora grandi ostacoli per arrivare sin qui. In Africa bisogna fare molte corse locali e non c’è tanto spazio per mostrare il nostro potenziale. Arrivi in Europa a 22-23 anni e ti ritrovi in un altro mondo. Ma adesso penso ai tanti nostri giovani e voglio dirgli che tutto è possibile».
La cabala del bus
Ma l’emozione è anche quella del team manager Jean-François Bourlart. E’ grande e grosso, un tipico “omone del Nord”, eppure si commuove quando inizia a raccontare.
«Per noi è incredibile – dice Bourlart – una piccola squadra che riesce a vincere qui: il sogno si è avverato. Bini ha vinto al Giro e ora anche al Tour. E’ qualcosa d’incredibile. Questa è una vittoria per tutta la squadra. Tutta.
«Si sapeva che era forte, che era sempre là e che poteva fare bene. Ma in questo periodo difficile ha anche ricevuto messaggi poco belli. E’ stato attaccato. Tutti pensavano che la sua vittoria alla Gent-Wevelgem era stato un colpo di fortuna. Sappiamo tutti che ha talento, ma anche che non è facile per un ragazzo così giovane vincere gare importanti. E’ stato un periodo duro per lui, per la sua famiglia.
Tra l’altro in questo Tour si sta diffondendo la cabala del bus rotto. A quanto pare se il grande mezzo va ko il leader vince. E’ stato così per la maglia gialla di Bardet ed è stato così per la Intermarché-Wanty di Girmay, che a Torino aveva per supporto un piccolo camper.
«E’ la vittoria della passione – va avanti Bourlart – al Giro d’Italia era caduto. Le cose non vanno sempre bene. Abbiamo portato la miglior squadra possibile per sostenerlo per gli sprint: Gerben Thijssen, Mike Teunissen, Laurenz Rex. Gli ho detto di mettersi alla ruota di Gerben. E oggi tutto ha funzionato bene… Ora vado ad abbracciare Biniam».