L’aveva aspettata tanto Andrea Peron una giornata come quella di domenica. Una carriera da pro’ che va avanti dal 2013, sempre nel team Novo Nordisk del quale è ormai una colonna portante condividendone non solo l’attività ma anche le finalità, tese a dimostrare che anche un diabetico può fare sport e vincere. Per la prima parte l’atleta 33enne di Borgoricco è stato un emblema, ma per la seconda c’è stato tanto da aspettare. Fino a domenica.
Grand Prix di Kranj, una classica slovena di vecchia data. Gara dal percorso poco impegnativo solo apparentemente: «C’era da stare sempre sull’allerta – spiega Peron – ma il finale era molto nervoso, inoltre l’arrivo era in cima a uno strappo. Infatti ci siamo presentati alla sua base in una cinquantina, con un gruppo compatto, poi si è giocato tutto lì».
Una volata liberatoria
Peron si è giocato tutto su quello strappo, molto di più che una semplice vittoria. Davanti tanti italiani, erano presenti quasi tutte le nostre squadre continental, ma anche corridori di livello del panorama estero, in quel gruppo che si andava sempre più assottigliando verso l’arrivo spiccava il neocampione europeo Under 23, il tedesco Felix Engelhardt. Ma Peron non guardava nessuno, solo davanti, solo quell’arrivo che si avvicinava sempre più e senza che nessuno, come troppe volte era accaduto in passato, mettesse la ruota davanti. Fino alla fine.
Una vittoria attesa da una vita e accolta quasi con compostezza, perché Andrea è abituato a vivere tutte le sensazioni dentro di sé, belle e brutte: «Era un successo che inseguivo da sempre: da dilettante le mie 6-7 vittorie ogni anno le raggiungevo, ma da pro’ la musica cambia di molto. I piazzamenti arrivavano, anche di un certo peso, le top 10 non le conto neanche più, ma mi mancava il successo pieno».
Una gara di qualità, come le altre
Quei secondi subito dopo il traguardo sono stati interminabili, sembrava di essere su una nuvola e poco importa se quella slovena è giudicata una corsa come tante: «Il ciclismo è cambiato, quando sei in gara non ci guardi neanche più al livello della corsa perché è sempre una battaglia, ti trovi ogni volta a lottare con corridori di valore, non puoi certo stare a guardare o a giudicare il livello della gara. Vincere è difficile sempre, perché il nostro è diventato davvero uno sport universale. E ogni nazione, ogni squadra ha corridori forti».
Le prime sensazioni sono state però profondamente intime: «La prima cosa che ho pensato è stato: finalmente, era ora… Ci ero andato vicino così tante volte ma alla fine qualcosa non quadrava mai. Già al Giro di Grecia ero arrivato a un soffio dal successo, ma Moschetti mi aveva beffato. Poi mi sono reso conto di aver vinto a fine luglio, nel cuore dell’estate, io che ho sempre sofferto il caldo… Niente male davvero!».
Il covid… che covid non era
Una vittoria arrivata in una stagione piena di alti e bassi: «Non era iniziata neanche male, prima gara e un 9° posto al Giro dell’Oman, con tante squadre WorldTour al via. La prima parte è stata molto intensa, fino all’Adriatica Ionica Race. Ci sono arrivato un po’ sulle ginocchia anche se la prima tappa non era neanche stata male. La settimana prima avevo avuto addosso uno strano malessere, tanto che pensavo di aver contratto il Covid, invece tampone negativo… Alla terza tappa ero distrutto e mi sono ritirato, mi sono fermato un mese e mezzo, sono stato al mare con la famiglia e poi mi sono allenato ad Asiago dove vado spesso. La gara di Kranj era quella della ripresa».
La storia di Peron è legata profondamente con quella del team e anche grazie al suo successo il corridore padovano ha tenuto a rilanciare le motivazioni alla base della formazione americana: «A noi non basta vincere, soprattutto a noi “vecchi”. Noi vogliamo dimostrare che chi ha il diabete tipo 1 può fare sport in maniera sana come chiunque altro. Il nostro messaggio è rivolto ai più piccoli e alle loro famiglie: affrontare questa malattia senza paura, ma solo come un piccolo ostacolo in più nella vita che ti rende anche più forte».
Una storia, un esempio
Andrea non ha ritrosie nel parlare della sua esperienza: «Ho scoperto di avere il diabete a 15 anni, già facevo sport allora e non nascondo che come per tanti altri adolescenti inizialmente è stata una mazzata. Non sapevo cos’era, non conoscevo nessuno che ce l’aveva, non avevamo mai avuto casi in famiglia. Ci siamo dovuti adattare, una cosa del genere comporta cambiamenti, ma era affrontabile».
Su un aspetto in particolare Peron vuole mettere l’accento: «Non ho mai trovato alcun dottore che mi ha detto che non potevo più pedalare, né intorno a me ho notato cambiamenti, sguardi particolari, commiserazione. Ripeto, è solo un piccolo ostacolo in più che si supera. Io vivo la mia attività esattamente come ogni altro ciclista e come ogni altro gioisco per una vittoria… Beh, magari domenica, dopo tanta attesa, ho gioito un po’ di più…».