Mancano 180 metri quando Julian Alaphilippe lancia la volata. Luke Plapp si siede, Pelayo Sanchez invece gli si attacca alla ruota. Sul muro a 5 chilometri dall’arrivo, il francese ha tenuto un bel ritmo, ma non ha mai dato la sensazione di voler attaccare. E’ la sesta tappa del Giro d’Italia, arrivo a Rapolano Terme, i tre sono in fuga da 105 chilometri. Il giorno prima a Lucca ha vinto Benjamin Thomas (nel giorno in cui a mangiarsi le mani è stato Zanatta), questa volta l’arrivo sembra perfetto per Loulou. Bramati ricorda, questa per lui è la giornata del 2024 in cui s’è davvero mangiato le mani, anche se ha dato la carica per i giorni successivi.
Alaphilippe scatta e lo spagnolo della Movistar gli prende la ruota e lo affianca negli ultimi 30 metri. Il francese dà la sensazione di farcela, invece a pochissimi metri dalla linea si siede. Vince Pelayo, per Alaphilippe un secondo posto che brucia: poteva essere la prima vittoria dell’anno, la prima dal Delfinato dell’anno precedente.
«Julian è un corridore che dà sempre tutto – ricorda Bramati – ma si sapeva che Sanchez era veloce. Per questo forse è partito un po’ troppo presto. Se torniamo a vedere la volata, penso che forse l’ingenuità è stata quella, ma guardando anche l’altro da dietro, si è visto che è partito bene. Penso che in quel frangente avesse più gambe, anche se lo ha passato veramente sulla riga».
Il gruppo alle spalle
La giornata è nervosa. Gli ultimi 100 chilometri sono un continuo salire e poi scendere senza pianura né soluzione di continuità. Il francese è in ripresa. A marzo avrebbe potuto giocarsi diversamente la Milano-Sanremo, ma non ha potuto fare la sua volata perché ha pedalato per l’ultimo chilometro con la ruota posteriore bucata. Ha chiuso al nono posto. Magari non avrebbe vinto, fa notare Bramati, perché contro Philipsen forse poteva poco, ma di certo sarebbe arrivato più avanti.
«A Rapolano ero sulla prima ammiraglia – ricorda Bramati – e mi ricordo che gli dicevo di stare lucido, di essere concentrato, che poteva essere la sua tappa. Non ricordo bene le parole, ma dicevo cose del genere. Non puoi fare tanto quando è così, a quel punto la tattica non conta più, è un testa a testa. C’era il gruppo veramente vicino e a 5 chilometri dall’arrivo sull’ultimo strappo si era tutto frammentato. A un certo punto abbiamo iniziato a dirgli che si stavano avvicinando, ma con la macchina eravamo un po’ indietro e non era facile saltare tutti i gruppetti e capire le cose in tempo reale. Penso che sia stata l’occasione perduta dell’anno, che però ci ha permesso di crearne altre, fino a vincere la tappa di Fano».
889 chilometri di fuga
E’ un Alaphilippe diverso, sano e motivato. Sa già che cambierà squadra e questo forse gli dà una leggerezza differente. Il suo primo Giro d’Italia si convertirà alla fine in un inno alla fuga, con 105 chilometri a Rapolano, 119 a Prati di Tivo, 56 a Bocca della Selva, 136 a Fano, 167 al Mottolino, 93 a Monte Pana, 88 chilometri al Brocon e 125 a Sappada. Un totale di 889 chilometri al comando, per ritrovare le sensazioni e ribadire il proprio valore.
«Senza la foratura della Sanremo – riprende Bramati – sarebbe stato con i migliori e avrebbe fatto un altro risultato. Al Giro invece c’è venuto motivato, molto grintoso. Ci ha provato più di una volta e alla fine penso che noi come squadra, ma soprattutto lui e tutti i tifosi che ha in Italia, siamo stati contenti che Julian alla fine abbia vinto quella bella tappa a capo della fuga con Maestri».
L’antipasto di Fano
A Rapolano, Alaphilippe non è tutto sommato troppo abbattuto, di certo non si sente al centro di una tempesta di sfortuna. Va ad abbracciare Pelayo Sanchez e se è furibondo, si guarda bene dal farlo vedere. La prima parte dell’anno è stata pesante, con le bordate di Lefevere che a un certo punto si è messo a parlare anche della sua vita privata. Forse proprio questo ha persuaso il francese ad accettare la corte della Tudor Pro Cycling. Mentre la sconfitta toscana, venuta per un soffio, è il segnale che manca poco al vero ritorno.
«Sappiamo tutti che la corsa finisce sulla riga – ricorda Bramati – abbiamo trovato Pelayo Sanchez che in quel momento è stato più veloce, ma abbiamo guardato avanti e cercato di capire quali altre tappe facessero al caso nostro. E alla fine c’è riuscito. Quando è partito verso Fano, forse era troppo presto, ma alla fine ha avuto anche ragione lui. Ha fatto veramente un grande numero e ha dimostrato di essere tornato quello di prima. Sono curioso di vedere come si troverà alla Tudor. Mi sembra una squadra con un’impronta e che ha fatto un bel mercato. Sicuramente penso che dovranno fare ancora degli innesti, ma sono convinto che se avranno la forza di farlo, cresceranno ancora. Se poi arriva l’invito per il Tour e ci sono le classiche, fanno tutti bingo. Loro e anche il mio Julian».
NEGLI ARTICOLI PRECEDENTI
Cozzi, la Tudor e il Giro d’Abruzzo
Zanatta e la fuga di Pietrobon a Lucca
Quando Zanini ha fermato l’ammiraglia
Baldato e la rincorsa al Giro del Veneto