SAINT PAUL TROIS CHATEAUX (Francia) – Dove sia finito Luca Mozzato se lo chiedono un po’ tutti. Il vicentino della Arkea-B&B in effetti sta correndo un Tour nell’ombra. In realtà era prevedibile che fosse così, dovendo lavorare per Demare. Ma quando sei al via con soli otto italiani, ti piacerebbe che ogni tanto alzassero la mano. Ma non è sempre così. Mozzato sta lavorando per il suo capitano e per un obiettivo superiore: le Olimpiadi. Lo stesso, con le debite proporzioni, sta facendo Mathieu Van der Poel. Anche lui tira per un compagno velocista: la differenza è che Philipsen vince, Demare non più.
In ogni caso quando sei al Tour, il modo migliore per sapere dove sia Luca Mozzato è andare a cercarlo. E nessun momento è migliore del tempo tra la firma di partenza e il via effettivo della tappa. Perciò ieri lo abbiamo trascinato giù dal pullman per farci raccontare il suo momento e quello che verrà (in apertura, Mozzato è con Davide Ballerini).
Vai alle Olimpiadi. E’ il sogno di ogni sportivo di qualunque disciplina: che effetto fa?
Sicuramente penso sia una delle convocazioni più importanti che uno sportivo possa ricevere. Rappresentare il proprio Paese alle Olimpiadi sarà sicuramente un onore. E’ una cosa cui mi fermo a pensare ogni giorno, anche se comunque siamo lontani dall’appuntamento. E’ un’occasione che arriva una volta ogni quattro anni, io sono stato fortunato che il percorso si adatti a me. Ho fatto una bella prima parte di stagione e quindi insomma vado all’Olimpiadi con l’idea di far bene.
Come hai reagito quando Bennati te l’ha detto?
Diciamo che forse a inizio stagione era un sogno. Un po’ ci pensavo, soprattutto per come è fatto il percorso. Comunque di corridori ce ne sono tanti, per cui era qualcosa di lontano. Poi le classiche sono andate bene, tanto bene. E lì è cominciato a diventare una cosa un po’ più reale. Ho cominciato a respirare la sensazione che ci potesse essere effettivamente una possibilità per andare. Le cose si facevano sempre più serie e quando Bennati mi ha detto che mi avrebbe portato, è stata una gioia incredibile.
Il Tour potrebbe essere la miglior preparazione, non a caso Van Der Poel è qua e nessuno l’ha visto, ad eccezione di due volate e una fuga…
Secondo me nella scelta ha giocato un po’ anche il fatto che venissi qua. La gamba che ti dà una corsa di tre settimane a queste velocità, a questi ritmi, penso che nessuna preparazione sia in grado di poterla eguagliare. L’idea, soprattutto quando la squadra mi ha detto che venivo qua con l’unico obiettivo di essere in appoggio ad Arnaud, era quella di essere utile alla squadra e di costruire la condizione. Poi è ovvio che non si parta al Tour con l’idea di preparare un’altra corsa, perché ovviamente il Tour è il Tour. Però c’è sempre un occhio di riguardo a quello che viene dopo. Si cerca di non sprecare troppo e la cosa più importante, adesso che le tappe adatte a me sono finite, è quella di uscire bene. Quindi non troppo stanco e magari in crescita.
Come dire che in questi giorni sulle Alpi si andrà avanti guardando il contagiri?
Già in un’edizione… normale del Tour si è sempre a centellinarle le forze, perché comunque è lungo e duro e quest’anno ancora di più. Quindi se si può andare un minuto o due minuti più piano per salvare qualche forza, lo si fa volentieri.
Finisce il Tour e poi cosa farai?
Sicuramente ci sarà un po’ di recupero, perché comunque per quanto tranquillo si possa prendere, il Tour è sempre duro. Poi a seconda delle sensazioni, si comincerà un po’ a lavorare. Penso qualche lungo, un po’ di intensità, soprattutto perché uscendo da una corsa così dura, non servirà arrivare troppo “riposati”. Avendo l’abitudine a stare ogni giorno con la fatica nelle gambe, c’è il rischio che magari arrivare troppo rilassati sia controproducente. E poi che dire? E poi si andrà a Parigi…