Ci sono giorni buoni e meno buoni. Stefan Kung lo sa, la sua carriera è sempre stata un andare su e giù. Fino all’inizio dell’estate tutto bene, molto, poi duri colpi al morale, medaglie che hanno l’amaro sapore della sconfitta. Ecco perché l’oro nella staffetta a Wollongong ha un sapore speciale. 3″ sull’Italia, difesi con i denti dalle ragazze che hanno fatto tesoro del gruzzoletto consegnato da lui, Bissegger e Schmid. 3 secondi, soli 3 secondi. Il tempo della caduta di una foglia, ma in quel lasso passa una carriera. Per lui è sempre stato così.
Salendo sul podio ha un mezzo sorriso. Si vede che nella mente si affollano tante sensazioni. Rivive passo dopo passo emozioni ancora fresche. Quest’oro aiuta, sì, ma ci vorrà tempo per digerire quanto avvenuto domenica, quella crono breve e interminabile, dolcissima e amara nel suo ultimo boccone. 3 secondi, anche lì, dietro i quali si cela una storia…
Viaggio nella beffa del tempo
Corre veloce, la bici di Stefan. Sempre più veloce, verso quel traguardo che sembra non voler arrivare mai. I rilevamenti lo danno in testa, forse è la volta buona, forse è il giorno della conquista del titolo mondiale a cronometro così a lungo inseguito. Nella sua ancor giovane carriera (in fin dei conti lo svizzero di Wilen, con il doppio passaporto elvetico e del Liechtenstein) di vittorie ne ha collezionate tante, quasi tutte in prove contro il tempo, ma questa rappresenta qualcosa di speciale.
Il tempo ha un valore particolare e quando sei solo sulla bici, concentrato sì sul movimento ma anche determinato a cogliere un obiettivo, la mente è come uno specchio, qualcuno con cui confrontarsi attraverso il pensiero. Di pensieri, nella mente di Kung lungo quei 34 chilometri così delicati da affrontare, tra salite all’8 per cento e curve da affrontare alla Valentino Rossi o Marc Marquez, ne passano tanti.
Una beffa come il mese prima (e a Tokyo)
Stefan, spingi a tutta perché il tempo corre sempre più veloce e sa anche essere beffardo. Ricordi quel che è successo poche settimane fa? Sentivi che la vittoria agli europei di Monaco era in tasca, te la stavi giocando, ma per un secondo, un solo secondo Bissegger ti ha beffato. Potevi fare tripletta consecutiva di successi ma quel grido di vittoria ti è rimasto in gola.
Ha fatto male? Sì, ma non come lo scorso anno a Tokyo, quando in palio c’era il podio olimpico. Quattro corridori in lotta per due medaglie, a giocarsi tutto su quel rettilineo finale che non finiva mai. Kung era il terz’ultimo a finire, con quel cronometro che sembrava andare veloce, troppo veloce. Alla fine il verdetto: secondo Dumoulin per 3”, terzo Dennis per 1” e poi lì, con quei secondi che gli erano scivolati tra le dita come sabbia.
Non più solo un cronoman
Sei lì e pedali, e spingi, e ci pensi. Questa volta no, questa volta finirà diversamente. Questo è l’anno tuo, Stefan, quello nel quale hai dimostrato di non essere solo un grande cronoman. Alla Groupama non credevano di avere per le mani un simile gioiello, capace di collezionare grandi piazzamenti nelle classiche: 5° al Giro delle Fiandre, 3° alla Parigi-Roubaix, 8° all’Amstel come a dire: «Ehi, ci so fare anche nell’1 contro 1, non solo con il cronometro in mano…».
A proposito di Fiandre, ti ricordi quell’enorme sagoma che ti raffigurava e che campeggiava lungo il percorso? Quelli del fans club l’avevano commissionata in Italia, enorme, un gigante che guardava tutto il tracciato e che sembrava pronto sul punto di dire «Ragazzi, è all’orizzonte…». Sarebbe stato bello averlo anche qui, ma come fai a portare una cosa simile fino in Australia?
Quei 3 maledetti secondi…
Il tempo scorre insieme ai pensieri e forse niente come il tempo sa far male. Fino all’ultimo rilevamento, eri in testa, gli altri a inseguire e tutti a dire che in bici eri il più bello, il più ergonomico, il più redditizio. Ma era un rilevamento, non il traguardo. Spingi a tutta, sullo schermo c’è impresso il tempo di Foss, il norvegese che è già arrivato, era nettamente dietro prima, ma nel finale ha volato. C’è da spingere, c’è da sbrigarsi. Ma non basta: 3”, i soliti 3” che si tramutano in un groppo in gola che non riesce ad andar giù.
Stavolta è difficile nascondere la delusione: «Oggi pensavo davvero che ce l’avrei fatta – sono le sue parole ai microfoni della Tv svizzera – 4 anni fa magari sarei stato anche contento, ma questa volta no, ci sono andato vicino troppe volte. Stavolta non mi basta. Mi sento frustrato. Quando ho visto l’elenco dei partenti mi sono detto che in fin dei conti, una volta o l’altra, li avevo battuti tutti, quindi potevo farcela. Qualcuno però non era d’accordo». Chissà, forse alludeva al tempo, ma quello non lo batti mai, ha sempre ragione…
Il responso dei parziali
Tornando verso il camper, sente dentro di sé una grande voglia di piangere, ma la gente non capirebbe. Come lo spieghi che sei comunque medaglia d’argento ma che se finisce così non è una vittoria, non è una conquista? Riguardi i parziali e così scopri che tutto è nato nei 10 chilometri finali. Lì Foss ha volato mentre tu hai ottenuto solo il quinto parziale (Ganna non è neanche nei primi 10, preceduto anche da Sobrero e questo dice molto della sua prestazione). A questo punto però una spiegazione c’è e quel dolore resta sì dentro, ma è più facile mitigarlo. Sul podio magari un timido sorriso si riuscirà anche a tirarlo fuori e a chi chiederà riuscirai a dare una delle risposte meno di pancia, più di prammatica: «Un epilogo simile è quel che rende il nostro sport così interessante, ma anche spietato».